di Antonio Usai
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Giungevano sempre più chiare, nel Paese, le prime avvisaglie della guerra coloniale. Durante la preparazione della Campagna d’Africa da parte del regime fascista, l’euforia contagiava gli italiani, giovani e meno giovani.
Eugenio, con delusione, apprese dalla radio che sarebbe stata richiamata alle armi, per la guerra in Etiopia, soltanto la classe 1911. Lui sarebbe rimasto escluso, perché aveva prestato servizio di leva con la classe 1910. Ma non si diede per vinto e, pur di assicurarsi un lavoro, chiese di arruolarsi come volontario nella Milizia. La sua domanda fu accettata e il 25 giugno del ’35 fu mobilitato ed assegnato alla 101^ Compagnia Complemento. E così, Eugenio partecipò alla guerra in camicia nera, piuttosto che in grigioverde. Fu inquadrato nel IV° Battaglione Misto Complemento della IV divisione 3 Gennaio: era un volontario di complemento, cioè occasionale, e non un effettivo (volontario per dieci anni) e perciò, dopo la conquista di Addis Abeba, suo malgrado, fu tra i primi ad essere congedato e rimandato in Italia.
La mattina del primo luglio, all’età di venticinque anni, Eugenio partì per seguire il corso di addestramento militare propedeutico all’avventura coloniale. Nel pomeriggio raggiunse il porto di Terranova Pausania, oggi Olbia, e la sera stessa s’imbarcò per raggiungere il continente.
Il viaggio, a bordo di un vecchio piroscafo, durò l’intera notte. Eugenio mise piede per la prima volta sul continente, a Civitavecchia, la mattina del due luglio. Attese qualche ora in stazione l’arrivo del treno che lo avrebbe condotto prima a Roma, poi a Napoli e infine a Salerno. La sera, all’ora di cena giunse in caserma a Salerno. Il primo indirizzo comunicato alla famiglia per la corrispondenza fu il seguente: «C. N. Usai Eugenio, IV° Battaglione Misto Complemento, 101^ Compagnia, 3° Plotone, 2^ Squadra – Salerno».
Dopo un breve periodo di addestramento all’uso delle armi, alla fine di luglio il reparto di Eugenio da Salerno fu trasferito prima a Baronissi, un paesino distante circa dieci chilometri, verso nord, sulla strada per Avellino, e poi, ai primi di ottobre, a Faiano, quindici chilometri a sud di Salerno, nei pressi di Battipaglia.
Il 14 settembre del ‘35, a tutte le camicie nere che avevano completato la preparazione militare, il Comando concesse una breve licenza. Ad Eugenio furono concessi cinque giorni, più quattro di viaggio, così poté far visita ai suoi cari in Sardegna, prima di andare al fronte. Partì in nave da Civitavecchia e approdò a Cagliari il mattino seguente, poi, con il trenino a vapore, proseguì per Gairo, dove abitavano i suoi familiari.
Conclusa la licenza, Eugenio ripartì la mattina del 24 settembre, giorno del ventesimo compleanno del fratello, e la sera stessa s’imbarcò a Cagliari. L’indomani mattina giunse a Civitavecchia e la sera era di nuovo a Baronissi.
Con il Decreto ministeriale del 17 ottobre 1935 furono fissate le paghe giornaliere coloniali per i militari impiegati in AOI: caporalmaggiore dell’esercito e vice-capo squadra della milizia, sette lire; caporale e camicia nera scelta, sei lire; soldato e camicia nera, cinque lire. La paga di Eugenio era di cinque lire al giorno! Le paghe coloniali decorrevano dal giorno d’imbarco per la colonia. Per il periodo compreso tra la data di mobilitazione e l’effettiva partenza per l’Africa, gli importi erano ridotti di un terzo.
La partenza per le colonie
Il 1° novembre del ’35, anno XIII dell’era fascista, alla vigilia della partenza per l’Eritrea, Eugenio scrisse da Faiano la seguente cartolina postale alla madre:
Carissima mamma,
quest’oggi, festa di tutti i Santi, mi recai di mattina presto in chiesa parrocchiale per ivi fare la SS. Comunione in onore dei Santi e del Sacro Cuore di Gesù, essendo anche il primo venerdì del mese, poi sono rimasto ad ascoltare la Santa Messa; spero che anche loro vi avranno partecipato costì. Mentre eravamo pronti nel cortile, con lo zaino affardellato per recarci al posto in cui è stata passata la rivista, proprio in quell’istante, mi sono giunte tre lettere: la sua datata del 29 u.s., nella quale vi trovai acclusa la loro graditissima fotografia che da tanto tempo anelavo, con le sue belle notizie di buona salute, come pari posso assicuravi di me. Baci, Eugenio.
P.S.: Vigilia della nostra partenza da Faiano diretti domattina per Napoli. Baci Eugenio.
