Storia

Per non dimenticare mai come e dove è nato il Manifesto per un’Europa libera e unita

proposto da Enzo Di Fazio 

Quello che è accaduto alla Camera dei Deputati il 18 marzo scorso nell’acceso dibattito tra la presidente del Consiglio e i rappresentanti dell’opposizione nel momento in cui è stato tirato in ballo il Manifesto di Ventotene, al di là delle strumentalizzazioni che ne hanno fatto in seguito i media e i politici, ha avuto il merito di far rivivere i momenti e le condizioni in cui nel 1941 (siamo ancora in piena guerra) quel documento è stato partorito. Sono tornati così alla luce anche particolari curiosi e vicende che non tutti conoscono o che in tanti hanno dimenticato. Particolari e vicende che servono per rafforzare il concetto che la storia va maneggiata con cura e non manipolata. Come è sempre bene ricordare il contesto in cui il Manifesto nacque.
Alla luce di queste considerazioni trovo interessante condividere con i lettori del nostro sito un bell’articolo scritto da  Antonio Carioti* e pubblicato il 21 marzo sul Corriere della Sera.
Enzo DF

 

da corriere.it/politica del 21 marzo 2025
Ventotene, la dura vita dei confinati: il «libretto rosso», il cibo scarso, il manifesto scritto sulle cartine delle sigarette
di Antonio Carioti 


Un’immagine dei confinati di Ventotene.
Al centro Sandro Pertini, che diventerà capo dello Stato

Spinelli, Rossi, Colorni non erano soli: sull’isola i confinati erano tremila, in larga maggioranza comunisti, ma anche anarchici, socialisti, esponenti di Giustizia e Libertà

Altro che «villeggiatura», come la definì incautamente anni fa Silvio Berlusconi. La condizione dei confinati politici nelle isole mediterranee, sotto il fascismo, era estremamente dura. A Ventotene Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, autori del famoso Manifesto di cui si è tornato a parlare in questi giorni, vivevano segregati, sotto stretta sorveglianza poliziesca, con rigidi orari di entrata e di uscita dai cameroni in cui trascorrevano la notte.

Gli avversari del regime relegati nell’isola non potevano avere rapporti con gli abitanti, ma soltanto entrare negli esercizi commerciali per l’esiguo tempo necessario a comprare qualcosa. Ben poco, visto che ricevevano dall’amministrazione cinque lire al mese. Non disponevano di documenti personali, che venivano sequestrati al loro arrivo, ma solo di una carta di permanenza che ne specificava gli obblighi, chiamata familiarmente «libretto rosso» per il suo colore.

Il vitto era molto povero e c’erano scarse possibilità d’integrarlo coltivando orti e allevando pollame. Il comunista Arturo Colombi, un uomo robusto che pesava normalmente 80 chili, raccontava di essersi ridotto in quel periodo a 55. L’ex bracciante Giuseppe Di Vittorio, futuro segretario della Cgil, si occupava dell’unica mucca, dalla quale mungeva il latte destinato ai tubercolotici, che avevano un padiglione a parte come le donne.

Ogni giorno i confinati erano sottoposti a due appelli, in alcuni periodi a tre. Gli oppositori considerati più pericolosi dal fascismo erano costantemente seguiti da un milite nei loro spostamenti. Era vietato ascoltare la radio, si poteva scrivere solo una lettera a settimana di non oltre 24 righe, sottoposta a censura, e comunque sui fogli timbrati dalla direzione della colonia.

Non era consentito possedere altra carta, per cui il Manifesto di Ventotene venne stilato a caratteri minuscoli su cartine per le sigarette e portato clandestinamente sulla terraferma da Ursula Hirschmann, moglie di Eugenio Colorni (ucciso dai fascisti nel 1944) e poi di Spinelli. Non si sa bene dove lo tenne nascosto, se nella federa del cappotto o, secondo un’altra versione, nel ventre di un pollo arrosto.

In quel periodo Ventotene era la più importante colonia di confino per gli oppositori del regime. Vi trascorsero periodi più o meno lunghi circa tremila persone: in larga maggioranza comunisti (oltre 500 su 800 nei periodi di maggiore affollamento), ma anche anarchici, socialisti, esponenti del movimento di Giustizia e Libertà (Rossi era uno di questi) fondato da Carlo Rosselli. Spinelli era stato imprigionato in quanto comunista nel 1927, ma poi nel 1937 era stato espulso dal Pci per le sue critiche a Stalin.

Il confino di polizia era stato istituito nel 1926, come parte delle cosiddette «leggi fascistissime» che segnarono il pieno dispiegamento della dittatura. Poteva essere irrogato discrezionalmente dalle autorità di pubblica sicurezza, senza alcun intervento della magistratura, nei riguardi di individui ritenuti pericolosi per la sicurezza dello Stato. Poteva durare da uno a cinque anni, ma anche essere rinnovato e prolungato alla scadenza.

