di Emilio Iodice
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Tratto dal libro:
Attraverso il tempo e lo spazio: Cronache di Coraggio,
Speranza, Amore, Perseveranza e Leadership.
Storie per noi, i nostri figli e nipoti (in italiano)
Per la puntata precedente (3), leggi qui
San Silverio, Papa e martire, patrono di Ponza
La Signora Lombardi guardò l’immagine del Papa nei suoi abiti papali e con la tiara formata da tre corone. La baciò con le lacrime negli occhi. Guardò Silvio. Toccò la sua guancia e portò la cassa di cibo nel suo palazzo. Si voltò a guardare con gratitudine il giovane uomo scuro che veniva dall’Italia. Lui sorrise e la salutò con la mano. Sapevano entrambi che la Signora Lombardi non avrebbe mai saldato il suo conto, e Silvio non si aspettava che lo facesse. Sarebbe tornato il giorno seguente con più cibo e più gentilezza.
Questa era la vita durante la Grande Depressione. A volte tutti i clienti di Silvio pagavano. A volte la metà di loro aveva bisogno che facesse loro credito, e a volte un quarto non lo ripagava. Erano tempi difficili. Lo sapeva, come tutti. Era un’epoca in cui la gente si aiutava a vicenda per farcela. Alcuni avevano più difficoltà degli altri. Le Signore Lombardi avevano mariti che combattevano per dar da mangiare alle loro famiglie e trovare una soluzione. Poi c’erano donne come Emma. Erano vedove, oppure i loro mariti erano scomparsi. Famiglie e amici, le loro chiese o sinagoghe le aiutavano, ma non era mai sufficiente.
Emma arrivò da Napoli lo stesso anno di Silvio, durante la grande ondata di immigrazione di italiani negli anni ’20 e all’inizio degli anni ’30. Sposò un ragazzo della sua città natale. Lui aveva quindici anni più di lei. Era bello, intelligente e aveva capelli neri e lucenti, come sua moglie. Emma era adorabile, di corporatura snella e occhi scuri, labbra sensuali e le forme di una donna matura e fertile. La sua faccia era ovale con un piccolo naso. Sembrava essere perennemente abbronzata. Teneva i suoi capelli raccolti in uno chignon sul retro della sua testa, come spesso li portavano molte donne italiane. Non parlava inglese. Il suo napoletano era vicino a quello di Silvio, ma più spiccato e più raffinato. Era infelice nel Nuovo Mondo, ma non poteva tornare indietro. La sua famiglia a Napoli era povera e troppo numerosa. Non c’era posto per una giovane donna ventunenne quasi analfabeta con due bambini. Il suo futuro era in America.
Vito, suo marito, lavorava nel campo delle costruzioni. Guadagnava bene, poi arrivò il crollo. Il suo ultimo lavoro era stato riparare le strade nella Lower Manhattan. Il settore delle costruzioni si fermò e tutti vennero licenziati senza stipendi arretrati. Il costruttore era andato in bancarotta, giravano voci che si fosse sparato per evitare di affrontare il fallimento. Storie del genere erano così comuni che la maggior parte delle persone erano diventate troppo insensibili per rimanerne colpite. Era un periodo privo di emozioni, dove l’orgoglio lasciava il posto alla paura, e la paura diventava panico.
“Cercasi un lavoro decente, per un uomo decente, 37 anni, famiglia, veterano di guerra, che sta pagando casa, istruito al college, nativo di Chicago”
Vito non lavorò per quasi due anni. Si unì all’esercito crescente di uomini e donne che non avevano mezzi per sostentare se stessi o i loro cari. La piaga della disoccupazione sembrava non risparmiare nessuno. Era particolarmente dura per gli uomini sopra ai trentacinque anni o privi di competenze. Vito aveva fatto qualche lavoro saltuario come giardiniere e come spazzino. Non era abbastanza per dare da mangiare ai suoi due figli piccoli, sua moglie e per pagare l’affitto.
Vivevano in un palazzo nel North Bronx, sul limitare di un cimitero dove erano sepolte persone insigni come Aaron Burr e l’Ammiraglio Farragut. Il loro edificio era identico a molti altri raggruppati in file così strette che potevano condividere le corde per il bucato.
I palazzi non avevano ascensori. Loro avevano un appartamento a due camere al quinto piano. Aveva una cucina piccolissima come stanza principale, una stufa a gas nera, una dispensa e una tavola sulla quale la famiglia consumava i pasti. Era piccola, ma ben illuminata di luce naturale. Emma stirava e lavava nella cucina. Non c’era vasca da bagno.
