Piroscafo Santa Lucia

Il Santa Lucia

Alla Redazione

 

Visto che è stato pubblicato un bell’articolo sulla tragedia del S. Lucia, sullo stesso argomento e senza alcuna pretesa di verità storica, vi invio un episodio, estratto da un libro più ampio: “Eugenio e Lucia, sposi a Ponza in tempo di guerra”, che ho scritto qualche anno fa sui miei genitori. Può interessare?

 

Tanto per inquadrare la situazione: Eugenio e Lucia, dopo il matrimonio, celebrato a Ponza il 12 ottobre 1941, si trasferirono a Ventotene, dove il capofamiglia prestava servizio. Verso la metà di luglio, Lucia dovette rientrare a Ponza perché la madre, Michelina, aveva avuto problemi di salute.

 

Sarebbe dovuta tornare a Ventotene proprio quel 24 luglio del 1943…

Antonio Usai

Il Santa Lucia

di Antonio Usai

Il piroscafo S. Lucia

Nel 1890, la “Società Napoletana di Navigazione a vapore” aveva vinto l’appalto per la gestione del servizio postale per le isole partenopee e ponziane, per la durata di 15 anni. La sovvenzione annuale era di 60 mila lire.

Nel 1903 entrarono in servizio due nuovi piroscafi, il Regina Elena e il Principessa Mafalda; altri  cinque nuovi di zecca nel 1912: Santa Lucia, Posillipo, Baia, Mergellina e Marechiaro.

Nel 1926, la SPAN (Società Partenopea Anonima di Navigazione), con sede a Napoli, assorbì la società che gestiva i servizi postali con le isole, potenziò la flotta con l’acquisto di altre navi ed ottenne la sovvenzione per il servizio di linea tra il golfo di Napoli e le isole dell’arcipelago Ponziano, per un importo di 4 milioni e 150 mila lire annue. Il piroscafo Santa Lucia fu destinato alle isole di Ponza e Ventotene.

Il primo attacco aereo al Postale

Il 23 luglio, il piroscafo, proveniente da Gaeta, durante le operazioni di sbarco presso l’isola di Santo Stefano, era stato fatto segno da colpi di mitragliatrice sparati da una pattuglia di otto bombardieri inglesi che, fortunatamente, erano stati messi in fuga dall’apparire di quattro aerei da caccia italiani. Grazie all’abilità del Comandante, la nave era stata solo sfiorata dai proiettili ma l’allarme dell’equipaggio era stato forte. Era la prima volta che il Santa Lucia correva un rischio così grave, forse per colpa di quel cannoncino tipo Breda montato a prua, ben visibile anche dagli aerei, che gli dava una parvenza di mezzo militare. In realtà, quel residuato della prima guerra mondiale non aveva mai sparato e non faceva paura neppure ai gabbiani.

Dopo aver fatto scalo regolare a Ventotene, il comandante Cosimo Simeone decise di proseguire il viaggio verso Ponza. Giunti nell’isola maggiore, le autorità militari del luogo, per prudenza, decisero di sospendere per qualche giorno i collegamenti marittimi con la terraferma, di attendere gli eventi e poi riflettere sull’opportunità o meno di ripristinare il regolare servizio di trasporto.

Anche se la percentuale di rischio era considerata minima dai più, convinti che gli inglesi non avrebbero avuto nessun interesse ad interrompere le linee commerciali delle isole ponziane, per prudenza si decise di far sostare per qualche tempo la nave nel porto di Gaeta. Ciò rendeva tuttavia necessario il trasferimento del piroscafo in continente.

Di fronte all’eventualità di una sospensione dei collegamenti con la terraferma per un periodo di tempo non prevedibile, in tanti decisero di anticipare di qualche giorno le partenze programmate.

Poiché dalla capitaneria di Gaeta non arrivava alcuna comunicazione relativa alla sicurezza della navigazione, il comandante del Santa Lucia decise di partire, senza dare ascolto alle autorità locali, parroco Luigi Dies compreso, che consideravano più sicura la sosta a Ponza in attesa degli eventi, piuttosto che a Gaeta.

Circa un centinaio di passeggeri si affrettarono all’imbarco. Si trattava per lo più di uomini, numerosi militari. Altri partivano per far provviste a Gaeta o per motivi di salute. Qualcuno era diretto a Ventotene per far visita a parenti e c’erano anche due coppie di sposi che partivano per il viaggio di nozze e alcuni bambini.

