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Europei in cerca d’Europa
di Michele Serra – Da la Repubblica dell’11 marzo 2025
I sindaci di molte città italiane hanno colto l’intenzione civica, prima ancora che politica, e l’hanno fatta loro
Europei in cerca d’Europa.
Potrebbe essere questo il titolo della manifestazione del 15 marzo a Roma. Perché più la piazza sarà piena, più farà pensare al vuoto di rappresentanza che è il motore emotivo (prima ancora che politico) dell’incontro.
Vale la pena rifarne, molto in breve, la storia. Tutto è nato in modo decisamente insolito, e quasi stravagante. Ma anche: non equivocabile. Da cittadino ho percepito, come tanti altri, il sentimento di solitudine e di spavento di molte persone, atterrite da un quadro mondiale dominato dalla forza bruta, quella che non conosce altra legge al di fuori di se stessa.
Siccome il mio mestiere è scrivere, l’ho scritto, e mi sono chiesto se, stretti tra Putin e Trump, non fosse l’ora di scendere in piazza per chiedere all’Europa di esistere non solamente come entità burocratico-economica, ma anche come soggetto etico-politico, così come sta scritto nelle sue carte fondative; di accelerare il suo lungo (troppo lungo) cammino federativo e trans-nazionale; di parlare a voce alta usando il proprio linguaggio senza lasciarsi assordare dal fracasso delle armi.
Senza lasciarsi umiliare dalle minacce e dal dileggio che arrivano in stereofonia da Est e, dopo l’insediamento di Trump, anche da Ovest.
Sono arrivati moltissimi messaggi di adesione, così tanti che mi sono sentito in dovere di insistere: proviamo a farla, dunque, questa manifestazione. E ai singoli cittadini, ai quali era ed è diretto l’appello a ritrovarsi in piazza in quanto europei, o meglio aspiranti europei, si sono poi aggiunti associazioni, partiti, sindacati. E soprattutto, fin dal primo momento, i sindaci di molte città italiane, che hanno colto l’intenzione civica, prima ancora che politica, della piazza, e l’hanno fatta loro: sentirsi cittadini europei non solo come protezione e appiglio, anche come identità democratica da sventolare, da opporre al subbuglio bellico, e neo-imperiale, che minaccia di travolgerci. Venite con la bandiera europea, abbiamo chiesto. Niente simboli di partito, per cortesia. Una piazza blu a stelle gialle che domandi, e si domandi: noi siamo qui, dov’è l’Europa che vorremmo?
Dei valori europei, scritti in quel prodigioso abbozzo liberal- socialista che fu il Manifesto di Ventotene e poi sanciti, con quasi incredibile ritardo, solo sessant’anni dopo nella Carta di Nizza (carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) si conosce il nome. Pace, libertà, giustizia, uguaglianza, solidarietà, diritti civili, democrazia — quest’ultima parola, in tempi recenti, piuttosto dismessa, parecchio dimenticata, come se fosse diventata un’abitudine scontata e non la prima ragione di orgoglio dei popoli europei e dell’Unione, in un mondo nel quale la democrazia, sarà bene ricordarcene un poco più spesso, è complessivamente in ritirata non solamente come cultura, anche come prassi politica. Perfino laddove, incredibile ma vero, la consideravamo inestirpabile. Nel paese di George Washington e di Abraham Lincoln.
Di quelle carte fondative noi possiamo dire la stessa identica cosa che spesso, da molti anni, diciamo della Costituzione italiana. Dicono cose bellissime, disegnano un tracciato virtuoso e coinvolgente, ma non siamo stati capaci dimetterne in pratica i princìpi se non in minima parte. Se la bandiera europea, fin qui, ha evocato ben poche emozioni, è per questa tremenda fatica dell’Unione Europea di incarnarsi nei suoi presupposti post-bellici, che sono, nella loro sintesi più estrema, mai più guerra, mai più dittatura. Dunque pace e libertà.
Per le strette che la storia impone, sappiamo bene che è faticoso e difficile tenerle insieme, la pace e la libertà. Tanto è vero che, nella serrata discussione di questi giorni, qualcuno ha detto: prima la pace. Qualcun altro ha detto: prima la libertà. Ma “Europa” vuol dire, sia pure nell’empireo dei princìpi, che le due cose non possono che stare assieme, perché l’una senza l’altra non può esistere. Non c’è libertà sotto le bombe, e la pace, senza la libertà, è solo una truffa, come quella che Trump e Putin stanno architettando oggi sulla pelle degli ucraini, domani sulle macerie di Gaza, dopodomani chissà.
Credo che nessuna delle persone che saranno in piazza a Roma ignori l’impossibilità di tenere scissi questi due concetti; e al tempo stesso l’enorme difficoltà di farli coesistere in un progetto politico condiviso. Credo che nessuna delle persone che saranno in piazza ignori che la risposta armigera formulata da von der Leyen cozzi tristemente contro i valori fondativi dell’Unione Europea. E al tempo stesso, trascuri la necessità di una difesa comune europea che avrebbe dovuto essere pensata e messa in campo dieci (venti? trenta?) anni fa, ma è l’oggi che ci costringe a discuterne.
A chi osserva che la piazza di Roma nasce su basi troppo ingenue, perché troppo allargate, troppo plurali, e rischia di contenere persone che hanno idee molto diverse a proposito di molte e importanti questioni, faccio osservare che una piazza europea non può che essere dialettica, perfino contraddittoria, perché così è la democrazia e così è l’Europa. Quanto all’ingenuità, la rivendico. Anche etimologicamente, indica ciò che nasce da dentro, che è semplice e iniziale. Il contrario della rassegnazione e del cinismo, che sono i vizi della decrepitezza.
Lo ha detto bene Gustavo Zagrebelsky: “Ben venga una manifestazione pre-politica che, per ora, lasci in secondo piano la divisione e serva come valvola di sfogo delle nostre frustrazioni. Le frustrazioni, quando fanno massa, possono perfino trasformarsi in qualcosa di positivo, di tonico”.
Grazie a chi verrà, grazie a chi non verrà. Un poco di tolleranza reciproca farebbe parte, eccome, di una ritrovata anima europea.
[Michele Serra – Da la Repubblica dell’11 marzo 2025]
N.B. – Questo articolo fa seguito a numerosi altri sull’argomento, usciti nei giorni scorsi:
L’Europa va alla guerra
