di Pasquale Scarpati
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Non parliamo dei collegamenti con la terraferma! Essi per il numero degli abitanti stabilmente residenti a quel tempo sull’Isola avrebbero dovuto essere almeno quotidiani. Si sarebbero dovuti vedere natanti di ogni tipo e dimensione solcare l’ampio mare, provenienti da ogni dove. Noi, a causa di questo andirivieni, avremmo dovuti ripararci con sandolini, canotti e barche in ogni anfratto e grotta… Invece per molti giorni della settimana la punta del “lanternino” rimaneva mestamente vuota. Il mare sembrava scivolare fin dentro il bar d’u pittore.
Così la domenica sera, il lunedì per tutta la giornata, il giovedì sera ed il venerdì mattina. Forse si voleva far emulare lo “splendido isolamento” di un’altra isola ben più grande.
Per questo le vettovaglie spesso erano carenti ed ancora una volta ci si doveva “arrangiare” con il baccalà spugnato specialmente nei mesi invernali, quando nei giorni di burrasca quando le onde tumultuavano, spumeggiavano in lontananza e andavano a morire sulle spiagge del Porto o si scagliavano violentemente contro la scogliera dietro il “lanternino”.
Ma il tempo uggioso e cattivo non riusciva a farci scemi (prenderci in giro) perché c’erano sempre delle scorte: di legumi, di farina (ed anche di crusca, ’a vrenna) riposta da qualche parte per fare un po’ di pane nel forno di qualcuno, dei rutunn’ arrecanate, delle sarde salate o degli aucielli messi sott’olio in qualche barattolo.
Per questo anche le notizie arrivavano sempre “stagionate”. Ogni mattina esse viaggiavano con il… vento marino o per meglio dire con il levante. Erano, però, quelle dei pescatori e quelle dei contadini che a dorso d’asino andavano al Porto per rifornirsi soprattutto di legumi per gli uomini e di granone e/o di vrenna per gli animali.
Di tutte le altre notizie non si aveva… notizia. Quelle scritte sui giornali arrivavano solo dopo un po’ di giorni: piano, piano e senza fretta perché: “la fretta è cattiva consigliera” diceva qualcuno. Qualcun altro, di rimando, aggiungeva: ’a jatta pe’ i’ i fretta facette i figli ciechi, per cui è sempre bene andare cuoncie, cuoncie.
Neppure la radio avrebbe potuto soddisfare “l’ansia” degli abitanti dell’Isola di conoscere le “cose” del mondo: l’energia elettrica era erogata soltanto per poche ore al giorno e, ovviamente, non esistevano apparecchi che funzionassero con le pile. Pertanto ci si affidava ai “passa parola” che, però, come si sa, non sono scevri da “inquinamenti”. Questi ultimi, però, sono rimasti nel tempo, abbarbicati come padelle sugli scogli. Si intrufolano dappertutto: nell’etere e nello scritto. Nel primo caso, pur non essendo composti da cose concrete, fanno più fracasso di una caotica banda musicale. Nel secondo caso agli occhi di chi legge sempre di fretta assumono altre forme o addirittura qualcuno dice di aver visto anche l’inchiostro cambiare colore nelle varie pagine.
In quel tempo nessuno, credo, aveva tempo e/o voglia di conoscere subito il pensiero altrui così come avviene oggi che non si lascia spazio alla riflessione ma immediatamente si sente il bisogno di comunicare anche a dispetto di qualsiasi convenienza. Così le notizie giungevano “stagionate”: dure e salate come il formaggio di pecora di nonna Tummetella, grattugiato anche per condire la pasta asciutta nella “festa” della vendemmia.
