di Silverio Guarino
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Ero molto affezionato anche io a quel pino della Dragonara; tutte le volte che passavo accanto (e questo capitava spesso tutte le estati) lo osservavo con tanto rispetto ed amore. Figuratevi poi come si sono “dilatati” questi due sentimenti quando sono venuto a conoscenza, tre-quattro anni fa, leggendo tra gli scritti di Silverio Mazzella del Brigantino, che quel pino aveva la stessa mia età.
Adalgiso Coppa, zio Adalgiso, cugino di mio padre, lo aveva piantato lì proprio nell’anno della mia nascita, il 1949. Ed io, a modo mio, portavo anche il suo nome (Silverio Giuseppe Salvatore).
Da quel momento i miei incontri con lui si sono arricchiti di parole e pensieri che ci scambiavamo in silenzio; io gli dicevo sempre: “Vecchio mio, tu mi sopravviverai…” ma lui, quasi presentendo il suo imminente futuro, si scherniva rispondendomi: “Nella vita non si sa mai con chi si ha a che fare…”
Ora che non c’è più, è venuta a mancare anche una parte di me e questo evento mi rattrista non poco.
Lasciatemi allora almeno la libertà di biasimare quelle mani che lo hanno tolto per sempre dalla nostra vista, dai nostri affetti, ma non dai nostri ricordi.
Tutte le razionali ragioni del mondo non potranno mai perdonare questo efferata azione distruttrice.
Uno dirà: “A cosa serviva?” Perché, per esistere dobbiamo per forza servire a qualcosa? Non bastava la sua ombra, la sua chioma, il suo tronco e le sue radici?
Già, le sue radici che tanto male fanno alle case che sono a lui vicine, andandone a minare le fondamenta.
Ma le fondamenta si possono ricostruire; un pino non più.
71 anni, ben portati, poi ti arriva una improvvisa disgrazia e non ci sei più.
Ma le sue radici, ben piantate nelle mie, mi manterranno sempre più attaccato alla mia terra, a quell’amato scoglio , come tutti ben sanno.
Maria Conte
6 Maggio 2020 at 16:01
“La Quercia caduta”, di Giovanni Pascoli
Dov’era l’ombra, or sé la quercia spande
morta, né più coi turbini tenzona.
La gente dice: Or vedo:era pur grande!
Pendono qua e là dalla corona
i nidietti della primavera.
Dice la gente: Or vedo:era pur buona!
Ognuno loda, ognuno taglia. A sera
ognuno col suo grave fascio va.
Nell’aria, un pianto… d’una capinera
che cerca il nido che non troverà.
Dedico la lettura di questa poesia, con tutto il cuore, a quelli – spero pochi – che, anche con la sola indifferenza, hanno contribuito alla scomparsa dell’albero nella piazzetta della Dragonara.
Grazie. Adesso, si potrà parcheggiare meglio…
Maria Conte, da Padova.
Luisa Guarino
6 Maggio 2020 at 17:02
L’importante ora è non abbassare la guardia e non limitarsi a piangersi addosso. Purtroppo il pino della Dragonara non ce lo ridarà più nessuno: ed è incredibile come a Ponza certi avvenimenti, nel silenzio totale dell’inverno (quest’anno poi…) passino del tutto inosservati, finché non è troppo tardi. Eppure per abbattere un pino ce ne vogliono di movimenti, permessi, interventi della Forestale e così via. Da noi si è saputo tutto solo a cose fatte. Ma purtroppo la colpa è anche nostra, che non viviamo sulla nostra isola, e di chi non ci informa almeno strada facendo. Mentre sull’isola notoriamente la sensibilità ambientale… è straordinaria! Comunque, l’importante è sorvegliare che quell’aiuola con il muretto resti lì bella in piedi, piena di terra e pronta a ospitare quanto prima un altro albero, magari meno impegnativo e pericoloso… ma un albero.
Alcuni anni fa abbiamo dovuto affrontare lo stesso problema nel parco condominiale di casa mia, dove le radici di due pini rischiavano di far saltare il vicino campo da tennis. Io e tanti altri proprietari abbiamo sostenuto una dura battaglia, ma alla fine abbiamo dovuto capitolare: il danno era troppo evidente. Però al posto di quegli alberi ne sono stati subito piantati altri due, che mi sembra siano delle canfore: la crescita è stata più lenta e la chioma non è altrettanto bella, però almeno non si è persa vegetazione.
Perché ogni albero abbattuto va sostituito.
Anche a Ponza.