 

L’affondamento del piroscafo Santa Lucia  

 

Dallo scoppio della guerra, per chi viveva a Ventotene le difficoltà quotidiane erano aumentate enormemente. La stretta della fame si faceva sentire per tutti gli abitanti dell’isola. Il silenzio delle notti era continuamente rotto dal rombo dei bombardieri anglo-americani che passavano a bassa quota per portare la morte a Napoli occupata dai tedeschi.

La situazione militare sulla penisola italiana si stava evolvendo molto rapidamente. Il 12 giugno del 1943, le truppe anglo-americane avevano conquistato Pantelleria; il 10 luglio, erano sbarcate in Sicilia e in poche settimane si erano impadronite dell’intera isola.

In estate, durante il giorno, da Ventotene si poteva ammirare nitida all’orizzonte la sorella maggiore, Ponza, al di là delle 22 miglia marine che separano le due isole.

La mattina di sabato 24 luglio 1943, l’aria era limpida, come sempre in quella stagione. Neppure un soffio di vento! Il mare era calmo come l’olio.

Eugenio era in servizio di guardia, nel turno del mattino, a Parata Grande, un’ampia Cala posta a levante dell’isola. Si era svegliato di buon umore perché pregustava il ritorno  della moglie e del figlioletto. L’arrivo era previsto per la tarda mattinata. Per Eugenio la giornata si presentava piena di buoni auspici in un crescendo di gioia per la ricomposizione della famiglia!

Il giorno precedente, Lucia aveva inviato al marito un telegramma per informarlo del suo rientro a Ventotene in compagnia di Emilia, la sorellina di sette anni, e del padre Salvatore. Occorreva il loro aiuto per impacchettare la biancheria e organizzare il programmato trasferimento di Lucia a Ponza, visto che la situazione politico-militare non faceva presagire nulla di buono né per Ventotene né per il resto dell’Italia.

Con gli americani ben assestati in Sicilia e l’attraversamento dello stretto di Messina da parte degli Alleati, le sorti della guerra e dello stesso Mussolini sembravano ormai segnate. Si temeva, tuttavia, che un crollo del regime potesse provocare la rivolta dei confinati a Ventotene, con il rischio della vita per i militi e i loro familiari.

Eugenio ed altri suoi colleghi si preoccuparono di mettere al sicuro le rispettive famiglie. Ponza sarebbe stata certamente meno esposta, in caso di caduta del regime, tanto più dopo il trasferimento della colonia confinaria.

*

Dalla garitta di Parata Grande, moschetto in spalla e sigaretta in bocca, Eugenio scrutava con animo sereno il mare in direzione di Ponza.

Con un certo anticipo sull’ipotizzato orario d’arrivo, avvistò all’orizzonte il pennacchio di fumo nero del battello a vapore senza tuttavia scorgere la sua sagoma mimetizzata. Da quel momento in poi, non staccò più gli occhi, prima dal pennacchio e poi dallo scafo tagliente color grigio militare. Come un radar, seguì la sua rotta di avvicinamento fino a poche miglia da Ventotene.

Verso le dieci, avvertì un forte rumore in cielo, simile ad un rombo di tuono. Qualche istante dopo, vide sbucare da una parete a strapiombo dell’isola, in prossimità di Punta dell’Arco, quattro aerei che volavano a bassa quota con aria minacciosa. Si trattava di aerei caccia bimotori Beaufighter del 47.mo stormo della Royal Air Forze britannica.

Immediatamente suonò la sirena dell’allarme aereo che mise in allerta tutte le forze di sicurezza dell’isola. Si pensava che l’obiettivo fosse la chiatta corazzata ancorata nel porto, impiegata per rifornire il reparto tedesco di stanza sull’isola. Eugenio la pensava nello stesso modo e non si preoccupò più di tanto, perché il Santa Lucia non poteva essere confuso con un obiettivo militare, anche se il giorno prima era stato mitragliato da altri aerei inglesi.