Così molti non erano a conoscenza di nulla o per mancanza di tempo oppure perché analfabeti e semi-analfabeti o, peggio ancora, perché di sera non avevano facoltà di leggere se non alla luce di una fioca e tremolante fiammella di una candela o di un lume a petrolio che, peraltro, veniva spento quasi subito per risparmiare il prezioso liquido. A tal proposito si può dire che in quel tempo quasi tutti i liquidi, ad eccezione del vino, erano preziosi: innanzitutto l’acqua: difficile da captare; le medicine che si scioglievano quasi tutte nell’acqua: difficili da comprare; e soprattutto il caffè: non frequente da offrire perché care (costoso). Per non dire dell’olio…
Quelli che avevano la fortuna di masticare meglio la lingua nazionale e di potersi soffermare in qualche bar avevano la facoltà di approfondire, discutere, rimuginare, e riflettere in attesa delle ulteriori novità scritte che sarebbero giunte di lì a qualche giorno, tempo permettendo!
Molti, poi, leggevano le notizie dopo avere scartocciato a casa il giornale che avvolgeva gli alimenti; altri, invece, amavano tagliare i fogli in quadratini e poi portarseli nell’angusto cesso. Colà, insieme alle pezze, essi assolvevano alla funzione che oggi ha la carta igienica.
Ma a molti sembrava molto brutto trattare in tal modo le notizie, per cui con i fogli di giornale creavano un cappello che avrebbe dovuto proteggere i capelli, a volte imbrillantinati, dalla polvere del cemento o della calce. Una sorta di elmetto ante litteram. Così essi potevano dire, a buon diritto, che le notizie arrivavano loro “direttamente in testa”, senza troppi sforzi.
C’è una netta e strana dicotomia tra ieri e oggi. Senza o con scarsi collegamenti tutto era vivo, tutti i negozi erano aperti, tutta la vita era concentrata in un fazzoletto di terra. Oggi con mille e certi (…o incerti!) collegamenti tutto tace, tutto è chiuso, tutto è morto per buona parte dell’anno.
Per ripopolare l’Isola, il solito buontempone ha suggerito quindi di ritornare ai frammentari e scarsi collegamenti di una volta. Asserisce infatti che se costretti a rimanere in loco, molti sarebbero costretti ad aprire le case o i negozi.
Ovviamente nessun collegamento con mezzi motorizzati tra le parti dell’Isola.
I mezzi di locomozione erano gli asini, qualche lanza che collegava il porto con le Forna a cui si ascendeva anche attraverso gli antichissimi, millenari scalini di Cala d’Inferno di cui oggi resta solo un triste moncone come un arto amputato; soprattutto si usava “il cavallo di S. Francesco” (cioè le gambe). A piedi scalzi o con scarpe dalla suola di cartone si camminava tra sentieri scoscesi in mezzo alle ginestre.
Le telecomunicazioni
Il telefono allora era un illustre sconosciuto! Una sola cabina pubblica al Molo Musco e Luigi che correva di qua e di là a dispensare biglietti di prenotazione per le telefonate in arrivo!
Ovviamente non esisteva apparecchio televisivo così le nonne potevano raccontare ai nipotini le favole degli orchi, degli spiriti che vagavano per le strade oscure. Raccontavano di Cenerentola e di Biancaneve, del Gatto con gli stivali e di Pollicino, della Bella addormentata nel bosco e di Cappuccetto rosso ma soprattutto del Vecchio dalla barba bianca apparso, nella notte scura, ai miscredenti condannati al “Bagno vecchio”: i cosiddetti quatt’ (coatti).
I piccoli, impauriti, si rannicchiavano sotto le pesantissime coperte e dolcemente si addormentavano nella beata innocenza pensando, piuttosto, a i strummule, alle figurine, ai giochi sulla spiaggia… quando una semplice pietra pomice o altre cianfrusaglie che le onde lasciavano sulla sabbia o sui sassolini divenivano giocattoli.
