di Sergio Monforte
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Cari amici della Redazione,
ho appena finito di leggere “Ponzesi, gente di mare” del grande Silverio.
So che è stata già pubblicata una presentazione dell’amico Silverio Lamonica (leggi qui – NdR), ma, per come sono rimasto colpito, per l’amore che mi lega a Ponza e per la fraterna amicizia con Giuseppe e Silverio Mazzella, mi son permesso di scrivere una recensione, da pubblicare se lo riterrete opportuno.
Con affetto e stima,
Sergio Monforte
L’epopea di un’isola e dei suoi abitanti.
“Ponzesi gente di mare”: ha visto finalmente la luce la terza fatica letteraria della collana dedicata, dall’amico fraterno Silverio Mazzella, alla storia, alle tradizioni, al folclore ed alle leggende della gente di Ponza.
Questo terzo volume, come recita il sottotitolo, forse sinteticamente e quasi con modestia, com’è nel carattere dell’autore, parla di “storie di barche, di pesca e di navigazione”, ma, in realtà, è un’opera monumentale nella profondità delle ricerche effettuate e delle testimonianze riportate; di un pregio e di una ricchezza unici, perché nelle sue duecento pagine racchiude quello che è stato ed è il vissuto vero di Ponza, l’anima stessa dell’isola.
Da un punto di vista grafico-letterario, con grande abilità, Silverio Mazzella riesce a sintetizzare in una possente monografia oltre milleduecento anni di storia, dall’800 ai giorni nostri, scanditi da date certe ed eventi che hanno contrassegnato l’epopèa della terra lunata, in particolare, nel periodo della colonizzazione da Ischia e Torre del Greco, o nello splendore della prima metà del ’900.
Secoli caratterizzati da singoli personaggi e famiglie intere, nell’evolversi di quello che è stato e di come è andato modificandosi il tessuto socio-economico e culturale di Ponza, accanto a momenti lieti – come accade in ogni comunità – e più spesso difficili, se non luttuosi, con l’isola che ha sempre rappresentato una grande famiglia dove le vicende del singolo, vuoi per rapporti parentali o di amicizia, non tardavano ad essere di pubblico dominio e coinvolgimento.
Ma è nei contenuti che il volume si appalesa come un vero e proprio inno al sacrificio, al lavoro, quasi esclusivo della pesca ed improntato più in generale alla marineria, alla tenacia ed allo spirito dei ponzesi, forgiati dal vento tagliente, dal mare amico-nemico, dalla salsedine che ti indurisce e protegge la pelle, senza bisogno di moderni cosmetici. Ma è anche un inno d’amore, sincero ed appassionato, come quello che Mazzella nutre per la sua terra, perché questo terzo volume rappresenta, in ordine temporale, un ulteriore tassello nel recupero di quel “percorso della memoria” avviato da tempo dall’autore, affinché la Ponza del passato, con i suoi personaggi, i suoi siti, i suoi aneddoti e, perché no, il suo dialetto ed i vecchi soprannomi che, spesso, meglio individuavano e caratterizzavano le persone, non scompaia dalla memoria collettiva, ma venga tramandata alle nuove generazioni, come esempio e monito e come preziosa eredità di esperienze, perché non c’è futuro senza un costante legame morale con le proprie radici.
“La randa issata sull’albero maestro si riempì delicatamente di vento. La brezza leggera del mattino arrivò assieme ai primi raggi del sole nascente che tingeva di rosa la bianca vela. La Goletta ebbe un leggero sussulto ed iniziò lentamente ad avanzare sul mare tranquillo. La rotta conosciuta, frutto di anni di esperienza navigando nel Mediterraneo, fu presto intrapresa. In breve, Ponza scomparve all’orizzonte, avvolta da una diafana foschia”.
L’opera inizia con una visione quasi manzoniana, come “l’addio ai monti sorgenti dall’acque” di Renzo e Lucia e che rappresenta un po’ il fil rouge che, nel corso degli anni ha sempre caratterizzato la marineria e la flottiglia peschereccia di Ponza che, con “burchielle”, golette, tartane, gozzi e bilancelle lasciava l’isola in cerca di acque più pescose, o per commercializzare aragoste ed altri prodotti un po’ in tutto il Mediterraneo, raggiungendo le coste africane: Biserta, Tabarka, Lagosta, l’isola della Galite, ma soprattutto la Sardegna e l’isola d’Elba, dove, nel tempo, sono sorte, diventando poi stanziali, consistenti colonie di ponzesi.
