Europa

Ultima chiamata per l’Europa

segnalato dalla Redazione, da la Repubblica

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Grazie Trump che ci costringi a ritrovare l’idea di Europa
di Paolo Rumiz – Da la Repubblica dell’11 marzo 2025

L’Unione continentale non è mai diventata davvero una patria comune. Almeno nella percezione dei cittadini. Ma il nuovo corso americano rischia di cambiare tutto
Abbiamo smarrito la forza diplomatica e culturale ci siamo scordati dei nostri rapporti secolari con il Vicino Oriente

Gli italiani imbelli? È un pregiudizio antico. «Les Italiens ne se battent pas», disse nel 1849 il colonnello francese Leblanc marciando sulla nostra capitale, convinto di restaurare facilmente il potere papale scalzato dalla Repubblica Romana. Gli italiani non sanno battersi. La spocchia transalpina fu smentita da Garibaldi, che con forze inferiori gli diede filo da torcere e poi, sconfitto con onore, disse ai suoi: «Ora posso offrirvi solo fame, sete, marce forzate e morte». Rommel, che aveva sfondato come burro le nostre linee a Caporetto, quando nell’autunno del 1917 si trovò di fronte agli italiani sul Grappa e il Piave, li giudicò ottimi soldati, completamente diversi da quelli, stanchi e mal comandati, che aveva incontrato sull’Isonzo. Capì che combattevano bene perché difendevano casa loro. La patria.

Si dice che oggi noi italiani non siamo più quelli del Piave, che il welfare e il benessere ci hanno resi migliori ma al tempo stesso restii a batterci, come dire vulnerabili. Il pacifismo, disse Churchill nel 1934 di fronte al riarmo nazista, è una bella cosa se ci impedisce di invadere Paesi altrui, ma è un pericolo se si viene invasi. Sono totalmente d’accordo. Mi sono bastati gli anni della guerra in Bosnia per aver voglia di impugnare un mitra per difendere i civili inermi, tanto sentivo inutile la mia penna. Anche un pacifista, se assiste a un abominio, diventa una furia vendicatrice. Senza per questo essere guerrafondaio.

Oggi nell’Ue solo i polacchi, i baltici e i finlandesi paiono determinati a difendersi, tanto forte è la pressione che percepiscono ancora dall’ex padrone di casa, la Russia. Il resto d’Europa, quello distante dalla linea di faglia tra Est e Ovest, la guerra l’ha dimenticata da tempo e non mostra alcuna voglia di battersi, né per Kiev né per altri. Di fronte a un soldato ucraino che ci taccia di vigliaccheria, ci tocca abbassare gli occhi per la vergogna. Ma il punto è davvero, come dice Scurati, l’assenza di uomini disposti a combattere? O dietro c’è qualcosa di più profondo ed esistenziale?

Battersi? D’accordo. Ma per quale patria? L’Ucraina è tale, l’Europa no. Se oggi l’Unione continentale non è ancora una bandiera, e il suo inno non fa scattare la gente in piedi, quello è il segno infallibile che non siamo diventati patria. Se continueremo a guardare l’Unione Europea come capro espiatorio o, peggio, vacca da mungere, e non come un oggetto d’amore, allora, se attaccati, di certo non avremo voglia di batterci anche se saremo imbottiti di armi. Ci arroccheremo miseramente nelle rispettive nicchie nazionali, esponendoci a sicura sconfitta.

Prima di metter mano alla carabina, chiediamoci perché non siamo diventati patria e perché l’Europa è così afasica, frastornata, genuflessa. Dove nasce il suo sonnambulismo, la sua periodica tendenza a farsi del male e la sua incapacità di governare le instabilità che la circondano? Come abbiamo potuto ridurci così dopo la tremenda lezione di due guerre mondiali? Perché fino ad ora la nostra coalizione non ha fatto il minimo tentativo autonomo di governare la pace spegnendo i focolai che la assediano dal Donbass al Medio Oriente? Perché non ha cercato di mettere più Europa nel suo atlantismo? Prima di marciare per una coalizione forte sabato 15 marzo a Roma, è questo il punto da chiarire.