Un altro divertimento era quello di non bagnarsi i piedi evitando l’acqua che si allungava sulla spiaggia. Le onde, infatti, sciabordavano sulla riva in modo non uniforme, disegnando strane figure diseguali che rassomigliavano a catene montuose con cime più o meno aguzze. Ma, come le idee volubili, esse subito si ritiravano per poi apparire più in là sotto altra forma. Là dove le era consentito, l’onda non disdegnava di scivolare sui sassolini più o meno grandi facendoli risuonare come corde di violino o di chitarra. Si divertiva ad assoggettarli al proprio volere e li faceva roteare a suo capriccio. Tu li seguivi con gli occhi; poi ti soffermavi su uno di loro in particolare e cercavi di afferrarlo. Ma lui, piccolo e scivoloso, fuggiva via mentre quello più grandicello preferiva essere trasportato dalla corrente pensando di raggiungere altri lidi, di fare altre esperienze forse più lontano sulle stessa battigia oppure giù nel vasto gorgo profondo. Preso da frustrazione ne afferravi parecchi e li lanciavi lontano, osservando la miriade di spruzzi che subito spariscono senza alcuna consistenza.
Nel silenzio, però, era bello ascoltare le voci delle donne che cantavano mentre rigovernavano la casa o lavoravano nelle catene di terra.
Era il tempo in cui si diveniva, in ogni occasione, sempre protagonisti di se stessi!
L’energia elettrica
Eh sì, “la corrente” al Porto era erogata a… singhiozzi (solo poche ore al giorno).
Su per i Conti e alle Forna, invece, si viveva nel buio assoluto: non esisteva! (forse quella turista che si è lamentata della troppa luce avrebbe voluto vivere in quel tempo o forse gli abitanti delle Forna hanno cercato, con una luce esagerata, di recuperare… il tempo perduto!).
Eppure non erano case sparse o isolate o piccoli nuclei. La comunità era consistente (penso la metà dei poco più dei tremila abitanti complessivi dell’Isola!), ed inoltre viva ed operosa e nessuno lasciava la propria casa per molti mesi se non alcuni uomini che andavano a pescare lontano. Ma il resto della famiglia rimaneva.
Essa o era impegnata nei campi oppure aveva un piccolo esercizio commerciale nel quale si mescolavano tutti i “profumi”: quelli del negozio e quelli di casa. Perché spesso la stanza prospiciente la strada fungeva da negozio mentre il retro era la casa di abitazione con la cucina; come dire: da una parte i fagioli ma crudi e polverosi, nei sacchi di iuta, dall’altra, al confine separati soltanto da un tramezzo e da ’nu pannett’ (una tendina) che fungeva da porta, altri fagioli che, lentamente, salivano su e giù nella pignatta di creta! Da una parte il baccalà crudo, dall’altra quello cotto!
I due “profumi” si mescolavano in una miscela di odori da far invidia alle migliori cucine! Il naso diveniva anch’esso un… profumo!
La pasta, invece, per lo più rimaneva nella parte prospiciente la strada (ovvero nel negozio): era ritenuta, infatti, poco conveniente per un’intera famiglia e pertanto veniva venduta anche e soprattutto a “etti”.
Dei salumi si gradiva qualche fetta di mortadella, ma sottile, molto sottile… ca tremme e luce; qualche fetta di salame del tipo Napoli, anch’esso sottile comme l’ostia consacrata. Un pezzo di lardo era preferito.
Il prosciutto era qualcosa di irraggiungibile. Se ne stava lì beatamente appeso; lo si guardava e lo si valutava come la volpe che cercava di afferrare l’uva del pergolato: nondum matura est ( non potendola raggiungere la volpe aveva esclamato: non è ancora matura).
– Non edulis est: est etiam siccus – …nun se po’ magna’: è tropp’ sicch’! – diceva la maggior parte degli abitanti.
Il prosciutto cotto non si era ancora visto. Il provolone era preferito alla provoletta. Ne bastava un pochino accompagnato da tanto pane e un buon bicchiere di vino rosso. La provoletta, invece, si consumava subito: rendeva poco. ’A muzzarella, poi, era conosciuta solo di nome. Dei formaggi, infatti, era quello oltremodo meno conveniente: costava moltissimo e rendeva pochissimo. Avrebbe potuto essere citata nella trasmissione “Chi l’ha visto”!
