di Antonio Usai
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Martedì 31 dicembre 1935
Trascorsa la giornata di oggi, anche l’anno 1935 passerà nella parte delle cose che furono!
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Per chiudere l’anno da bravi artiglieri, oggi compiamo ancora tiri di esercitazione. Io, con il Comando di Gruppo e il Nucleo Topografico, mi reco all’osservatorio Toselli, una ridotta posta sulla catena di monti che domina la vallata di Scelicot e, da quel punto, avanti al quale si estendono le posizioni nemiche, il Ten. Colonnello dirige il tiro, alla presenza di due generali e di altri ufficiali superiori, tra i quali si trova il sen. Suardo, con il grado di maggiore d’artiglieria da montagna, e il Grand’Ufficiale Borelli, direttore de Il Corriere della Sera, col grado di sottotenente.
I diversi bersagli prefissati sono colpiti in pieno dalle granate dei nostri obici e i due generali si congratulano con il mio Comandante di Gruppo che, ancora una volta, ha dato prova delle sue alte capacità in materia di tiro. Alle 17.30, terminata l’esercitazione, alla quale hanno partecipato pure altri gruppi, rientriamo all’accampamento; io mi lavo per bene, perché nel percorso in camion ci siamo ben impolverati, poi consumo il rancio che consiste in un buon spezzatino, confezionato per festeggiare la fine dell’anno. Mi accendo una sigaretta e con gli amici mi chiudo in tenda, dove iniziamo la solita partita a scopone.
Sono circa le 20 quando la tranquillità della sera è interrotta dal sordo rumore del cannone che, in lontananza, a sud-ovest rispetto a noi, fa sentire la sua voce. L’accampamento tosto è in movimento, ognuno di noi corre ai propri posti, i segnali luminosi per il posizionamento dei pezzi vengono posti in funzione; da un momento all’altro si prevede che anche le nostre batterie dovranno entrare in azione e in pochi minuti si è pronti ad aprire il fuoco, qualora dovesse giungere l’ordine. Anch’io, ai primi colpi di cannone mi sono infilato le scarpe e mi sono precipitato fuori dalla tenda, convinto che finalmente gli abissini si fossero decisi ad attaccarci; in tal caso avrei trascorso la notte di S. Silvestro del 1935 in modo non comune, combattendo in un’azione di guerra.
Dal Comando di Artiglieria il Ten. Colonnello, prontamente accorso, ha chiesto per telefono informazioni su quanto stava accadendo: gli è stato risposto, fra la sorpresa di tutti noi, che non c’era alcun attacco nemico e che gli spari provenivano dall’Artiglieria della divisione Sila che aveva bombardato il paese di Scelicot per vendicare i quattro soldati sorpresi in un’imboscata dagli indigeni e barbaramente uccisi. A quella notizia, ognuno se ne torna tranquillo alla propria tenda, con senso di rincrescimento per la mancata azione di fuoco che sembrava sicura e imminente.
Mercoledì, 1° gennaio 1936
Questa mattina mi sono alzato alle 4.30 perché, nella tenda del Comando, noi componenti del Nucleo Topografico abbiamo vegliato per essere pronti a fronteggiare ogni evenienza, in conseguenza del bombardamento di ieri sera. A me è toccato fare l’ultimo turno, cioè dalle 4.30 alle 6.00; contrariamente al solito, alzarmi è stato faticoso, perché ieri sera ho festeggiato con i miei compagni di tenda il sorgere del nuovo anno fino all’una e trenta.
Fino a mezzanotte con alcuni cibi in scatola, biscotti e un fiasco di vino abbiamo brindato all’anno nuovo e fatto voti perché il 1936 sia apportatore di vittoria e di pace per l’Italia e permetta a noi soldati di ritornare alle nostre famiglie al più presto.
(…)
Il primo giorno dell’anno, in complesso, l’ho trascorso abbastanza bene, considerando che mi trovo in Africa: certo che il pensiero era lontano e l’animo era più propenso alla malinconia che alla gioia. Alla sera il padre Cappellano ha recitato il Santo Rosario ed impartito la benedizione. L’anno 1936 è iniziato ed io l’ho visto sorgere sotto il sole tropicale dell’Africa!
