intervista di Sandro Russo a Tano Pirrone
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Poets are not nice è il secondo libro di poesie di Tano Pirrone
Uno dei vantaggio dell’avere un “poeta” amico della porta accanto è quello di farci raccontare alcune – innocenti, non profonde – curiosità sul mestiere, sulle occasioni che hanno propiziato la sua predilezione per la poesia, anche sul titolo del suo ultimo libro
Tano lo conosciamo (e temiamo) come polemista, e critico letterario e cinematografico, ma mai – prima della precedente raccolta di poesie Mye del 2022 -, aveva sentito la necessità di dare alle stampe i suoi lavori.
Due domande sorgono spontanee: perché adesso e perché proprio la poesia?
Sostiene Tano… che la poesia ha sempre avuto un posto nella sua vita. Ne ha un ricordo preciso di quanto prelevava gli spiccioli dal borsellino della nonna per andarsi a comprare un piccolo libro di… (non sento bene): – Poesia russa? – Azzardo.
– No, Tri-lu-ssa – sillaba lui. E poteva avere allora dodici-tredici anni.
– Il libro di Trilussa che comprai era un’edizione in carta india in cofanetto della collana “I classici contemporanei italiani”, con soldi faticosamente (e furtivamente) raggranellati (costava ben 4.000 lire). Ho amato e amo Trilussa, che vernacolare e “popolare” riesce ad essere un lucido critico della società del tempo, dei costumi e delle “situazioni”, nella fortunata scia di Belli e Pascarella.
Ricorda ancora Tano che ero segretario del Circolo del Pd di Piazza Verbano spesso cominciavo i direttivi leggendo una poesia di Trilussa e con quella scombinavo le aspettative e le liturgie immutabili: – …E invincibili, riconosco, alla fine hanno vinto ‘loro’ e son dovuto andar via.
Uno dei suoi poeti italiani preferiti è Camillo Sbarbaro, ligure (come l’Eugenio sommo); di lui porta con sé una breve lirica, che ho anche riportato nelle note della sua seconda raccolta. Mentre dei poeti italiani viventi onoro Elio Pecora: – Le sue poesie sono specchi in cui siamo costretti a specchiarci, ben sapendo il pericolo che sempre si corre…
Per la data di comparsa della poesia nella sua produzione, mi consiglia di andare a riprendere il libricino della sua prima raccolta di poesia, Mye, del 2022 e lì, trovo la “numero uno”, messa in evidenza come la prima del libro.
Mediterraneo
C’è una scia di gabbiani
nei miei sogni
uno
sbattere
lento
di
ali
lontana, ormai s’è persa
Porta la data del febbraio 1967.
– Ecco, è da lì che “si è aperta una crepa ed è entrata la luce”; da lì ho capito che poteva essere un modo di esprimere i miei pensieri, perciò l’ho voluta nel mio primo libro, quasi a epigrafe.
“Poi, è stata sempre una mia attenzione centellinare le parole, sceglierle una per una, continuamente starle a cambiare, nelle mie composizioni”.
Gli ricordo quanto ci ha detto una nostra comune amica, scrittrice vera, Tea Ranno, che ci raccontava dell’ultima revisione del suo primo romanzo pubblicato, Cenere (Edizioni e/o, 2006 – ndr), che ha riletto ad alta voce, pagina per pagina, per saggiare il ritmo, la musicalità delle frasi.
Tano raramente usa la rima – “La trovo limitante, attualmente è superata, ma non mi nego, ogni tanto, le assonanze, le rime interne”. Mi fa un esempio di richiamo interno: “…andar in chiesa, ancor mi pesa…”- e di chiasmo: “Combatterò col ferro, col ferro taglierò le mie funi”.
– E no! non ho mai studiato poesia, tantomeno metrica!
Ma certo ha affinato i modi di esprimere i pensieri con parole, scelte, possibilmente poche.
Ha ripreso le poesie del passato – saranno vent’anni, dal 2006, in particolare, che leggo abitualmente poesia – e questo ha senza dubbio affinato il senso musicale delle sue frasi. Con molte riscoperte, Pascoli (1855-1912 – ndr) per esempio che ha avuto delle intuizioni folgoranti. La sua poesia è stata tra le più alte a cavallo tra l’800 e il ’900. Senza di lui non si sarebbe stato D’Annunzio e di filiazione in filiazione, senza di loro non ci sarebbe stato il sommo Montale! E tanto meno Pasolini.
