di Dante Taddia
Mia cara Ponzaracconta,
voglio scriverti come si fa a una persona cara che abbiamo sempre nel cuore e siccome lo sai benissimo, mi piace farlo in versi nella mia lingua romanesca, comincio proprio con queste poche quartine.
Gghiecimila, e nun ce pare
Gghiecimila e nun ce pare
so’ l’articoli che Ponza
racconta come ’n mare
che nn’a testa a tutti ronza
ppe fa’ vede ’st’isoletta.
drento ar core la portamo,
troppo spesso ’n po’ negletta,
e ppe’ questo commentamo.
’N vojio facce ‘’n manifesto
ma ddu’ parole de memento
cor dialetto mio rinfresco
a quanto all’animo cio’ drento.
Ppe’ nascenza ’n so’ ponzese
’sto diritto l’ho acquisito,
scusa chiedo a ste’ pretese,
ppe’ la mojie, dde ’sto sito!
Commento bbono s’ha dda fasse
ssu’ l’articoli millanta
’r ggiusto merito è dda dasse
ppe’ chi ha scritto robba tanta
Perché er mejio risurtato
Dde sopra a quanto amo ardito
Nun l’avressimo pijiato
Si ddar core ’n fosse scito
E se per un caso qualche parola ti rimanesse oscura, mia cara Ponzaracconta, non ti preoccupare: “accendiamo la luce e vedrai più chiaro” (scusa la battuta scontata e troppo spesso abusata).
Ma proprio di luce voglio parlarti.
Di quella luce che, data la mia lontananza dall’amata isoletta, mi è servita tramite i tuoi scritti, ai quali ho dato un modesto contributo, a sentirti viva, e non la semplice espressione elettronica di un indirizzo mail.
Grazie per quello che mi hai dato, grazie per quello hai spinto tutti a dare.
Prendo a prestito un battuta della grande Elsa Maxwell (per chi non fosse adeguatamente informato è stata la più terribile giornalista Usa, che con i suoi lapidei e mordaci articoli ha cambiato, o per lo meno modificato, molto del costume made in Usa), la quale diceva appunto che per creare un personaggio bisogna parlarne: “Parlate di me, anche male, ma parlate di me”.
Ebbene, Ponzaracconta cara, tu hai fatto questo: hai spinto tutti, autoctoni e alloctoni, a fare di te un personaggio parlando, bene o male, ma parlando di te.
Hai permesso anche a chi sta lontano, solo chilometricamente ma con il cuore è presentissimo, a sentirsi più che mai parte della tua vita giornaliera.
Ti saluto caram… scusa, prima di completare il mio saluto voglio rinverdire per tutti il giorno in cui sei stata battezzata, e io ho avuto l’onore di essere stato il tuo padrino, con questa bella nota di colore che accludo in allegato.
E’ la locandina di quando hai mosso il primissimo passo, mia cara Ponzaracconta: era il 6 febbraio 2011, e c’eravamo tutti.
Oggi sono ancora lontano, sto in Mozambico, e proprio nella lingua del Paese che mi ospita, in portoghese ti saluto caramente ma…
“a mia saudade” mi dà un groppo in gola.
Non occorre che te lo dica, lo sai benissimo cosa è saudade, non una sola cosa o un solo stato d’animo ma tanti insieme: malinconia, nostalgia, tristezza per un ricordo felice, saudade per qualcuna che amiamo e che è lontana (l’isola), saudade di una cara amica (sempre l’isola), saudade per qualcuna che non si vede da tanto tempo (non è il tuo caso perché ci vediamo con internet), saudade di qualcuna con cui non parliamo da molto tempo (anche questo non è il tuo caso perché ci parliamo sempre per internet), saudade di un luogo caro (non voglio ripetermi ma è sempre Ponza), saudade degli sfizi gastronomici del cibo, saudade per il mio grande amore, mia moglie, che si identifica con l’isola.