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Il Negro del Narciso, di Joseph Conrad (3)

di Gianni Paglieri

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 Il Narciso procede rapido verso il Capo, le onde sono sempre più alte e i rovesci di pioggia e i cambi di vento sempre più violenti e improvvisi. La tensione aumenta, la nave è ancora del tutto invelata. Il Comandante è ormai sempre presente sul cassero di poppa, e vi rimarrà per tutta la durata della tempesta; il suo sguardo è rivolto al mare e alle vele, vuole sfruttare il vento finché le onde glielo renderanno possibile. Gli uomini guardano a lui e si preparano ad affrontare la tempesta, ognuno in quell’attesa si sente fragile, ma nello stesso tempo coglie dentro di sé la forza e la volontà di attraversarla… la volontà di andare oltre… ma in quell’attesa ognuno misura la sua forza e la sua debolezza, la sua paura, il suo coraggio…

È un’attesa carica di tensione finché il trentaduesimo giorno dopo la partenza da Bombay cominciò in modo infausto. In mattinata un cavallone fracassò una delle porte della cucina…” E così ha inizio la tempesta.

Il Capitano Allistoun ancora si ostina a mantenere tutte le vele, cosa questa che faceva soffrire la nave… “La nave si trapanava un passaggio, astiosamente, attraverso i marosi. Per due volte…affondò deliberatamente la prua in una grossa ondata, che spazzò i ponti da una estremità all’altra…”

Al timone è il vecchio Singleton che contrariamente alla sua abitudine ruppe il suo abituale silenzio e disse con un’occhiata all’alberatura: – Il vecchio è adirato con il maltempo, ma non è bene prendersela con i venti del cielo….”

Infatti… “Al tramonto accorremmo a ridurre le vele dinanzi alla minaccia di una scura nube satura di grandine”.

Allistoun sa benissimo che non si può sfidare una tempesta al Capo di Buona Speranza con le vele gonfie di vento, sa benissimo che bisogna adattarsi alla tempesta, sopportarla con tutto il coraggio e l’abilità di cui si è capaci.

“Con l’avvicinarsi della sera la tempesta si fa più cruda e minacciosa, finché una notte selvaggia si avventò su di noi… e cancellò con un  ululato enorme quel lugubre residuo di una giornata di tempesta.(…) …la notte gemeva e singhiozzava. Strida passavano nell’aria. Tremendi tonfi sordi facevano tremare la nave. A volte si sollevava rapidamente… poi precipitava nel vuoto (…) Di tanto in tanto rimaneva inclinata su un fianco, vibrante e immobile … e allora su tutti quei corpi proni passava un fremito, un brivido di incertezza”.

Nella notte la tempesta preoccupa maggiormente perché non si riesce più a capire la direzione delle onde e la loro intensità e altezza. Si ha la sensazione di piombare ogni tanto in un vuoto di cui non si conosce l’estensione, si temono i danni che potrebbero arrecare le onde… Oggi, sul ponte di comando di una nave moderna ci si affida a strumenti di navigazione sofisticati ma il Capitano Allistoun non aveva neppure una timoneria riparata o un ponte di comando dentro il quale trovare ridosso. Su quelle navi, i Comandanti, guardavano la tempesta dritta negli occhi, non lasciavano il ponte di comando, le onde, gli spruzzi salati portati dal vento che colpivano il viso come un frustata, il rumore del vento, i movimenti della nave, la necessità di mantenere la rotta il più possibile, la volontà di attraversare la tempesta minavano anche il cuore più saldo… “A mezzanotte venne impartito l’ordine di ammainare la vela di parrocchetto e  di mezzana… poi…  le nubi si chiusero e il mondo ridivenne una tenebra infuriante e cieca che ululava, scagliando contro la nave solitaria salsi spruzzi e nevischio…”

Il chiarore del mattino che nasce non rincuora nessuno a bordo del Narciso “…l’oscurità di pece intorno a noi divenne di un verde spettrale e ci rendemmo conto, allora, che il sole era spuntato… Marosi infuriati balzarono su, colpivano e ricadevano… la vela di gabbia volante doveva essere imbrogliata e con flemmatica rassegnazione tutti si accinsero a salire una volta di più a riva…” Bisognava prestare molta attenzione su di un veliero in tempesta. Bastava una distrazione e si poteva spezzare un albero, rompere una vela, o peggio abbattersi la nave e perdersi.

Poi, un momento di tregua, gli uomini corrono a riposarsi un poco, ma in realtà nella pause della tempesta non ci si riposa affatto perché dopo ogni pausa la tempesta aumenta in intensità. La pausa è solo una breve calma apparente e poi ancora vento e onde più forti di prima.

Il Comandante Allistoun è sul ponte, al suo posto…  “la faccia dura voltata inflessibilmente controvento. (…) …il mare le sputava contro (…) grondava acqua come se avesse pianto …”

La tempesta riprende vigore ed è proprio il marinaio Singleton che, rimasto al timone, richiama l’attenzione di tutti su di un’onda enorme che corre incontro alla nave, un’onda  “…vicina, alta, simile a una parete di vetro verde sormontata da neve. La nave si innalzò verso di essa come se si fosse librata su ali, e per un attimo rimase in equilibrio sulla cresta spumeggiante, simile a un uccello marino… un colpo di vento formidabile la investì, un altro cavallone le piombò addosso slealmente…”

 

Gianni Paglieri

[Il Negro del Narciso, di Joseph Conrad (3) – Continua]

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