Secondo il racconto di Altiero Spinelli, il capitano della chiatta tedesca, per sottrarsi ad un eventuale bombardamento, sciolse frettolosamente gli ormeggi e prese il largo. Ci fu subito uno scambiò di colpi di mitraglia con gli aerei, senza danni per nessuno. Dopo qualche minuto, uno dei velivoli compì un ampio giro nel cielo e poi si diresse nuovamente contro il bersaglio tedesco. Giunto in posizione di tiro, sganciò un siluro che, disegnando una lunga scia bianca nel mare, passò a pochi metri dall’imbarcazione senza colpirla.

Gli aerei iniziarono una nuova manovra d’attacco contro la chiatta ma improvvisamente, e senza un apparente motivo, cambiarono idea. Ripiegarono a sinistra, si allontanarono in formazione e puntarono verso il piroscafo che lentamente si stava avvicinando a Ventotene. Il Santa Lucia si trovava ormai poco distante dalle Secche dello Sconciglio.

Molto probabilmente, i piloti considerarono meno rischioso attaccare una nave disarmata, piuttosto che un’imbarcazione militare capace di rispondere con efficacia.

Poco dopo, un aereo si staccò dal gruppo, scese di quota e aprì il fuoco della mitragliatrice di bordo contro il vaporetto. Le vetrate dei saloni e della plancia andarono in frantumi e si contarono i primi feriti. Il capitano diede l’ordine all’equipaggio e ai passeggeri di riparare sotto coperta e spinse i motori alla massima potenza.

Terminato quel primo attacco, un secondo aereo si staccò dalla pattuglia, si abbassò a pochi metri dalla superficie del mare e, giunto a distanza utile, sganciò il siluro che portava sotto la fusoliera. La nave sussultò ma il comandante Simeone riuscì a schivarlo con un’abile manovra a zig-zag, poi, con le macchine alla massima velocità, orientò la prua verso la vicina spiaggia di Parata Grande, con l’intenzione di incagliare la nave sul basso fondale e mettere in salvo passeggeri ed equipaggio.

Invece, un terzo aereo si staccò dalla pattuglia e sganciò il secondo siluro. La nave riuscì ad evitare, anche questa volta, il micidiale ordigno.

Per i piloti era diventata ormai una questione di principio e allora decisero di chiudere la partita senza ulteriore perdita di tempo. I tre aerei rimasti si avventarono sul vaporetto inerme con un violento fuoco di mitragliatrici.

La cabina di comando esplose sotto il tiro incrociato. Il comandante fu ferito gravemente e le fiamme avvolsero subito il ponte superiore. La nave, ormai senza guida, divenne un facile bersaglio e il terzo siluro colpì in pieno la sala macchine

L’esplosione fu violentissima, i rottami volarono in tutte le direzioni, lo scafo si spezzò in due tronconi e, in appena 28 secondi, alle ore 10.08, il piroscafo s’inabissò con il suo carico umano.

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Da terra si vide chiaramente che dove prima c’era il pennacchio nero, ora non rimaneva più nulla. Non s’intravedeva né un segno di vita né una scialuppa di salvataggio. Tutto faceva pensare a una catastrofe immane !

Dopo un po’, cominciarono a scorgersi sull’acqua oggetti galleggianti multicolori. Forse anche persone che si aggrappavano a qualsiasi cosa pur di rimanere a galla, in attesa dei soccorsi.

Qualche minuto più tardi, gli aerei tornarono sul luogo del naufragio e mitragliarono i rottami appena riemersi insieme ai pochi superstiti. Certamente avrebbero fatto altrettanto con i soccorritori, perciò da terra nessuno si mosse fino a quando gli aerei non scomparvero all’orizzonte.

Secondo un testimone oculare, un aeroplano della squadriglia britannica fu abbattuto dalla contraerea tedesca mentre iniziava la ritirata.

Allontanatosi il nemico, i pescatori uscirono in mare con i loro gozzi nella speranza di trovare qualche superstite. Fino a pochi mesi fa si pensava che fossero state tratte in salvo soltanto quattro persone: il comandante Cosimo Simeone, il mozzo Luigi Ruocco, nativo di Capri, il timoniere Francesco Aprea e un carabiniere, i quali si erano forse gettati in mare dopo il primo attacco aereo.

