di Silverio Lamonica
Il pittore Arnold Böcklin nacque a Basilea il 18 ottobre 1827 e morì a Fiesole, presso Firenze, il 16 gennaio del 1901. Frequentò molto l’Italia, specie la Toscana. Nel 1880 dipinse il suo capolavoro “Toteninsel” (L’Isola dei Morti).
Successivamente i critici d’arte cercarono di individuare l’isola da cui l’artista aveva tratto l’ispirazione e ne nacque addirittura una polemica: il Prof. Fritz Hommel di Monaco sosteneva che l’artista avesse raffigurato un angolo dell’isola di Corfù; a Ischia sono tuttora convinti che si tratti della loro isola (leggi qui); mentre il Prof. Voghel di Lipsia era di tutt’altro avviso, tanto che il 26 luglio 1908 La Stampa di Torino (v. archivio storico su Internet) pubblicò il seguente articolo, di cui riporto la parte finale:
“…Il quadro fu dipinto a Firenze nei mesi di aprile e di maggio 1880, in un suo viaggio in Italia. La contessa Oriola di Budenshelm aveva fatto una visita allo studio del pittore e gli aveva domandato, secondo quanto raccontò Bocklin stesso, un quadro che facesse sognare. Senza por tempo in mezzo, il Bocklin si mise al lavoro, e quando la contessa ritornò alcune settimane dopo, il maestro la portò dinanzi al quadro e le disse: – Eccole, Signora, quanto desiderava: un quadro che fa sognare; ha un’azione suggestiva così dolce e profonda che quando lo si osserva si trasale, se qualcuno bussa all’uscio. Il meraviglioso pittore non poteva definir meglio il fascino di questa sua opera, che è la maggior creazione di poesia fantastica che conti l’arte moderna. Pur dichiarandola nata dalla sua immaginazione, Bocklin confessava che alcune forme di rupi dell’isola di Ponza, sul golfo di Gaeta, gli avevano ispirato alcune parti della sua composizione, ma solo per suggestione mnemonica e non col soccorso di alcuno schizzo”.
Del quadro esistevano cinque versioni; una andò perduta nel corso del secondo conflitto mondiale. La prima versione fece bella mostra, per lungo tempo, nello studio della cancelleria di Hitler; il dittatore ne era affascinato.
Osservando bene il quadro, colpiscono alcuni particolari: la forma arcuata e le due estremità dell’isolotto, quella a destra riporta tre aperture nella roccia.
Anni fa Tommaso Lamonica ravvisò in quel quadro forti analogie con la spiaggia di Santa Maria limitata dalla collinetta del “Turone” da un lato e dalla collinetta delle grotte azzurre dall’altro, entrambe rocce riolitiche dal colore rossiccio tendente al marrone, gli stessi colori del quadro.
Ma io trovo un’altra analogia, non meno significativa. Infatti, se si osserva una cartolina illustrata di Cala Fonte di qualche anno fa, la somiglianza appare non meno evidente; a parte il colore grigio della roccia in questione, c’erano, sullo sperone di sinistra, delle grotte in cui venivano immagazzinate le attrezzature per la pesca, molto simili alle aperture sulla roccia dipinta da Bocklin nel celebre quadro.
Oggi, purtroppo, non possiamo più ammirare quel capolavoro della natura che una volta era Cala Fonte, perché qualche vandalo nostrano ha distrutto quella bellezza irripetibile, così come, con un altro atto vandalico, non meno infame, fu distrutta anni fa la scala di Cala Inferno, né mi risulta che la così detta “Soprintendenza ai beni culturali”, nelle due occasioni, si sia fatta sentire.
Forse, se lo osserviamo bene, quel quadro svelerà il segreto del risorgimento di questa nostra amata isola.
Silverio Lamonica
Nota della Redazione
Una citazione de “L’Isola dei Morti” di Böcklin collegata con le nostre isole è già presente sul sito ponzaracconta: leggi qui