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‘U summariello torna ad essere visitato dai gabbiani. Cosa sta avvenendo?
E’ l’isola che indossa di nuovo i panni consueti. Tutti quei natanti che per l’intera estate hanno annullato lo specchio d’acqua d’u summariello sono scomparsi. Non è il mare di levante che lì sfrigola, si involve, si arrotola, schiuma e rompe sulla spiaggia, rendendo precario ogni attracco, perché agli ancorotti nella rena toglie l’aggrappo. E’ la normalità autunnale che mostra ‘u summariello sgombro di gommoni, motoscafetti, barchette a vela… e i piccoli gabbiani rovistano nella sabbia che l’onda ora bagna e ora no.
La spiaggia di Sant’Antonio negli anni ’60
Seguendo il percorso di questi pensieri c’è il rischio di lasciarsi andare, a quando ‘u summariello era luogo prediletto dai ragazzi che gravitavano su Sant’Antonio per giocare a palla, per i bagni sotto l’occhio attento delle mamme. Da un lato il ricordo nostalgico e fatuo perché non più sorretto dalla realtà fattuale e dall’altro lato la pressione economica attuale, che su quel fazzoletto di rena cerca di impiantare attività commerciali, di coltivarle, di farle diventare imprese. C’è chi affitta gommoni, chi barche a motore, chi fa la guardia ai motoscafi lì ancorati. Sono tante le persone che si sono inventati lavori estivi su quella spiaggetta, e traggono da essi il sostentamento annuale. Fondato su una assoluta precarietà.
Anzitutto quella che viene dal mare di levante che, quando spira non ammette nessuna presenza. Bisogna sloggiare, e in fretta, perché le onde, non ostacolate, per il basso fondale si inarcano e si scaraventano sulla spiaggia, mentre il vento concorre a sollevare la rena, a portarla sulla strada, a intrufolarla nelle case prospicienti. Quando il levante comanda non c’è chi può disobbedire.
Ma la precarietà è insita anche nella natura demaniale del territorio. E dunque niente può essere impiantato stabilmente: nessuna struttura può ergersi, nessun approdo può disporsi, nessun deposito. E poi ancora, il tutto insiste nello scenario portuale ingolfandolo, ammassandolo, imbruttendolo.
Bellezza contro denaro, paesaggio contro economia.
Questa contrapposizione, me ne avvedo da me, è viziata, giacché la bellezza di cui ho ricordo infantile, per essere ripresa andrebbe curata, controllata. Il caos attuale e il rigetto che genera si originano sull’incuria del territorio, sulla incontrollata fruizione.
Se vi fossero principi e regole concordati da rispettare l’ordine e la piacevolezza del luogo (evidenti ora) accrescerebbero l’attrazione dell’isola.
L’opposizione a questo sistema economico deriva dal fatto che non ci sono regole concordate da rispettare. Tutto questo in sintonia con quanto sta accadendo a livello mondiale.
Lasciar libera l’economia di muoversi a suo piacimento sta producendo:
a) contrasti sociali, giacché il livello di povertà aumenta in conseguenza dell’aumento della ricchezza. Più ricchezza a pochi, più povertà a molti;
b) il degrado del territorio. Lasciato allo sfruttamento degli utenti, il territorio si impoverisce e si abbrutisce.
Il controllo dell’economia e il controllo dell’ambiente: sono due impegni dai quali dipende il futuro.
Anche a Ponza occorrerebbe coltivare questi obiettivi.
Immagine di copertina: foto di Silveria Aroma (NdR)