Per non parlare dei flussi migratori che hanno caratterizzato la fine dell’ottocento e gli inizi del ‘900, con decine e decine di famiglie che, spinte dal bisogno, hanno abbandonato l’isola per stabilirsi in Venezuela, Argentina e soprattutto, negli Stati Uniti d’America, in cerca di un lavoro dignitoso e di fortuna.
Proseguendo nello scorrere delle pagine che appassionano e catturano il lettore più di un romanzo, Mazzella usa, con abilità e scioltezza di linguaggio, tratti cromatici tipici del verismo e pennellate verghiane, pur nell’apparente descrizione di quel che vuol essere semplice cronistoria. Dai Malavoglia di Aci Trezza, a Ponza, il quadro di riferimento e lo scorrere della vita molto spesso è identico. Pagine che trasudano sofferenza, mista a speranza; ogni giorno è una lotta, ogni momento, con il sole o con le stelle, è buono per morire in mare. Ma una cosa è certa: pur nella consapevolezza di un lavoro duro e di un destino difficile, a differenza dei personaggi del Verga, qui non c’è rassegnazione; i ponzesi non si son dati mai per vinti, anche perché, come sottolinea l’autore, “chi fa il navigante non lo fa per scelta e neanche per necessità. Lo fa e basta”.
E’ così che i ponzesi hanno sempre stretto i denti, adeguandosi, nel corso degli anni, alle mutazioni sociali, economiche, culturali e turistiche, dell’isola sì, ma anche del continente, a cui è sempre stata legata, fino ai giorni nostri.
Lungi dal configurarsi come un arido elenco di nomi e date, le preziose e puntuali biografie rappresentate dall’autore e frutto di una certosina ricerca, portata avanti per anni, presso la Capitaneria di Porto di Gaeta, l’Archivio Storico della Marina Militare, gli Archivi di Stato di Napoli e di Latina, parrocchie varie e “cassettoni” di privati, si alternano ai nomi ed alle rotte di golette e velieri, costituendo la vera ossatura dell’opera. La storia stessa e la vita di personaggi – armatori famosi, singoli marinai e pescatori – e bastimenti si intrecciano le une alle altre, ampliando quasi sempre la visuale dell’angolo di campo ad altre famiglie ed agli eventi che hanno caratterizzato, appunto, personaggi e bastimenti, in una miscellanea di ricordi e testimonianze, spesso già cancellati dalla memoria collettiva e che, come nello scorrere di una pellicola, diventano un meraviglioso filmato del vissuto dell’isola.
Ma nel suo excursus umano e letterario Silverio Mazzella non dimentica proprio nessuno ed allora, ecco, sul finire dell’opera, un paragrafo dedicato alle donne di Ponza, “compagne di viaggio nella vita e nel lavoro” ed ai loro sacrifici.
“Mogli, mamme e capofamiglia, durante l’assenza degli uomini, le donne ponzesi avevano come un culto la pulizia della casa, povera che fosse, da biancheggiare all’interno e nelle pareti esterne; aiutavano i mariti nel riparo delle reti, o nella confezione delle nasse; provvedevano ad allevare i figli ed all’economia della famiglia. Un aiuto importantissimo, che però volevano passasse in silenzio, con l’unica preoccupazione di non apparire”.
E per concludere una pur veloce recensione del volume, non si può non citare la miriade di stupende foto d’epoca, sia in bianco e nero che a colori, che fanno da corredo ed impreziosiscono “Ponzesi, gente di mare”, senza dimenticarne la copertina, viva nei colori e nell’immagine, con le due burchielle che veleggiano spedite tra la spuma delle onde, opera (olio su tela) di Silverio Mazzella che, con la moglie Pina (pittrice) ed il figlio Gennaro (fotografo) compongono davvero un trio di artisti.