Califano Mimma

‘Na notte a palàmmt’

di Mimma Califano

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– Mimma… Mimma… Nui avimm cignut’… Tu vuo’ veni’…

Il tono di voce e’ basso, eppure mi sveglio subito.

Mio padre ha socchiuso appena la porta della mia stanza, ripete:

– Avimm cignut’… Simm venùt’ a piglia’ ‘a leva… E si allontana subito.

In un attimo sono in piedi, incomincio a vestirmi… Maglione… un altro… calzettoni pesanti….

E’ notte fonda, è inverno. Fuori fa freddo …in mezzo al mare, poi..!

Vado in cucina, metto su un paio di caffetterie ed esco per andare a vedere i preparativi per portare a bordo ’a leva.

È una grande rete di cotone a filo grossolano, con galleggianti di sughero e piombi fatti a mano che  viene utilizzata come se fosse un grande retino, per mettere a bordo il pesce – palamiti e ricciole – dalla gabbia di rete che lo ha circondato.

Oltre a ‘Giuantonio’, mio padre, zi’ AlesioColonell… Gerill’… Gavitell’… U’ Feròn’… U’ Luòng’ …I  soliti insomma. Poi, come succede quando si va a palàmmt c’è l’aggiunta di qualcuno che normalmente fa un altro mestiere.

Hanno tutti superato la cinquantina e forse qualcuno anche la sessantina ed io sono poco più di una ragazzina che li incalza di domande, vuole i particolari:

– Addo’ avit cignut’?

Li conosco bene; quando sono impegnati a lavorare sono di poche parole. ‘Gente essenziale”, come li definisce Giuantonio e non solo perché non sprecano parole, ma perché è gente seria, affidabile.

E’ questa la condizione posta da mio padre: posso stare in barca a pesca con loro, per intere giornate  e nottate, ma solo quando l’equipaggio è fatto di ‘gente essenziale’.

Finalmente mio padre risponde:

“Avimm cignut quas’ ‘nterra’ …vicin’a Ravia! Mo’ però port’ u’ ccafe’… e..l’ànes’.

Solo un attimo per rinfrancarsi; il lavoro e’ ancora lungo.

Nel frattempo, il pesante serpentone di rete filando di mano in mano e’ stato arrotolato fuori dal magazzino. Sotto con il primo, tre forse quattro ‘anelloni’ di rete sulle spalle… pochi passi… avanti con il secondo… E cosi via, fino a quando tutta la pesante rete e’ caricata.

La fila si avvia, nel silenzio di una Ponza addormentata, da S. Antonio verso il porto.

Alzo gli occhi al cielo: e’ stellato, non c’e’ luna, il mare e’ calmo, si sente appena lo sciabordare

dell’acqua sulla spiaggia. Non fa particolarmente freddo ma l’umidità è tanta… Te la senti penetrare nelle ossa!.

Mi affretto per affiancarmi a mio padre; forse adesso mi darà i particolari. Mi illudo cosi di recuperare un po’ di quanto mi sono persa. In realtà sono arrabbiata con me stessa, per aver ceduto alla stanchezza.

Sarà almeno una settimana che dalle nove-dieci di sera fino a poco prima  dell’alba – e le notti d’inverno sono lunghe! – con le tre barche, il motore al minimo, si fa su e giu’ dallo scoglio Rosso-Ravia a Calacaparra… Un po’ più al largo… Un po’ più a terra…

Due barche poppa e poppa con la rete metà in ciascuna e l’altra – dove mio padre mi fa stare a fianco a lui – più esterna e leggermente più avanti.

Tanti occhi a scrutare il mare e soprattutto mio padre in piedi sulla prua.

Ma niente! …I palàmmt’, una notte dopo l’altra, non si sono fatti vedere. Ogni tanto un’oretta giù alle banchine a riscaldarsi un po’ ad un fuoco improvvisato, e poi ancora a spacca’ lung’ a custèra’…

E proprio la volta che la stanchezza ha vinto sulla mia volontà, i palàmmt’ si  sono fatti vedere!

È solo un momento, ma chi  l’ha vissuto non l’ho scorda più.

Quando le barche, nel loro lento cammino, passano sopra il branco di pesce – spesso diverse decine di quintali – il mare fino a quel momento sonnacchioso e scuro all’improvviso… si accende!

Pochi secondi e sotto di te e tutto intorno, per decine e decine di metri, sei su un grande specchio d’argento: U’ lamp!

La partita di pesca si gioca in quei pochi attimi. Indicazioni nette di voce e di braccia e Giuantonio fa calare la rete. Le due barche si allontanano per andare a chiudersi in un’ampia gabbia intorno al pesce.

Questa volta, purtroppo, l’emozione d’u’ lamp l’ho persa, ma non voglio perdermi il resto.

Incalzo mio padre: – Vicìn’ a Ravia, avìt’ cignùt’?

– Si, peccat’ ca nun ce stiv’… So’ proprio assaie..!

Olio bollente sulla ferita.

– Appena simm asciut’ d’u’ puort’, l’avimm’ affruntàt’, ma u’ difficile è venùt’ dopo…

– E pecché?

– I rezz’ stévèn’  proprio ‘ncopp’ ’a rotta d’u’ traghett’… Avimm dovuto spusta’ tutta a rezz’ cu’ i pisce adìnt’ sott’a Torre

– Tanti se ne so’ persi?

– Nun saccie, ma a’ dint’ ce ne stann ancor tanti… So’ pisce ’i cinq-sei kili..!

Siamo alle barche, per caricare ’a lev’, proprio mentre il traghetto sta partendo (h. 4,30).

Ci vogliono ancora un paio d’ore di lavoro prima che ‘la leva’, calata nell’ampia gabbia dove il pesce continua a muoversi come se fosse ancora libero, tirandola da ogni lato venga stretta sulle fiancate delle tre barche.

Centinaia di pesci vivi e guizzanti, che man mano che gli manca l’acqua si dimenano con sempre maggior vigore fino a che ormai privi di acqua e stanchi non trovano delle mani robuste che li prendono per la coda e li buttano nelle barche!

Ci vogliono tre ‘leve’ e l’intera giornata di lavoro per mettere a bordo tutto il pesce (quasi tutto, decine di pesci muoiono, e qualcuno domani li verrà a piglia’ c’u’ lanzatùr’) .

In mattinata la notizia fa il giro di Ponza ed arrivano altre barche a curiosare; anche dalla

scogliera c’è qualcuno che sta a guardare.

Finalmente nel  pomeriggio, dopo circa 18 ore di lavoro da quando si è usciti a pesca, pesato il pesce da vendere, diviso quello per le famiglie dell’equipaggio, stanchi  e soddisfatti  ci si avvia verso casa.

La gabbia di rete e’ ancora sotto la Torre, quello è lavoro di domani; come ci vorranno ancora giorni di lavoro per far asciugare la ‘leva’ che essendo di cotone non può essere messa a posto se umida.

Il pesce pesato in quella pescata fu di circa 35 quintali.

Mimma Califano

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