La risposta credo non sia militare, ma culturale: ed è che non abbiamo una narrativa all’altezza della nostra storia e del nostro ruolo nel mondo. Non sappiamo dire chi siamo, qual è il senso del nostro mito fondativo e quali sono i nostri principi inalienabili dei quali essere orgogliosi. Senza questo, per difendere che cosa dovremmo combattere? Per Ursula von der Leyen? Per una che diventa bellicista dopo essere stata diplomaticamente assente? Per una che prima ha disarmato la Germania per compiacere Washington e ora, sempre imbeccata da Washington, vuole riarmare l’Europa?

Il problema è alla fin fine identitario. Per troppo tempo abbiamo guardato a nordovest, all’oltreoceano e all’Europa franco-tedesca di Carlo Magno, ignorando la centralità del Mediterraneo, culla della nostra civiltà, col risultato di avere una visione strabica di noi stessi e di aver spezzato i legami storici col Vicino oriente e il Nordafrica. L’Italia stessa sembra avere perso la memoria di quanto vasta fosse la koinè greco-romana. Quanti europei sanno che la Spagna è stata cristianizzata da missionari dal Maghreb e la nostra penisola da uomini venuti da Egitto, Medio Oriente e dall’attuale Turchia? Quanti sanno che la birra non è nata in Germania ma è stata portata da monaci dall’Eufrate e il Nilo?

Se oggi il nostro mare è diventato mattatoio, se abbiamo lasciato bombardare i Balcani e bastonare la piccola Grecia per accontentare le banche, è anche perché ci siamo amputati da soli, rinunciando a concepire una nostra area d’influenza diplomatica e culturale. Se fatichiamo a ricordare che l’Etiopia, la Siria, e la Mesopotamia — per non parlare della Russia — ci sono affini per antica tradizione cristiana, è anche perché da troppo tempo pensiamo americano, con cliché hollywoodiani, per cui l’Oriente è solo esotismo, minareti, deserto e carovane, quindi compattamente islamico. E se oggi persino la Turchia surclassa l’Ue come mediatrice diplomatica, è anche perché ci siano scordati che Istanbul è stata Costantinopoli, erede dell’Impero romano ben più legittima della Roma papalina.

Come tacciono oggi gli ultras dell’atlantismo che davano del putiniano persino a chi studiava Dostoevskij! Oggi tutto è confuso e non sappiamo più chi sono i nostri nemici. Solo l’imperialismo armato di un Putin o anche un’America che da un giorno all’altro gli diventa complice, demolisce i cardini la sua stessa democrazia e tradisce gli alleati? Non sarà che oggi la minaccia è diventata globale, uno spietato schieramento di oligarchie antidemocratiche ansiose di strangolare l’Europa stando ben nascoste nella loro “nuvola”, e di farla a pezzi alimentando i sovranismi attraverso il controllo planetario della Rete? Non sarà allora che il nemico siamo noi stessi, la nostra passività, la nostra resistenza a diventare patria e bandiera? E qui non dovremmo mai finire di ringraziare Donald Trump ed Elon Musk per aver chiarito verso quali orizzonti di brutalità va il capitalismo oggi, e per avere messo in chiaro che siamo soli al mondo, ultima e scomoda trincea delle regole e dei diritti in uno spazio globale selvaggio dove impera la disuguaglianza.

Viviamo tempi straordinari, che ci obbligano a diventare adulti. Non so se tutto questo basterà a farci reagire, più che con le armi (necessarie), con uno scatto d’orgoglio e consapevolezza del nostro ruolo. Di certo, se a breve non daremo una risposta unitaria andando oltre le nazioni, naufragheremo miseramente. Per l’Europa è davvero l’ultima chiamata.

[Paolo Rumiz – Da la Repubblica dell’11 marzo 2025]

Immagine dall’articolo di Repubblica. La République Universelle, di Frédéric Sorrieu;
litografia del 1848 conservata al Musée de la Ville a Parigi

 

Note

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Immagine di copertina: Bambini sotto la bandiera dell’Unione Europea, Bucarest Romania (da it.dreamstime.com modif.)

 

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