di Francesco De Luca
per la seconda parte (leggi qui)
Terza parte
“Ponza è l’ultima giornata trionfale di Genova democratica e marinara…” lo scrive Augusto Vittorio Vecchi alias Jack La Bolina (Vol. I Livorno 1895 – pag. 245 – riportato da Apollonj Ghetti a pag. 153), attardandosi a narrarla nei dettagli. Perché la battaglia ebbe ripercussione notevole anche nei libri di storia e di letteratura: “la battaglia di Ponza, l’ultimo grande scontro navale genovese del medio evo”.
Il Sismondi ne scrive “La plus importante, la plus glorieuse, qui de tout le siecle eut été remportée sur la Mediterranée”. Ne scrive il Cantù (Storia Universale, tomo VI pagina 781, nota 6 ). Ne scrive Giovanna Balbi – Uomini d’arme e di cultura nel Quattrocento genovese, pag. 126 e segg.
Anche Ciriaco Anconitano scrive di Biagio Assereto e di Ponza, insieme a Matteo Vegeo e Antonio Astesano (1436).
La comedieta de Ponca , il famoso poeta spagnolo Don Inigo Lopez de Mendoza, marchese di Santillana (1398 – 1458) in essa narra la battaglia.
Gabriele D’ Annunzio, infine, nella ‘Canzone del sangue’ (Laudi, libro quarto – Merope) scrive:
“… per l’ombra di quel semplice Assereto
e posto sopra il cassero, l’albero
trattò meglio che il calamo, la barra
in battaglia assai meglio che il sigillo
contro il fior d’ Aragona e di Navarra
vincitore di re su mar tranquillo
con gli infanti coi duchi e coi gran mastri
aggiungendo al trionfo un codicillo…”
E’ finita qui? No.
Ponza, estate 1955. Dei pescatori ponzesi sott’acqua trovarono delle monete antiche. Sono “ducati d’oro con l’effige di re Alfonso I a cavallo e lo stemma d’ Aragona sul verso, sono carlini d’ argento (alfonsini) con la figura dello stesso assiso in trono; e mucchi di denarelli , le monete in bronzo della stessa epoca” (Giornale d’ Italia del 1° luglio). Quale epoca?
Quella del 1435? Sono forse rimasugli di quella nefasta battaglia? Chi può asserirlo.
APPENDICE
Quale vita si conduceva a Ponza in quel tempo?
La domanda appare fascinosa perché fa supporre chi sa quale visione. La verità è che sulle isole nessuna comunità civile vi prosperava. Le uniche presenze residenti erano quelle dei monaci. Ridotti e trincerati nel monastero di Santa Maria a Ponza (il monastero di Zannone era già stato abbandonato). Questo, per potersi reggere, era stato collegato con l’ Abbazia delle Tre Fontane a Roma.
Le isole perciò erano abitate da sparuti e tremebondi monaci. Ai quali toccava subire di frequente le scorrerie dei corsari arabi, mori, turchi e cristiani. Non protetti da nessun presidio militare perché le città rivierasche avevano il loro da fare per rintuzzare gli attacchi che anche per loro venivano dal mare. Attacchi imprevisti e devastanti.
Riporto quanto scrive l’ Apollonj Ghetti nel trattare il periodo storico che sto narrando. “ E qui (pag. 145) conviene forse sostare brevemente e, trascurando una volta tanto di seguire la mera successone degli eventi, lasciare libero corso alla fantasia e tentare di immaginare lo stupore attonito delle isole e dei pochi monaci che le abitavano allorquando, in occasioni simili a questa or ora ricordata (nota mia – la battaglia di Ponza) l’alto silenzio dei luoghi era subitamente rotto dal vocìo delle ciurme, dal risuonare dei comandi, dal crepitare delle vele sotto la sferza del vento fresco e dal ritmo della voga, eventualmente dallo strepito della battaglia; e, ancor di più, quando i marinai, i soldati, spesso i corsari, e i pirati scendevano a terra, stanchi, laceri, affamati, assetati, a volte feriti o malati, e si abbandonavano sulla riva, si rifugiavano nelle grotte; oppure, intorpiditi per una lunga navigazione, si sfogavano a inerpicarsi su per le pendici, si aggiravano per i brevi pianori, si addentravano nei boschi; e in ogni caso si rifornivano di acqua (in Ponza all’acquedotto romano ancora funzionante) e, se possibile, di viveri freschi, magari cacciando la selvaggina e predando quel poco che trovavano ”.
I monaci subirono più e più volte l’affronto sacrilego della gente che scorrazzava per il Tirreno, diventato mare infido.
Resistettero per quel che poterono. Ridotti di numero e senza passione.
I monasteri infatti manifestavano appieno la crisi che stava vivendo tutto il mondo monacale. Ridotto, nella maggioranza dei casi a commenda, ossia a fare da rendita ai prelati (cardinali per lo più). L’ abbazia di Ponza era diventata commenda dell’abbazia delle Tre Fontane a Roma. Nel 1461 papa Piccolomini (Pio II) unì il monastero di Santa Maria di Ponza al monastero di S. Anastasia a Roma. L’atto preluse alla dipartita definitiva dei monaci dall’isola madre (1463).
Contro questa degenerazione dell’istituto monastico si levò la rivolta proveniente da Citeaux. L’ordine cistercense considerava la commenda vipera matris ecclaesiae
Ma per Ponza un’altra soluzione si stava prospettando. Nel 1477 il papa Sisto IV autorizzò la cessione in enfiteusi dell’ arcipelago ponziano a favore dei cavalieri napoletani Alberico Carafa, Antonio Petrucci, Aniello Arcamone. In enfiteusi lo concesse, ossia in uso. L’operazione fallì nel giro di pochi anni ma offrì l’esempio di una operazione che fu eseguita nel 1700 e che ebbe successo.
Note: L’arcipelago Pontino, nella storia del medio Tirreno, Fabrizio Apollonj Ghetti , Fratelli Palombi editori, Roma (da pag. 149 a pag.164).
[La battaglia di Ponza del 1435. Un racconto documentato (3) – fine]