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In occasione della celebrazione del 65° anniversario dell’affondamento del Santa Lucia, si è materializzato a Ponza il quinto sopravvissuto, l’unico superstite vivente di quella tragedia, l’ex Regio Carabiniere del presidio di Ponza Vincenzo Moretti, la cui esistenza, fino ad allora, era totalmente sconosciuta all’Associazione Famiglie Vittime del Santa Lucia.

Vincenzo Moretti, un arzillo vecchietto di ottantotto anni originario di Palestrina, all’epoca dell’affondamento era un giovane di ventitré anni. Si trovava sulla nave perché gli era stata concessa una licenza agricola di pochi giorni per aiutare la sua famiglia contadina nella raccolta del grano. Dopo la guerra Moretti è rimasto  ancora sette anni nell’Arma, poi ha aperto un bar e successivamente una ditta edile. Oggi vive a Roma ed ha due figlie. Dopo quel 24 luglio, per 65 anni Moretti ha mantenuto uno stretto riserbo per dimenticare quel tragico evento e solo ora, grazie alla Signora Mirella Romano, presidente dell’Associazione Famiglie Vittime del Santa Lucia, ha trovato la forza di parlare dell’affondamento del Santa Lucia.

Il comandante Simeone, gravemente ustionato e con numerose ferite interne, senza molte speranze fu trasportato con un idrovolante all’ospedale di Napoli insieme al mozzo, che aveva una ferita alla testa. Il primo morì due giorni dopo, il secondo si salvò miracolosamente. Un altro idrovolante trasportò il carabiniere in ospedale a Napoli e se la cavò in pochi giorni.

Francesco Aprea, originario delle Forna, dopo essere sopravvissuto ad un secondo naufragio, morì nell’affondamento del motoveliero San Silverio. Il destino voleva proprio che morisse annegato!

Si disse che il numero di vittime fosse stato così elevato perché il comandante della nave, pensando di fare cosa giusta, avrebbe ordinato ai marinai di rinchiudere a chiave i passeggeri nei saloni sottocoperta, per evitare che le raffiche di mitraglia degli aerosiluranti colpissero le persone. Probabilmente, impaurita, la gente si era messa al riparo spontaneamente, senza attendere gli eventuali ordini del comandante.

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Nella sciagura persero la vita circa un centinaio di persone. Secondo i risultati delle ricerche effettuate dalla signora Mirella Romano, figlia del finanziere di mare Carmine Romano, campione di nuoto, perito nella sciagura, soltanto 69 vittime sono state identificate con certezza, così suddivise: 17 membri dell’equipaggio, 10 marinai della Regia Marina, per lo più addetti al cannoncino di prua; 13 carabinieri, 7 guardie di finanza e 22 passeggeri. Per quest’ultima categoria, la lista è sicuramente incompleta perché all’epoca non c’era l’obbligo di registrare il nominativo dei passeggeri.

Tra le vittime, si contarono anche numerosi militari ponzesi, di ritorno al fronte dopo una breve licenza trascorsa in famiglia. C’erano anche due coppie di giovani sposi: Vincenzo Chiocca e Lucia Stimma, Vincenzo Piro, tenente dell’esercito, e  Elena De Filippis. Questi ultimi avevano celebrato le nozze nella chiesa della S.S. Trinità di Ponza poco prima della partenza e intendevano trascorrere la luna di miele a Ventotene in casa di parenti.

Qualche tempo dopo, i pescatori ventotenesi recuperarono le salme di tre carabinieri, che avevano lasciato Ponza per una nuova destinazione, e del fuochista Ettore Albarelli. I corpi delle altre vittime, invece, non furono mai recuperati. Forse i loro resti riposano ancora nel relitto-sacrario in fondo al mare.

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Dai risultati di una ricerca, eseguita nel corso dell’anno 2006, presso l’Archivio Storico della RAF dietro insistenti richieste della signora Mirella Romano, sembrano chiarirsi, almeno in parte, le motivazioni dell’attacco aereo. La parte più significativa del comunicato ufficiale inglese riporta: “… sembrerebbe che durante il percorso, la nave sia stata raggiunta da un Beaufighter (caccia britannico – Ndr) appartenente al 47° Gruppo di stanza in Tunisia. La Santa Lucia era la seconda di tre navi attaccate nella zona di azione del 47° Gruppo quella mattina, ed è stata affondata con due siluri. Si precisa che il 24 luglio 1943, i velivoli della RAF erano stati incaricati di interdire la navigazione ad ogni mezzo che avrebbe potuto trasportare sia personale militare sia scorte tra l’Italia, la Corsica e la Sardegna….”.

