di Sandro Russo
.
Amo il sito perché…
Perché mi porta lontano… mi fa conoscere cose che non avrei scoperto senza.
Così mi aveva incuriosito il film citato da Tano in una sua recente “Canzone per la domenica”.
L’avevo notato nelle sale ma poi, come spesso succede, era uscito di programmazione troppo presto e mi era sfuggito. Mi è tornata voglia di vederlo dopo averne letto sul sito, appunto.
Il film è ben sintetizzato nel pezzo di Tano, che però lascia un interrogativo in sospeso (…lo farò anch’io!): “Quale sarà mai il nomignolo che gli studenti hanno dato al professore”?
Ma torniamo all’inizio: amo il sito, e amo i film e le occasioni che propongono…
Una delle espressioni preferite di Tano è: “Un film è come il maiale: non si butta niente!”.
Intendendo che un film è una costruzione talmente complessa che se ti ci metti con la giusta disposizione e a mente aperta, qualcosa sempre ci trovi. Anche nei film che non piacciono; a maggior ragione in quelli che piacciono. Detto così è una semplificazione inaccettabile – le categorie mi piace/non mi piace -, riferite a un film, sarebbero da bandire.
Meglio sarebbe rispondere: – Un momento, parliamone.
Questo film del 2014 – La vita è facile ad occhi chiusi (Vivir es facil con los ojos cerrados), del regista David Trueba, è un tipico film di viaggio (road movie), dove il viaggio è metafora, occasione di crescita e di cambiamento. È la storia di un professore di inglese della Spagna ancora franchista (l’ambientazione del film è nel 1966) che si mette in viaggio su una sgangherata 850 verde – una delle macchine più brutte mai costruite – per andare ad incontrare John Lennon che sta girando un film in Almeria [Come ho vinto la guerra (How I Won the War), film del 1967 diretto da Richard Lester]. Per la strada raccoglie due giovani che stanno più o meno fuggendo da casa. Le interazioni fra i tre sono il nucleo della storia e di un’avventura che cambierà le loro vite.
Il professore (Antonio) oltre ad essere un patito dei Beatles (utilizza le parole delle canzoni per insegnare l’inglese ai suoi recalcitranti studenti), ama le citazioni poetiche. Il suo preferito è Machado (1875 -1939), che si chiama come lui.
sopra i monti lontani sangue ed oro…
Morto è il sole…
Che cerchi, poeta, nel tramonto?
E più avanti:
Vai, cammina,
non sarai arrivato
finché non hai perso tutto
La prima poesia: “Nuda è la terra”, viene dalla raccolta “Soledad”, del 1903 e tutta intera fa così:
Nuda è la terra, e l’anima
ulula contro il pallido orizzonte
come lupa famelica. Che cerchi,
poeta, nel tramonto?
Amaro camminare, perché pesa
il cammino sul cuore. Il vento freddo,
e la notte che giunge, e l’amarezza
della distanza… Sul cammino bianco,
alberi che nereggiano stecchiti;
sopra i monti lontani sangue ed oro…
Morto è il sole…
Che cerchi, poeta, nel tramonto?
Del secondo componimento non sono riuscito a identificare la provenienza (…se qualcuno mi può aiutare gliene sarei grato). Ma dopo aver cercato invano nel vasto mare del web sono andato a vedere sul sito… e qui ne ho trovato di materiale su Machado!
Perciò torniamo al sito, per chiudere il cerchio e spiegare perché lo amo.
Di Antonio Machado, poeta andaluso, hanno scritto: Gabriella Nardacci: Altri viaggi. Cammina… cammina… (1) e (2); Gennaro Di Fazio: Il mare, e anche io: Sino estelas en la mar
Di quest’ultima poesia, forse la più famosa sul tema dell’andare, riportiamo qui la versione completa :
Viandante
Tutto passa e tutto resta,
però il nostro è passare,
passare facendo cammini,
cammini sopra il mare.
Mai cercai la gloria,
né di lasciare nella memoria
degli uomini la mia canzone,
io amo i mondi delicati,
lievi e gentili,
come bolle di sapone.
Mi piace vederli dipingersi
di sole e scarlatto, volare
sotto il cielo azzurro, tremare
improvvisamente e scoppiare…
Mai cercai la gloria.
Viandante, sono le tue orme
il cammino e niente più;
viandante, non c’è cammino,
il cammino si fa camminando.
Camminando si fa il cammino
e voltando indietro lo sguardo
si vede il sentiero che mai
si deve tornare a calpestare.
Viandante non c’è cammino,
ma solamente scie nel mare…
Un tempo in quel luogo
dove oggi i boschi si vestono di biancospino,
si udì la voce di un poeta gridare
«Viandante non c’è cammino,
il cammino si fa camminando…»
Colpo dopo colpo, verso dopo verso…
Morì il poeta lontano dal focolare.
Lo copre la polvere di un paese vicino.
Allontanandosi lo videro piangere.