Il solito maligno, a proposito della mancanza di energia elettrica, con un sorriso sardonico ha detto che gli abitanti dell’Isola non lasciavano la propria casa perché timidi, paurosi di affrontare quella novità. Raccontava, infatti, di un tizio di quelle zone il quale, andato a pernottare in un albergo/locanda a Napoli, tentò di spegnere la lampadina con un soffio o agitando il cappello. Non riuscendo nell’impresa, inviperito, lo lanciò contro di essa e la mandò in frantumi. Fattosi buio pare che esclamasse: – Ha! Finalmente t’aggie stutate: mo’ pozz’ durmi’!
Quindi, a pochi metri di distanza tra le parti dell’Isola, in così poco spazio, ci si tuffava nei secoli in cui vi era una netta differenza tra il giorno e la notte, tra la luce ed il buio.
Non appena, infatti, scendeva l’imbrunire immediatamente si faceva buio pesto; esso terminava con il chiarore dell’alba. Nessuna luce attenuava il buio incipiente o come avviene oggi che non se ne sente quasi la differenza.
Tra le varie zone di Ponza, però, tutto avveniva gradatamente forse per non disturbare l’inconscio dei suoi abitanti. Se, infatti, fino a Sant’Antonio “rifulgevano” alcune lampadine ma sempre da pochi watt, a Giancos e soprattutto a Santa Maria esse diminuivano sensibilmente di numero come in una dissolvenza.
A Giancos qualche lampione appoggiato ad un muro di una casa mentre a Santa Maria tremolavano luci sparse qua e là come in un presepe.
Imboccata la via vecchia per i Conti o quella Nuova dopo la cantina ’i zi’ Gir’ solo il chiarore della luna, se c’era, seguiva i passi.
Lì si respirava “aria” dei secoli passati con i suoi ritmi, i suoi paletti, le sue angosce e le sue inquietudini. In compenso, lassù nel cielo, il firmamento offriva a pieno sguardo il suo affascinante, meraviglioso ed intenso spettacolo con le stelle tremolanti e la luna che, maestosa, riempiva una vasta porzione di cielo mentre sul mare, scuro, le lampare occhieggiavano in lontananza.
Ma se la Luna era latente, il buio abbracciava, soffice, il viandante.
Egli avvertiva quella speciale “sensazione” che pervade tutto l’essere e lo rende molle e disponibile al contatto. Vagano i pensieri mentre i sensi cercano di afferrare tutto ciò che il buio tiene gelosamente nascosto.
Ma, durante la stagione in cui il mare schiumava rabbioso e cercava di ghermire tutto ciò che toccava, già di sera e poi di notte non avresti visto una luce né tanto meno passanti. Si era ingabbiati da quelle sbarre silenti. In compenso ognuno, se costretto ad uscire, conosceva a memoria i “suoi” sentieri.
Si aspettava l’alba – che peraltro nel periodo invernale tardava a venire – come una liberazione.
[Racconti e metafore (3) – Continua]
Sandro Russo
25 Dicembre 2018 at 07:54
Vorrei qui fare i complimenti a cumpa’ Pasquale per i suoi scritti, alla metà circa della pubblicazione dei suoi “Racconti e metafore”.
Per pubblicare i suoi pezzi, e trovare le foto giuste, ho anche parzialmente riguardato la sua precedente produzione; che è molto vasta […sul sito circa 145 articoli (!) alla ricerca per Autore].
Pasquale va componendo e ricomponendo, anno dopo anno, come un presepio di Ponza – per chi apprezza il presepio – con le sue figurine… pescatori, viandanti, artigiani; con i tópoi isolani, le diverse contrade, le bottegucce (i puteche), il fornaio, le barche.
Un potente esorcismo per “fermare” il tempo.
Letto con la dovuta lentezza, lasciandosi trasportare dalle sue divagazioni e richiami, crea un “piccolo mondo antico” – come il presepio ogni anno disfatto e ogni anno pazientemente ricostruito -, dove il tempo non corre, ma ricorre e risveglia l’illusione di rivederci come eravamo.