 

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Il relitto del Santa Lucia è adagiato su un fondale di 45 metri, a circa un miglio dalla costa. Esso è stato localizzato casualmente, per la prima volta nel 1959, dal pescatore subacqueo Raimond Bucher, mentre inseguiva una grossa cernia. Come un sacrario, benché ormai molto deteriorato, lo scafo custodisce gelosamente i suoi morti ed ogni anno viene visitato, con il rispetto dovuto ad un luogo sacro, da centinaia di esploratori subacquei.

L’Associazione Famiglie Vittime del Santa Lucia, in occasione del sessantesimo anniversario dell’affondamento del piroscafo, alla presenza di numerose autorità civili e militari, ha inaugurato a Ventotene un monumento progettato dall’architetto Antonio Sperduto di Gaeta.

Ogni anno, il 24 luglio, nel punto in cui si è inabissato il piroscafo, si svolge una commemorazione delle vittime della tragedia del Santa Lucia per mantenere vivo il ricordo del loro sacrificio, compiuto dalla barbarie umana sull’altare di una guerra sanguinaria.

* * *

Eugenio assistette sbigottito e impotente alla tragedia che si era consumata sotto i suoi occhi. Senza neppure riflettere sulle conseguenze del suo gesto, abbandonò il posto di guardia e corse a perdifiato verso il porto, con l’intenzione, risultata vana, di partecipare alle operazioni di soccorso. Non riusciva a darsi pace, pensando alla morte quasi certa della giovane moglie e del suo unico figlio di appena quattro mesi. Cercò subito di mettersi in contatto con Ponza per avere conferma della partenza dei suoi cari ma, per molte ore, fu tutto inutile. L’unico sistema di comunicazione a distanza operante sull’isola, quello telegrafico, attraverso la stazione semaforica di Monte Guardia gestito dalla Marina Militare, era stato riservato esclusivamente all’organizzazione dei soccorsi per il recupero dei naufraghi.

Il pover’uomo rimase a girovagare sulla banchina del porto a lungo e in angoscia. Per consolarsi pensava che in una madre l’istinto di sopravvivenza, a volte, può fare miracoli e che Lucia, giovane e determinata, avesse avuto il tempo di prendere in braccio il bambino e di lanciarsi in mare prima che il siluro esplodesse contro la fiancata del piroscafo. Forse, in quello stesso momento, ambedue erano ancora vivi, aggrappati ad un pezzo di legno, in attesa di essere recuperati dai soccorritori!

Ogni tanto, però, su quel tenue ottimismo prevaleva la disperazione più profonda. Eugenio immaginava Lucia e il bambino abbracciati tra i flutti, che venivano risucchiati dalla nave mentre si schiantava sul fondo marino. In quei terribili momenti, non gli restava che pregare il Signore ed invocare un miracolo divino.

Il provvidenziale rinvio della partenza di Lucia

Alla vigilia della partenza della figlia, Michelina era molto triste perché con Lucia e il bambino sarebbero partiti anche Emilia e Salvatore. Non si sentiva ancora nel pieno delle forze ed era preoccupata: senza un valido aiuto in casa temeva di non potercela fare. Inoltre, aveva saputo dell’attacco aereo del giorno precedente, temeva fortemente che l’incidente potesse ripetersi con conseguenze imprevedibili. Era meglio attendere che si calmassero le acque, perciò pregò la figlia di rinviare il viaggio di qualche giorno.

Lucia accettò di buon grado l’offerta della madre e decise di trattenersi ancora a Ponza. Era sicura che Eugenio non l’avrebbe presa a male. Ad ogni buon conto, gli avrebbe comunicato il cambiamento di programma l’indomani mattina…

Fu quindi per un puro caso, o per una premonizione, che quel giorno Lucia non si trovasse a bordo del piroscafo. Quella scelta si rivelò provvidenziale perché salvò la vita di Lucia, del suo bambino, di Emilia e di Salvatore.

La disperazione dei ponzesi

 

La notizia della tragedia giunse a Ponza quasi in tempo reale, perché le autorità dell’isola furono subito informate dell’accaduto dai colleghi di Ventotene.

