Europa

La manifestazione per l’Europa, il 15 marzo a Roma, alla luce del “piano di riarmo”

segnalato dalla Redazione, da Michele Serra, su la Repubblica di ieri, 6 marzo

Sul sito avevamo espresso le molte perplessità sulla Manifestazione per l’Europa proposta da Michele Serra e rilanciata da molte Associazioni – leggi qui. L’intenzione di un piano di riarmo per l’Europa di 800 miliardi, dichiarata proprio in questi giorni dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, ha aggiunto ulteriori elementi di disagio alla partecipazione a molte Associazioni, soprattutto quelle di ispirazione pacifista.
Su la Repubblica di ieri un intervento di Michele Serra.

Europa, cosa difendiamo difendendoci
di Michele Serra – Da la Repubblica del 6 marzo 2025

L’appello di Michele Serra del 28 febbraio su Repubblica. La manifestazione sarà il 15 marzo a Roma

Se c’è una maniera di indebolire l’Europa è farne l’imitatrice forzuta, affannata e tardiva delle superpotenze militari formatesi nel Novecento, nel bipolarismo della Guerra fredda.
Gli ottocento miliardi promessi da von der Leyen, tutti in una volta, ai Paesi membri, fanno l’effetto di una overdose di anabolizzanti inflitti a un corpo che teme, o sa, di essere senile, e cerca di gonfiare i muscoli per nascondere la sua fiacchezza. Dando una immagine, dunque, di profonda e quasi imbarazzante insicurezza. E buttando un bel po’ di quattrini (pubblici) nel pozzo infernale del riarmo generalizzato.
Il tema della “difesa comune” e dunque di un esercito comune, che nemmeno il più distratto degli europei può ignorare senza sembrare sconnesso dalla realtà delle cose, è invece, o meriterebbe di essere, un tema del tutto nuovo, che riguarda un’Europa giovane e ancora inedita, e richiederebbe dunque uno sforzo di intelligenza, di coraggio e di fantasia, specie ora che il Grande Protettore, l’America, sta rifacendo i suoi conti politici ed economici.

Se la parola “valori” vi sembra vaga (vaga quanto: libertà, unità, democrazia, diritti), ed esposta a qualunque prepotenza e violazione se non provvede a munirsi di un guscio protettivo, va detto che nemmeno il più solido dei gusci, nemmeno la più tetra e inespugnabile delle fortezze, serve a qualcosa se è vuota dentro. Vuota di valori e dunque di senso.
E il fatto che il seme dell’unità europea sia stato gettato, nel mezzo della carneficina della Seconda guerra mondiale, prima di tutto per scongiurare nuove guerre, e con la grande ambizione politica di costruire una potenza pacifica, forte e pacifica, libera e pacifica, democratica e pacifica, non è per nulla una belluria retorica. È un fatto costitutivo. Genetico. L’Europa non era solo stata il teatro del massacro, ne era stata anche l’indiscussa responsabile. E arrivata al culmine estremo di una catena secolare di guerre nazionaliste e imperialiste, le sue avanguardie politiche e intellettuali, i suoi capi più generosi e visionari, capirono, dissero, scrissero che solamente un futuro trans-nazionale avrebbe potuto cambiare la storia, chiudendo i conti con la grettezza e l’aggressività del nazionalismo e con il puzzo di morte che ne sprigiona.

Se negli ultimi tempi si è ricominciato a discutere accanitamente di Europa, andando a frugare nei cassetti novecenteschi come studenti che hanno bisogno di ripassare, è proprio perché quel puzzo di morte ha ricominciato a spandersi. È alle nostre porte e alle nostre finestre.
Oggi con la guerra d’occupazione russa in Ucraina, trent’anni fa con la sanguinosa dissoluzione nazionalista e micro-nazionalista della ex Jugoslavia: che sarebbe importante non dimenticare, perché già allora, di fronte prima alle indolenze, poi alle complicità dei Paesi europei, qualcuno si chiese “ma dov’è l’Europa? Esiste un’Europa? E perché non fa nulla?”. Si udì, in quei momenti terribili, la voce della Nato, che aggiunse la sua al fracasso militare. Non fu udibile la voce dell’Europa.

Trent’anni dopo è ancora come se l’Europa, come soggetto politico e come punto di riferimento etico, fosse soprattutto un vuoto da riempire, e questa percezione non è solamente delle élite. Mario Draghi, al Parlamento europeo, con il suo do something! ha espresso, con disarmante semplicità, lo stesso sentimento, con le stesse parole, delle persone semplici che in mezzo a questa tempesta pensano e dicono: fate qualcosa. L’ansia e l’incertezza, in questa fase storica, sono un sentimento popolare.
Dunque chiunque prenda la parola nel nome della difesa europea non può ignorare di che cosa si parla, quando si parla di difesa europea. C’è, come è ovvio, una questione tecnico-militare (i Paesi membri spendono già oggi, tutti assieme, duecento miliardi ogni anno, tanto quanto la Cina e parecchio più della Russia: per la serie “massimo sforzo, minimo rendimento”). Ma l’argomento è anche fortemente valoriale.

Che cosa difendiamo, difendendoci, è la domanda che conta, e la risposta è determinante. Difendiamo la pace e la tolleranza, prima di tutto, e le inseguiamo dovunque si nascondano, perché l’intera architettura europea è concepita, proprio dalle fondamenta, per questo scopo. Difendiamo i diritti, il multilinguismo, la libertà religiosa, l’inclusione, la separazione dei poteri; e non da ultimo, e forse in questo momento per primo, difendiamo lo stato sociale, che è la sola vera difesa dei più deboli e non per caso è il bersaglio numero uno della tecno-plutocrazia salita al potere negli Stati Uniti. Ricchi che dicono ai poveri: di qui in poi, arrangiatevi.
Se l’Europa fosse anche solo la metà di tutto questo, la proposta di von der Leyen non sarebbe stata nemmeno formulata, per quanto stridente con lo statuto di fondazione e con il diffuso sentimento popolare che è di grande preoccupazione, quasi di angoscia, per la corsa mondiale al riarmo.
Il fatto che sia stata formulata conferma che l’Europa, pur essendo ancora una grande speranza, un grande ideale, un grande progetto, è una costruzione politica ed etica ancora molto fragile. La percepibile carenza di altre concrete speranze suggerisce di continuare a provarci.

[Michele Serra. Da la Repubblica del 6 marzo 2025]

 

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