segnalato e inoltrato in Redazione da Rita Bosso
.
Parracine
di Annamaria Geladas (*)
Un termine tipico del dialetto ischitano è quello che indica il muro a secco, realizzato con pietre in tufo, che caratterizza i nostri paesaggi di campagna.
Sto parlando della parracina, parola che non esiste nel dialetto napoletano, a quanto mi risulta. Il termine deriva dal greco, precisamente dal verbo che nella traslitterazione suona parakeimai, giacere, passare accanto, costeggiare.
Le parracine, infatti, venivano costruite per delimitare confini, nei terrazzamenti dei vigneti o solo per proteggere dai venti le zone particolarmente esposte.
Al di là di questo, tutti quelli che abitano sull’Isola (Ischia – NdR) conoscono la bellezza oltre che l’utilità di queste strutture che lasciano defluire le acque piovane tra pietra e pietra, impedendo che il terreno si inzuppi e frani, e si fondono con l’ambiente naturale ricoprendosi di muschi, capperi e altre piante spontanee.
Le parracine sono le strutture tipiche dei terrazzamenti.
Laddove il territorio è collinare e non ci sono pianure che facilitano la pratica agricola, l’uomo è intervenuto sulla natura recuperando aree coltivabili con la tecnica dei terrazzamenti, attestata in Italia fin dall’epoca dei Liguri, una popolazione pre-romana che ha dato il nome alla Liguria.
I terrazzamenti sono uno degli esempi più lampanti dell’ingegno umano. Oltre a essere considerati utilissimi per il contenimento del terreno dilavato dalle acque piovane, sono dei veri e propri capolavori architettonici in cui troneggiano i muri a secco, quelli che dalle nostre parti hanno appunto il nome di “parracine”.
La tecnica di costruzione ricorda quella delle cosiddette mura ciclopiche micenee, e tracce di questa pratica si ritrovano nel capitolo dell’Odissea in cui Laerte, vecchio re contadino, padre di Odisseo (Ulisse), dà l’ordine ad alcuni servi di raccogliere pietre per costruire un muro attorno a una vigna.
I terrazzamenti hanno un impatto ambientale limitato, non deturpano il paesaggio ma gli conferiscono un fascino tutto particolare, al punto che alcuni paesaggi terrazzati sono Patrimonio dell’Umanità per decisione dell’Unesco; mi riferisco ai terrazzamenti di Yuanyang nello Yunnan, Cina; a quelli dell’isola di Bali in Indonesia; alle Cinque Terre in Liguria e alla Costiera Amalfitana in Italia (vedi anche…
Yuanyang (Yunnan) – Terrazzamenti per la coltivazione del riso
La pratica dei terrazzamenti era diffusa anche nella nostra Isola per la coltivazione della vite. In particolare la parte occidentale ai piedi del Monte Epomeo, parte in cui si trova la località Fango, è sempre stata particolarmente adatta alla viticoltura per vari fattori. In primo luogo presenta una maggiore quantità di tufo verde che, essendo ricco di potassio, rende molto fertile il suolo oltre ad offrire materiale per la costruzione di muri, cantine e cisterne. Le fumarole e le acque termali, di cui è ricco il sottosuolo, creano un ambiente particolarmente adatto alla coltivazione della vite, favorita anche da una migliore esposizione al sole di quelle zone. La viticoltura, quindi, è stata per secoli una risorsa economica importantissima per l’Isola, Lacco Ameno compresa con i vigneti del Fango e di Crateca.
Struttura di una parracina (‘ncopp’ ‘u Schiavone)
La tecnica dei terrazzamenti iniziò ad essere abbandonata negli anni ’50 del ’900 con il boom del turismo. I braccianti esperti nella costruzione di parracine e nella coltivazione della vite iniziarono a trovare lavoro nei ristoranti, nei bar e negli alberghi. Sulle nostre colline le viti, ereditate dai nonni, iniziarono a essere sostituite da ville di varie dimensioni con un effetto spesso devastante sull’ambiente e non solo dal punto di vista estetico.
Fortunatamente da un po’ di tempo a questa parte c’è una riscoperta delle potenzialità agricole dei nostri terreni che danno pomodorini che non hanno niente da invidiare ai pachino per la dolcezza della polpa, fagioli zampognari, coltura isolana antica e caratteristica, fave e ortaggi di ogni tipo, che alcuni innamorati della terra continuano a coltivare tra i filari di viti alternando la semina e la raccolta come si faceva una volta.
Chissà se un’arte antica come l’uomo, qual è l’agricoltura, non possa diventare un’occasione per risollevare il futuro delle isole.
(*) – Annamaria Geladas è archeologa, docente e amministratrice della pagina facebook della Proloco Lacco Ameno
Note – A parte la foto di copertina “Parracine a Ischia”, di Enzo Rando, le altre immagini che illustrano l’articolo sono riferibili a Ponza, salvo diversa indicazione