La stazione telegrafica del Monte Guardia ricevette il seguente messaggio: “Piroscafo S. Lucia est stato affondato da aerei inglesi presso Ventotene recuperate cinque persone“.

Era quasi l’ora di pranzo. Lucia stava lavando il bucato nel cortile di casa e il piccolo giocava con le zie, Emilia ed Antonietta. Ad un tratto si udirono le urla strazianti di un bambino provenienti dalla strada.

La gente del vicinato si affacciò dalle finestre e dai balconi per capire cosa dicesse. Lucia fece pochi passi e si trovò subito ai bordi della salita della Madonna. Vide Spartaco, figlio di Silvia Vitiello e di Giordano Busi, un confinato politico di Bologna, relegato a Ventotene, letteralmente sconvolto. Il bambino, che aveva appena nove anni, correva a perdifiato verso casa e, tra le lacrime, gridava: «E’ affunnat ‘u vapore! So’ mort ’a nonna mia e ’a zia mia!».

E in effetti, nel naufragio persero la vita anche Rosalia Misuraca e sua figlia, Anna Vitiello, di appena vent’anni. Erano, rispettivamente, la nonna e la zia del piccolo Spartaco. Le due donne erano partite, con diecimila lire in tasca, per fare la spesa al mercato nero di Formia, perché nei negozi di Ponza non si trovava più niente, né da mangiare né da vestirsi.

In pochi istanti, con la rapidità di un fulmine, la notizia della tragedia si propagò per passaparola dal porto al resto dell’isola.

Nel quartiere della Madonna nessuno si aspettava una notizia così tremenda, perché nei primi tre anni di guerra, e fino a quel giorno, non era mai successo nulla di simile nell’arcipelago ponziano. Tutti gli isolani furono sconvolti. Gli uomini accorsero da ogni dove verso la piazza per avere dalle autorità civili e militari notizie dettagliate sulle modalità dell’incidente e per conoscere l’elenco completo delle vittime. I parenti dei naufraghi si disperavano, le donne urlavano e si strappavano i capelli invocando la protezione di San Silverio.

Mario Vecchione, incredulo per essere scampato alla morte, si sentiva un miracolato: quella mattina anche lui sarebbe dovuto partire per raggiungere Maria, la moglie, ospite della madre a Ventotene. All’ultimo momento, per una serie di motivi, era stato costretto a rinunciare al viaggio.

La famiglia di Michelina ringraziò il santo patrono e la Madonna della Salvazione per la disgrazia scampata.

Lucia si preoccupò subito di informare Eugenio che nessuno della famiglia si trovava a bordo del piroscafo quella mattina. Per diverse ore non le fu possibile mettersi in contatto con Ventotene, perché le linee telegrafiche erano riservate al coordinamento dei soccorsi. Soltanto verso sera Eugenio ricevette finalmente una bella notizia: «Lucia e bambino sono sani e salvi a Ponza

Il pover’uomo, dopo una giornata di trepidazione, finalmente si lasciò andare ad un pianto liberatorio e ringraziò il Signore per il pericolo scampato dai suoi cari.

*

L’affondamento del Santa Lucia, per le isole ponziane l’evento più luttuoso nella seconda guerra mondiale, avvenne proprio alla vigilia del crollo del regime. L’indomani, infatti, il Gran Consiglio del Fascismo votò la destituzione di Mussolini da capo del governo. Il re ne ordinò l’arresto e il trasferimento immediato a Ponza con scorta rafforzata. A tale riguardo, sono state fatte anche altre ipotesi sulle motivazioni dell’attacco britannico. Una di queste sostiene che gli anglo-americani sarebbero stati al corrente delle intenzioni del sovrano di destituire in quei giorni Mussolini e, nel timore che il capo del governo potesse fuggire dalla capitale via mare per sottrarsi all’arresto, la RAF avrebbe avuto il compito, come è emerso dalla ricerca effettuata presso gli archivi del Regno Unito, di cui  si è già ampiamente parlato nelle pagine precedenti, “… di interdire la navigazione ad ogni mezzo che avrebbe potuto trasportare sia personale militare sia scorte tra l’Italia, la Corsica e la Sardegna…”.

Antonio Usai

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