Giovedì 2 gennaio 1936
Mi ero addormentato da poco e dormivo di buon sonno quando, improvvisamente, un grido di allarmi ha fatto saltare in piedi, in un baleno, i seicento uomini dell’accampamento; in un attimo tutti si sono armati e sono usciti dalle tende, pronti a fronteggiare ogni evenienza; in tutti noi c’era ansia ed apprensione perché non si conosceva il motivo di tale allarme e il buio impenetrabile della notte rendeva tutto ancora più complesso. Anch’io mi sono precipitato fuori della tenda armato di moschetto e mi sono recato subito alla tenda del Comando del Nucleo Topografico, il mio posto in caso di azione. Intanto, si erano alzati pure gli ufficiali che, in attesa degli eventi, hanno disposto un intenso servizio di guardia attorno all’accampamento, mentre il Colonnello ha telefonato al comando di Artiglieria per chiedere informazioni. Gli è stato risposto che loro non ne sapevano nulla. Allora il Colonnello ha cercato di sapere chi avesse dato l’allarme; ha interrogato le sentinelle e il capoposto di servizio i quali hanno narrato di avere inteso grida di aiuto e di allarmi, insieme a colpi di moschetto, provenire dal vicino accampamento della divisione 28 Ottobre e così hanno pensato che si trattasse di un attacco di bande abissine e che le camice nere avessero bisogno di aiuto. Nel frattempo, le sentinelle mandate in ricognizione, al loro rientro al campo hanno riferito che tutt’intorno era tranquillo e così siamo rientrati nelle tende. Al mattino abbiamo saputo che le grida di aiuto del campo vicino erano state lanciate da una sentinella colta da un malore: le altre sentinelle avevano interpretato i suoi richiami come il segno di un attacco nemico e perciò avevano aperto il fuoco.
Questa mattina appena alzato mi godo lo spettacolo di un bombardamento da parte della nostra artiglieria su una postazione nemica; si tratta di batterie da 105/28 che sparano sull’Amba Aradam, dove i nostri osservatori più avanzati hanno individuato forti contingenti abissini. Sebbene siamo ad una distanza dal bersaglio di oltre quindici chilometri, si vedono distintamente i nembi di fumo e di polvere sollevati dalla scoppio delle granate che mettono a fuoco tutta la montagna; il bombardamento dura circa mezz’ora, il nemico che si trovava colà è stato disperso e messo in fuga dai precisi e micidiali tiri della nostra artiglieria. Nel pomeriggio gli aerei bombardano ancora altre zone, tormentando incessantemente l’avversario che tende a concentrarsi nei pressi delle nostre linee avanzate.
Venerdì 3 gennaio 1936
Ieri la divisione 28 Ottobre si è spostata in un’altra zona e così nelle immediate vicinanze del nostro accampamento non rimane altro che il villaggio di Cherghember Abù; poiché non possiamo fidarci totalmente degli indigeni, si decide di rafforzare il servizio di guardia attorno alla nostra posizione: è stato ultimato il muro di cinta sul quale sono piazzate sei mitragliatrici e il numero delle sentinelle è stato portato a trenta. Queste misure non sono eccessive perché, sebbene siamo distanti dalle prime linee, non è infrequente il caso di armati che, scorazzando indisturbati nelle retrovie, assaltano proditoriamente nella notte i nostri accampamenti per commettere atti di barbarie; è di ieri, infatti, l’aggressione subita da alcuni soldati del genio che, recatisi a far legna nella boscaglia, sono stati sorpresi da un nucleo di armati etiopici nascosti fra i cespugli e, nonostante la valida resistenza opposta, quattro dei nostri sono stati trucidati. Anche la giornata odierna è caratterizzata da un’intensa attività aerea, segno che il nemico da qualche settimana è diventato più ardimentoso e dà segni di crescente attività.
Sabato 4 gennaio 1936
Verso le otto, questa mattina, nella zona a Nord-ovest di Macallé, un intenso fuoco di artiglieria ha fatto sentire i sordi fragori degli spari: era la divisione C.C. N.N. 23 Marzo che ha svolto esercitazioni tattiche alla presenza di S. E. Badoglio, Comandante supremo delle forze italiane in AO. Il tuonare del cannone e le raffiche delle mitragliatrici hanno dato l’impressione di un autentico combattimento e noi tutti siamo stati ad ascoltare, entusiasti, la sinfonia di questa finta battaglia. E’, infatti, in tutti noi, vivissimo il desiderio di incontrarci col barbaro esercito del Negus con il quale tanti conti abbiamo da regolare.
A sera, nella mia tenda si riprende il gioco dello scopone fino a mezzanotte».
Antonio Usai
[Feste Natalizie sull’altopiano etiopico – 1935/36. (3) – Fine]