Nei casi di coloro che avevano cospirato attivamente contro il fascismo – come Spinelli, Rossi e molti altri «ospiti» di Ventotene – il confino veniva irrogato dopo che gli interessati avevano scontato la pena inflitta loro dal Tribunale speciale istituito per giudicare gli oppositori. Ma si poteva finirci senza passare per il carcere a causa di «trasgressioni» molto lievi, anche semplicemente raccontare una barzelletta su Benito Mussolini. Venivano a volte confinati anche soggetti ritenuti «devianti» come gli omosessuali o i fedeli di un culto non riconosciuto, per esempio i testimoni di Geova. Non mancavano gli esponenti di minoranze etniche perseguitate, sloveni e croati, nonché gli albanesi refrattari al dominio italiano.

La colonia di Ventotene fu creata nel 1930, in seguito alla clamorosa fuga da Lipari, dove erano confinati, di Rosselli, Emilio Lussu e Francesco Fausto Nitti. Le isole Eolie erano troppo vicine alla Tunisia francese, meglio l’arcipelago pontino, al largo del golfo di Gaeta, per evitare il ripetersi di episodi simili.

Ventotene poi, piccola e caratterizzata da coste poco accessibili, si prestava particolarmente. Tanto che nel 1939, quando venne ridimensionata la vicina colonia dell’isola di Ponza, il capo della polizia Arturo Bocchini stabilì che divenisse la principale sede per i confinati ritenuti più pericolosi. Per esempio il socialista Sandro Pertini, pluricondannato per il suo antifascismo e futuro presidente della Repubblica dal 1978 al 1985.
La componente comunista sull’isola comprendeva personaggi che avrebbero assunto in seguito ruoli prestigiosi: Luigi Longo, segretario del Pci dal 1964 al 1972, Pietro Secchia, futuro vicesegretario e a lungo responsabile organizzativo del partito, il già citato Di Vittorio. C’era anche Umberto Terracini, che avrebbe in seguito presieduto l’Assemblea Costituente, ma in quella fase era stato espulso per il suo dissenso dalla politica sovietica. Una volta liberati nel 1943, quei confinati comunisti sarebbero divenuti il nucleo dirigente del partito, tanto che Paolo Spriano ha intitolato uno dei capitoli della sua storia del Pci Il «governo di Ventotene».
Al tempo stesso Ventotene venne chiamata «l’università del confino», perché vi si svolgeva un’intensa attività di formazione politica e culturale, grazie anche a una biblioteca clandestina che gli ospiti della colonia avevano allestito con vari espedienti. Oltre al Manifesto di Spinelli e Rossi, nell’isola prese forma un altro testo rilevante: l’opera del comunista Pietro Grifone Il capitale finanziario in Italia, pubblicata da Einaudi nel 1971. Inoltre i reduci della guerra di Spagna tenevano corsi di tattica militare, che sarebbero poi risultati utili durante la Resistenza.

Dopo la caduta del regime, il 28 luglio 1943, attraccò a Ventotene una corvetta a bordo della quale si trovava nientemeno che Mussolini, arrestato tre giorni prima per ordine del re. Il nuovo governo guidato dal maresciallo Pietro Badoglio voleva relegarlo sull’isola, ma il commissario della colonia Marcello Guida si oppose, spiegando che i confinati avrebbero fatto a pezzi l’ex dittatore. Così la nave fu dirottata nella vicina Ponza, più vasta e meno affollata di oppositori del fascismo.

A proposito di Guida, vale la pesa di ricordare un episodio di molti anni dopo. Nonostante il ruolo avuto a Ventotene, quel funzionario dopo la guerra aveva fatto carriera, tanto da diventare questore di Torino e poi di Milano, dove era in carica nel 1969, al momento della strage di piazza Fontana e della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Guida sostenne che Pinelli, precipitato da una finestra della questura, si era suicidato perché fortemente indiziato per la strage, alla quale invece risultò del tutto estraneo. Poco dopo passò in visita a Milano Pertini, allora presidente della Camera, che si rifiutò di stringere la mano al questore. Non perché aveva avuto Guida come capo dei sorveglianti a Ventotene, spiegò poi il leader socialista, ma proprio per il suo comportamento sul caso Pinelli.

 

* Antonio Carioti (Reggio Emilia, 1961) ha iniziato l’attività giornalistica alla «Voce Repubblicana» nel 1990. Attualmente lavora alle pagine culturali e al supplemento «la Lettura» del «Corriere della Sera». È autore di alcuni saggi: Breve storia del presidenzialismo in Italia (Società Libera, 1997), Maledetti azionisti (Editori Riuniti, 2001), Di Vittorio (Il Mulino, 2004), Gli orfani di Salò (Mursia, 2008), I ragazzi della Fiamma (Mursia, 2011)

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