E nel senso della “riscoperta” ha letto a fondo Fogazzaro. Tutti ne conosciamo le cose più trite – Com’è quell’aria? “Ombretta sdegnosa del Mississipì non far la ritrosa ma baciami qui…” -, ma ne ha scritto di cose belle, Fogazzaro di prosa e di poesia!
Forse ha tralasciato di citarle qualcuno che proprio non si può dimenticare, secondo me. Glielo ricordo pacatamente, perché per lunga frequentazione ho imparato che con Tano non si sa mai… ha grandi passioni e antipatie altrettanto totali. Perciò azzardo dubbioso: – Leopardi?
– E come no? Con lui dico le orazioni ogni mattina quando mummificato m’affaccio alla mia finestra sul mondo senza capire se è vero o finto…
Chiedo anche il perché di quel titolo: Poets are not nice.
– Tano, ma perché dici che i poeti sono delle brutte persone?
– Ma io non dico che sono delle brutte persone!
L’equivoco viene presto chiarito. Io ero partito dai versi di una canzone di De Gregori “I poeti, che brutte creature: / ogni volta che parlano è una truffa.” [da Le storie di ieri, in Rimmel, 1975 – ndr].
Lui mi spiega che not nice lo ha inteso nel senso di “non carino”. I poeti dicono cose ‘poco simpatiche’, ‘non gradevoli’ a volte, e mi porta l’esempio di un altro suo faro, Ezra Pound: “Io guardo al frutto, non all’albero, e il suo frutto è stata una delle poesie più alte del ’900”.
Non so come divaghiamo e ci troviamo a parlare di Villa Borghese, che lui ha dietro casa, e di Caravaggio. Lui prende la palla al balzo: – Era gradevole, Caravaggio? Come persona? Un iracondo, un assassino. Le sue modelle erano prese tra le peggio puttane dei bassifondi… e ne fa le più belle Madonne della storia della pittura…
– E così anche la poesia – devo desumere io.
Torno ancora sul titolo. Ma perché in inglese? “Poets are non nice”?
– Tu lo sai – mi risponde – quanto odio gli anglicismi… Parto da un horror per l’inglese usato a sproposito e le citazioni di maniera..
– E certo che lo so! – ci abbiamo scherzato sopra tante volte – E allora?
La risposta è in puro stile Tano: fare il contrario del contrario, contraddire tutti, che se stesso!
Gli chiedo anche il perché di questa “fissazione” per la poesia, in età così avanzata. La mia domanda è tendenziosa. Vorrei portarlo a parlare della vecchiaia e delle relative strategie di fuga; le difese che ciascuno di noi arma intorno a sé per contrastarla. Non cade nella trappola, o non è un suo problema:
– Ma se ti ho detto che la poesia è la mia lettura preferita da più di vent’anni!?
Parliamo ancora della sue recente produzione che negli ultimi tempi è un fiume in piena, inarrestabile…
Dice di aver materiale per almeno altri tre libri di poesie.
– Ho già i titoli – mi dice – ma non te li dico per scaramanzia! Hai visto mai che non riesco a pubblicarli!
Ma poi non si tiene dal raccontarmeli, i suoi progetti futuri… Qualcuno nasce da un’illuminazione improvvisa, da un’immagine…
– Ho in mente un titolo come “Luce azzurra”, una folgorazione avuta da un quadro, pensa un po’!
Poi un libro a quattro mani, di poesie edite e inedite, con un suo amico critico “…che di poesia ci capisce molto! E…”
– E..?! Su, non tenermi in sospeso – gli dico.
– È che finora abbiamo parlato di tante cose, ma non di quella più importante.
– Sarebbe?
– Elementare Watson!
Vero, avrei dovuto pensarci.
– Un titolo semplicissimo: E l’amore? Sottotitolo: Poesia d’amore. Lo vedrei che esce per San Valentino!
Vorrei saperne di più, ma da un po’ sento che freme, vuole chiudere la telefonata…
– Scusa, scusa… Mi sta scappando una poesia! Ciao
