di Francesco De Luca
Propongo con questo titolo ‘Ascolta i tuoi passi ’, in anteprima, un insieme di riflessioni. Potrebbero congelarsi in un libro. O rimanere sussiegosi nelle spire del computer. Preferisco darlo ai lettori di Ponza-racconta, a supporto del legame fra il Sito e l’isola.
L’introduzione vuole avvertire che con questo titolo si susseguiranno più e più interventi.
Parte Prima
Tutti mi camminano sopra e provano sicurezza sul duro del mio corpo, tartassato dal calpestio della gente come dal battito della pioggia che ogni volta tende a insinuarsi fra le mie fessure, lì dove il vento con perfidia trasporta polvere e sporcizia d’ogni genere. E c’è chi mi sputa sopra e non di rado i cani senza ritegno lasciano le feci.
Io sto lì, orgoglioso, fiero, ingrugnito e perciò ancora più chiuso. Anzi, ho capito che la mia forza sta in quell’essere costretto da tutti i lati, impermeabile al massimo grado, giacché ogni sconnessione è foriero di decomposizione e di sicuro declino.
Questa lezione l’ho appresa nei secoli trascorsi. L’immobilità è la mia gloria. Finché sarò qui dove fui posto circa duecentocinquanta anni fa, non solo vivrò ma lo farò con merito crescente. Al di fuori di questa collocazione vedrei annullato con la funzione il mio valore. Sarei una cosa, come lo sono tuttora è vero, ma oggi ho una storia, una vita, un futuro, perché ho un passato.
Il passato… e già… perché il mio passato è di tutto rispetto. Nasco dalla terra rovente, o meglio dalla lava. E’ lì, ai piedi di quella splendida fornace che è il Vesuvio, che fui preso e sagomato. Mani esperte e martoriate mi imposero una forma, e dal porto di Napoli, insieme a centinaia di altri miei simili, venni caricato su un veliero. I capitani erano i fratelli Cesare e Tommaso De Luca, trafficanti fra i porti dello stato borbonico ( 1734 ). La meta era rappresentata da isolette deserte che la bizzarrìa del nuovo re volle colonizzare.
La mano sapiente della corona si impersona in un ingegnere britannico, tale Antonio Winspeare ( 1739 – 1820 ). Acuto, perspicace, sognatore. Nel viaggio c’era pure lui. Noi nelle stive ammassati e lui, sul ponte a disquisire con un giovane suo assistente, Francesco Carpi.
La traversata fu agevole. Il nostro peso dava stabilità allo scafo che dal molo Beverello puntò verso nord-ovest.
Una bava di levante ci ha accompagnato, e stimolava l’ingegnere Winspeare a parlare diffusamente. Io vengo dalla terra e lì rimango ma qualcosa ho capito dalle parole dell’inglese. E delineavano la creazione di una comunità. Nei suoi progetti c’era da assemblare un popolo cui dare identità, intendimenti, prospettive, credenze e opportunità.
Noi, basoli, perché questo sono io, un comunissimo basolo, eravamo destinati a pavimentare il Corso principale di quel borgo. Corso Principe di Napoli, si chiamava, e doveva essere lastricato con pietre di basalto.
Ricordo che proprio sotto l’edificio che ospitava il Comandante della costituita comunità di Ponza, fui posto io. Pimpante, impettito, vigoroso ero io.
Mi posero lì, nel mezzo, e tutt’intorno ordirono l’intreccio dei massi, miei simili. A testimoniare che la volontà umana ha un suo potere.
In uno scoglio di solitudine arso dai marosi e spazzato dai venti, trapiantaci uomini affamati di terra e di aspirazioni, imponi loro una legge e una fede e vedrai spuntare lavoro e devozione, cura e ossequio, sacrificio e guadagno. Un lembo di terra diventerà un Comune, una landa arida diventerà vigneto, una cala si tramuterà in porto. E strade, e case, e attrezzi e barche, e tasse e rosari.
Io ho visto tutto questo.