Il grande lavabo serviva a questo scopo. Una volta a settimana lo usavano per lavarsi con una spugna. Il bagno era una scodella con una catena. Le camere da letto erano minuscole. Solo una aveva una finestra. Non c’era soggiorno. Emma lavava tutti i suoi vestiti a mano. Non potevano permettersi una ghiacciaia o un qualsiasi elettrodomestico. L’appartamento era afoso in estate e freddo d’inverno.
Quando non poterono più pagare le bollette, il padrone di casa minacciò di sfrattarli. La società di servizi staccò elettricità e gas. Vito riuscì a farle riattaccare prendendo in prestito dei soldi da suo fratello che era un calzolaio. I debiti di Vito aumentavano. Non riusciva a pagarli. Lo stress della povertà faceva male. La sua mente e il suo corpo erano sopraffatti. Alcuni giorni prima del suo compleanno, Vito morì. Ebbe una gravissima emorragia celebrale. Aveva trentanove anni. Emma era devastata. Non poteva permettersi di seppellirlo.
Silvio riunì i suoi amici italiani per dare aiuto. Un carpentiere donò una grande cassa di legno che venne rimodellata per assomigliare a una bara. I suoi amici fecero una colletta e pagarono per la veglia e la messa funebre. Comprarono un lotto in un cimitero cattolico e posero una piccola lapide in memoria dell’immigrato di Napoli. Il prete pregò per Vito e la sua famiglia. Tutti i partecipanti erano vestiti a lutto. Emma lo avrebbe portato per il resto della sua vita. Silvio era presente alla sepoltura. Accompagnò a casa la giovane vedova.
Tutti facevano il possibile per confortare Emma. Era sola e povera, con due bambini piccoli. Il sostegno per le famiglie affamate era ancora lontano. Non c’erano reti di sicurezza sociale. La previdenza sociale avrebbe aiutato donne come Emma con una pensione a sostenere i loro bambini quando i mariti morivano, ma ci sarebbero voluti almeno altri cinque anni per questo. Era sia troppo tardi che troppo presto per Emma. Aveva ventiquattro anni, era in America, con due bambini affamati e senza futuro.
Silvio fece una colletta per la vedova. Raccolse abbastanza denaro per l’affitto di tre mesi. Poi andò dai suoi amici al mercato. Lì, chiese loro di fornirle della merce. Ottenne gratuitamente latte, formaggio, salame e cibo in scatola, e lui fornì frutta, verdura e pane. Raccolse vestiti per Emma e i bambini. Non chiese mai nulla in cambio se non delle preghiere.
Emma imparò a cucire. Silvio le faceva mandare del lavoro dai suoi amici. Chiese alle donne di Ponza di aiutare Emma a imparare a cucire vestiti. In meno di un anno divenne una sarta esperta. Imparò il delicato lavoro della creazione di abiti da sposa. Sapeva ricreare gonne, camicie e vestiti a partire da foto su riviste e giornali. Silvio le portava rotoli di tessuto, gomitoli di lana e cotone, bottoni e chiusure lampo. Portava libri di tutti i tipi per i ragazzi e incoraggiava Emma a mandarli a scuola.
Lei passava il suo tempo lavorando a maglia sciarpe e maglioni; ricamava fazzoletti e decorava tovaglie per Natale. Creava delle cose speciali per Silvio. Lui aveva sempre molte sciarpe, calzini e maglioni fatti a mano. Spesso li donava a quelli del mercato che a loro volta donavano cose per la “sua” vedova.
Un po’ alla volta, Emma iniziò a guadagnare abbastanza da pagare le sue bollette. Silvio le portò cibo per tre anni dopo la morte di suo marito. A quel punto, lei rifiutò ogni tipo di assistenza. Era di nuovo in piedi e sola. Guadagnava abbastanza per sopravvivere. Quando quel giorno arrivò, Silvio le diede un regalo. Era una radio. Ora poteva ascoltare musica mentre lavorava.
Emma fu sopraffatta dall’emozione per quest’uomo che le dava così tanto e che non chiedeva niente in cambio. Disse che Dio avrebbe benedetto lui e la sua famiglia per sette generazioni. Promise di tenerlo sempre nelle sue preghiere. Sessantacinque anni dopo lei e i suoi figli avrebbero pregato sulla sua tomba.
[E. Iodice. Il venditore ambulante e le vedove (3) – Continua]