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Museo è una parola che rievoca e rievoca. Ad alcuni il museo potrebbe dare l’idea di muffa, di chiuso.
Qua una statua, spesso decapitata; là un’anfora o un’àncora. Una piccola targa che per leggerla ci vuole la lente d’ingrandimento. Per lo più silenzio. Ci si aggira come le anime del purgatorio dantesco. Qualche freccia indica l’itinerario che bisogna seguire fino all’uscita. Si respira aria polverosa.
Il più sagace dice che lo si fa apposta perché così ci si immedesima meglio nei tempi andati. Se poi vedi qualche occhio sbarrato di antico imperatore barbuto, va a finire che di notte hai gli incubi.
Qualcuno scrive che Ponza non può paragonarsi alla sorella più piccola o ad altri musei.
Secondo me Ponza, di per sé, è un museo a cielo aperto. Un piccolo scrigno. Nel senso che dovunque ti giri vedi tracce antiche.
Tracce che vanno dalle tombe ad ipogeo dei Guarini (o non ci sono più?), agli scalini di Cala d’Inferno, alla grotta del Serpente, al tunnel per la spiaggia di Chiaia di Luna che, riattivato, potrebbe produrre anche qualche soldino per la sua manutenzione , passando per i fortini del ’700 ed infine – perché no – anche per la Guardia dove una volta c’erano uomini che facevano segnali con le bandiere alle navi di passaggio (cosa sono, come si fa?). Per inciso ho letto da qualche parte che su alcune navi della marina militare americana sono stati tolti i touchscreen e sono stati riattivati i comandi manuali.
L’elenco sarebbe troppo lungo e quelle quattro persone che leggono ci possono anche pensare.
Una bella organizzazione: giovani guide esperte di storia locale anche naturalistica e del firmamento. Prendi gli “ospiti – turisti – curiosi – interessati” e li fai sedere in circolo a guardare il cielo stellato, fai toccare la macchia mediterranea e racconti la storia di Lucia Rosa ed altro che sarebbe troppo lungo enumerare. Penso non ci voglia molto.
Anche questo è… Museo.
Non tutti, infatti, hanno l’esperienza di toccare con mano anche un… fico d’india o di assaggiare una… mostarda (qualcuno le fa ancora!). Bisogna rimboccarsi le maniche e… pensare, capire, studiare!
Bisogna chiamare in aiuto Zannone e Palmarola ed anche Gavi con le cave di bentonite o caolino (che roba è, a che serve?) e la miniera (si potrà?).
Bisogna che qualcuno riunisca intorno ad un tavolo persone di buona volontà.
Non spetta a me decidere e valutare, posso solo avere una “strana” idea, alternativa all’idea corrente di Museo. Da pubblicizzare adeguatamente.
Penso che così facendo si dia un’alternativa alle spiagge e forse così si potrà espandere anche la stagione turistica, che, se estesa, potrà divenire anche “ selettiva” evitando l’affollamento solo e soltanto in un breve arco di tempo ed il conseguente degrado di ogni cosa.
– Idee della calura estiva – direbbe Gaetano che sta in vacanza – Mìttete ’na pagliètta ’ncapa!
Rinnovo gli auguri per Ferragosto
Pasquale
Un Convegno su “Ecomusei” e “Musei diffusi”
Appendice
Allegato al commento di Sandro Russo (cfr.) del 14.08.2019: Documento-strategico
Pasquale Scarpati
13 Agosto 2019 at 21:40
Ho avuto un’altra idea a proposito del museo all’aperto, che integra la precedente.
Un museo itinerante associato al giro dell’isola; condotto da guide preparate e rigorosamente documentato: grotte di Pilato, Parata, Bagno vecchio, ecc… ecc… Ad ogni luogo, visto dal mare, una storia con una cartina.
Ci sono altri luoghi che in uno spazio così piccolo hanno un tale concentrato di storia? Per terra ed anche per mare? Io non ne conosco.
Sandro Russo
14 Agosto 2019 at 08:08
Con tutto il rispetto per l’originalità delle intuizioni di Pasquale rispetto ad un museo “senza mura” per Ponza, l’idea non è del tutto nuova.
La denominazione “ecomuseo” è stato coniata da Hugues de Varine nel 1971. Con questo neologismo egli voleva riferirsi ad un museo dedicato al territorio nel suo complesso:
“Un qualcosa che rappresenta ciò che un territorio è, e ciò che sono i suoi abitanti, a partire dalla cultura viva delle persone, dal loro ambiente, da ciò che hanno ereditato dal passato, da quello che amano e che desiderano mostrate ai loro ospiti e trasmettere ai loro figli.” (Hugues de Varine – Metz, 1935: archeologo, storico e museologo francese.)
La stessa Wikipedia gli dedica una trattazione estesa, con molti esempi di ecomusei presenti in Italia.
Numerosi sono anche gli incentivi che il MiBac – Ministero per i Beni e le attività culturali – dedica loro.
Interesserebbe piuttosto sapere se e come gli amministratori del Comune di Ponza e i vari delegati – alle attività turistiche, culturali e museali – hanno recepito questi nuovi orientamenti sul tema e se sono pronti a cogliere le occasioni (stimoli, incentivi, finanziamenti) che già in passato sono state proposte per gli “ecomusei”, alcune di esse ancora attuali.
Allego (nell’articolo di base) il file .pdf del “Documento strategico” sugli ecomusei, reperibile anche al sito: http://www.ecomusei.eu/
Luisa Guarino
14 Agosto 2019 at 15:40
Di certo l’idea di museo aperto, non nuova ma opportunamente riiverdita da Pasquale, sarebbe perfettamente applicabile a Ponza. Mi correggo: lo sarebbe stata… Infatti la maggior parte dei luoghi che lui menziona sono oggi inavvicinabili, per mare e per terra. Si vede che il nostro compaesano manca da parecchio dall’isola: un male o un ‘bene’, visto come stanno le cose?! Come sottolinea Sandro, sarebbe interessante (nonché doveroso da parte loro) sapere a questo punto se e come amministratori e delegati del Comune abbiano recepito le direttive e le opportunità in materia. Piace ricordare in tale contesto una bella iniziativa mi pare della Pro Loco, risalente a tanti anni fa, grazie alla quale Nino Conte, giovane e valente professionista nato a Ponza, guidava i visitatori a conoscere i resti di un’antica necropoli sopra Parata Grande. Un’ottima idea naufragata presto. Non si può contare sempre e soltanto sul volontariato.