«Viandante non c’è cammino,
il cammino si fa camminando…»
Colpo dopo colpo, verso dopo verso…
Quando il cardellino non può cantare.
Quando il poeta è un pellegrino,
quando non ci serve a nulla pregare.
«Viandante non c’è cammino,
il cammino si fa camminando…»
Colpo dopo colpo, verso dopo verso.
Originale e traduzione (cliccare per ingrandire)
Tano Pirrone
19 Gennaio 2020 at 07:19
Non solo del maiale, non si butta nulla
Caro Sandro, come sempre faccio, ho letto stamattina la tua posta, quando fuori il buio era ancora pesto e le strade bagnate mi assicuravano che l’avrai fatta franca: le mie piante in terrazza, per oggi, non mi avrebbero visto ed avrei potuto dedicare la mattinata ad altre cose inutili. La tua e-mail conteneva con un brevissimo commento il link per l’articolo già piazzato in prima pagina: Un film è come un maiale…
Mi attribuisci correttamente la paternità della sentenza, che affonda la sua ragion d’essere nella profonda passione che ho per il Cinema – per lo Spettacolo in genere – e per il porco, animale simpatico, buono (soprattutto da degustare) e di cui si utilizza ogni sua parte.
Cinquant’anni fa partecipai alla festa per la macellazione del maiale, un rito vero e proprio in cui si lavora tutti tanto ed è una vera scuola gastronomica ed etnografica. Tutto fu utilizzato: con gli ossi e i pochi lembi di carne attaccati fu preparato un brodo di squisitezza inaudita, secondo solo, a mio modestissimo parere, a quello di lepre, che mia madre qualche volta preparava quando il bottino della notte era abbondante, almeno quanto la trasgressione che l’aveva prodotto. Tutto, del maiale, fu utilizzato, quel giorno nelle campagne di Arzachena, anche gli ossi, che dopo aver bollito a lungo ci dettero l’ottimo brodo. Nel raggio di centinaia di chilometri non c’erano dietiste a sorvegliarci. Fortunatamente.
Il sapore di grasso che restava in bocca veniva subito cancellato da capienti boccali di vino locale, rosso sangue, tanninico, con retrogusti di macchia mediterranea. Lentisco, mirto erano clandestini che s’inabissavano per sparire nei fiumi sotterranei del nostro sistema circolatorio amplificando allegria, piacere di stare insieme, capacità di sentire – fisicamente – la vita che ci possedeva, urlava, danzava in rituali magici.
Di un altro argomento brevemente voglio parlare, cioè del discorso su Lennon che io nel mio articolo precedente, cui tu fai riferimento, avevo trascurato per non eccedere in lunghezza e quindi in facilità di lettura: del matrimonio, cioè, che legò, oltre la morte troppo presto arrivata, John Lennon a Yoko Ono. Facendo le indispensabili ricerche per scrivere il mio articolo avevo scoperto che al momento del matrimonio avvenuto il 20 marzo del 1967 a Gibilterra (l’unico posto dove i loro documenti fossero sufficienti per celebrare il rito) Yoko Ono assunse legalmente anche il cognome del marito diventando da quel momento Yoko Ono Lennon); Lennon a sua volta assunse legalmente il cognome della moglie, diventando John Winston Ono Lennon.
Come ben sai anche le storie si possono utilizzare fino in fondo, senza buttar via nulla. Sarebbe utile scrivere, pertanto, qualcosa sull’uso di passare il cognome del marito alla moglie, come se fosse un cambio di proprietà. Chi ci vuol provare?
Tano Pirrone
19 Gennaio 2020 at 08:38
A Sandro
Allo stesso tema iscriverei la poetica di Clint Eastwood – a proposito del suo film più recente, da qualche giorno nelle sale: “Richard Jewell” -, specialista di recuperi e salvataggi. Stamattina, già a giorno inoltrato (07,41) mi è arrivato un tuo messaggio WA. Senza chiedere il tuo permesso lo trascrivo aggiungendo la mia risposta che ti ho inviato sempre per WA.
Sandro: Bravo il vecchio Clint. Con una bella scommessa: riabilitare come eroe uno antipatico e ciccione per una vicenda meno eclatante dell’ammaraggio di un aereo sull’Hudson dove per Sully aveva quel bell’attore che è Tom Hanks. Ricorda anche un po’, per l’invadenza e la falsità dei media, Eroe per caso, di Stephen Frears, del 1992 (con Dustin Hoffman).
Tano: Cercherò di vederlo se trovo uno spazio nella prossima farcitissima settimana. Tutto si può dire al Vegliardo tranne che manchi di coraggio: tutti i suoi film sono controcorrente, affrontano tempi urticanti, dimenticati consapevolmente e per ignavia, o riposti negli anfratti della Storia. La narrazione di Storie misconosciute contribuiscono a dar forma più corretta e giusta alla nostra Storia. Lunga vita al Vecchio.