Dopo il periodo di addestramento, durato più di quattro mesi, il 30 ottobre, per la divisione 3 Gennaio giunse finalmente la notizia tanto attesa: la tradotta ferroviaria per Napoli era stata fissata per sabato pomeriggio, 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti. Quel giorno i cittadini di Faiano dimostrarono un forte amor di Patria e un sincero sostegno ai soldati organizzando cerimonie di addio affettuose e grandi feste in onore delle truppe. I militari, a loro volta, presero parte a cerimonie civili e religiose: deposero corone di alloro al monumento dei Caduti e sfilarono orgogliosi tra ali di folla acclamante. Dai balconi e dalle finestre, pavesati con drappi tricolori, la gente commossa gridava Viva il duce, Viva il Re e lanciava fiori sui soldati che sfilavano impettiti. Molte donne piangevano e avevano sempre una parola gentile per quei giovani che andavano incontro ad un futuro incerto, forse anche alla morte, per il buon nome dell’Italia. Il momento era solenne e l’Italia si stringeva intorno ai suoi soldati. Manifestazioni del genere non si erano viste nemmeno in occasione della cerimonia del 24 maggio, anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale. E neppure il 2 giugno, festa dello Statuto, o il 4 novembre, festa della Vittoria nella grande guerra.
Alla stazione ferroviaria, fino alla partenza dei treni, la folla rinnovò gli auguri e i saluti ai soldati. Dopo circa due ore di viaggio, a sera, la divisione 3 Gennaio giunse a destinazione nel capoluogo campano. I militi trascorsero la notte a zonzo per Napoli, in cerca di svago. La mattina dopo, domenica 3 novembre, iniziò sulle banchine del porto l’adunata della Divisione per l’imbarco.
Affardellati e in perfetto ordine, le camicie nere a piedi s’incamminarono verso la stazione marittima, dove li attendeva all’ormeggio il piroscafo Colombo. Le operazioni d’imbarco erano già iniziate il giorno precedente nel piazzale del Molo Carlo Pisacane. Prima dell’arrivo dei militari diretti in Africa, sui piroscafi erano state caricate attrezzature belliche, derrate alimentari, merci varie, e tutto l’occorrente per il viaggio.
Il piroscafo Colombo
Il Colombo era un piroscafo costruito dai cantieri Palmer S. & E. Co. Ld. Jarrow on Tyne nel 1917, per conto della società armatrice Siculo-Americana di Napoli, che lo immatricolò con il nome San Gennaro. Con il nuovo nome, Colombo, nel 1932 passò alla Società Italia-Flotte Riunite e nel 1937 alla Società di Navigazione Lloyd Triestino.
Le caratteristiche della nave erano: stazza lorda, tonnellate 11.760; lunghezza fuori tutto, metri 163,4; larghezza fuori tutto, metri 19,5; potenza di propulsione, 10.500 CV pari a 7.728 KW; due eliche a pale fisse; velocità massima, 16 nodi; velocità di crociera, 14 nodi.
Durante la campagna in Africa Orientale, il Colombo fu requisito dal ministero della guerra e adibito al trasporto truppe: dopo aver subito opportuni lavori di adattamento in cantiere, fu in grado di imbarcare duemilaquattrocento passeggeri, oltre ad una gran quantità di mezzi bellici e merci.
Nei dormitori gli spazi erano molto angusti. I posti per dormire erano stati ricavati nei vari locali della nave realizzando tanti cameroni contrassegnati con lettere maiuscole dell’alfabeto: in ciascun locale erano stati costruiti tavolacci sovrapposti a castello, con i piani orizzontali distanziati poco meno di un metro. Su ogni piano erano stati tracciati tanti rettangoli, aventi ciascuno le dimensioni di una persona: il perimetro era delimitato da una tavola bassa, posta di taglio, ed ogni casella conteneva un materasso di erba, fasciato da una fodera, ed un guanciale.
Con la proclamazione dell’impero, i collegamenti marittimi fra l’Italia e i porti dell’Eritrea e della Somalia, attraverso il Canale di Suez, divennero sempre più importanti: essi furono assicurati da un cospicuo numero di piroscafi, di medie e grandi dimensioni, con locali di lusso adatti al trasporto di passeggeri di alto bordo, ed altri più spartani per lavoratori e militari.
Il piroscafo Colombo che, prima della guerra era impiegato sulla tratta Genova-New York, nel 1937, a guerra finita, fu spostato sulla linea 153, la cosiddetta celere Tirreno–Africa Orientale Italiana: poteva trasportare comodamente, alla velocità di 14 nodi, 1.424 passeggeri e un equipaggio di quattrocento persone. La nave partiva da Genova ogni quattro settimane, faceva scalo a Napoli (il 2° giorno), a Port Said (il 5° giorno), a Suez (il 6° giorno), a Massaua (il 9° giorno), ad Assab (il 12° giorno) e a Gibuti (il 13° giorno). Al ritorno ripercorreva, in senso contrario, le stesse tratte fino a Genova.
Dopo la perdita dell’Africa Orientale Italiana, per evitare che il Colombo cadesse nelle mani degli inglesi, il 3 aprile del 1941, il Comandante impartì all’equipaggio l’ordine di affondare la gloriosa nave, mentre si trovava all’ancora nel porto di Massaua.
Antonio Usai
[L’avventura africana di Eugenio alla conquista dell’Impero (3) – Continua]