di Guido Del Gizzo
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Rotta,s. f. [lat. (via) rŭpta, part. pass. femm. di rŭmpĕre «rompere»; fr. (faire) route].
Parola dai molti e vari significati, ha insito in sé non solo il concetto di direzione, ma anche l’idea di fatica, di determinazione, di rottura rispetto allo status quo.
Parlare di rotte, soprattutto se nuove, significa parlare di sogni e progetti ambiziosi, come devono essere stati quelli di quegli uomini che per primi pensarono di “rompere” la foresta d’acqua del Mediterraneo e diventare marinai, pescatori, mercanti ed esploratori.
Marineria ponzese ‘800-‘900. Da frammentidiponza.blogspot.com
Sono loro che fin dalla notte dei tempi, passando da un porto all’altro, da un’isola all’altra, hanno costruito una rete culturale, ambientale ed economica che si è estesa fino ad oggi e che ha, nel bene e nel male, contribuito alla realizzazione dell’immaginario che noi oggi conosciamo e individuiamo con il nome di bacino Mediterraneo.
Un luogo di cui non è forse tanto interessante cartografare i confini, quanto piuttosto stabilire delle scale d’indagine, delle rotte appunto, diverse e sovrapponibili che diano risposta ai problemi comuni di spazi molto distinti.
E quale miglior occasione per indagare l’eterogeneità del Mediterraneo se non partendo proprio da quei luoghi che sono stati punti d’approdo delle prime rotte?
Le isole mediterranee, in quanto territori variegati per dimensione, popolazione, andamenti demografici, costituiscono una delle migliori occasioni per sviluppare strategie, politiche e progetti – e perché no, rotte – che possano caratterizzarsi come evocatori di un futuro collettivo, abili nell’assorbire e rapide nel modificarsi.
C’è qualcosa nelle isole che richiama a una maggiore flessibilità, all’opportunità di un maggiore controllo sulle variabili, quasi a preannunciare una maggiore probabilità di successi… del tipo “gone there, done that”, legato alla finitezza della terra emersa.
Alternative a ciò che è comune, diventano il terreno per concettualizzazioni e applicazioni di imprese ardue: l’agricoltura eroica di Pantelleria, l’innovazione energetica di Madeira, il parco solare di Chalki, la gestione dei rifiuti di Porquerolles e de La Maddalena.
Di fatto esse stanno già tracciando viae rupte piuttosto chiare relativamente a energia, rifiuti, biodiversità, mobilità, risorsa idrica, consumo di suolo e cultural heritage.
Questi temi, oggetto delle politiche locali, in realtà hanno una risonanza molto più ampia del singolo territorio insulare.
Come il vasellame fenicio o etrusco passava di porto in porto, anche le soluzioni insulari stanno viaggiando attraverso il mediterraneo, contaminando territori e spesso rappresentando il punto di partenza per applicazioni a scala molto più grande.
Le isole greche stanno quasi tutte portando avanti progetti legati al settore dell’energia, diventando promotrici di best practices che vengono copiate anche dalle isole di altri paesi: Astypalea ha sviluppato un sistema di mobilità totalmente elettrico, basato su pannelli solari ed energia eolica; Tilos sta sviluppando un porto smart e contemporaneamente un modello energetico per edifici archetipici; Chalki è stata la prima isola ad essere energeticamente autosufficiente mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili, dando così il via ad una stagione di riqualificazione energetica che ha superato le colonne d’Ercole arrivando fino a Madeira, El Hierro e alle Canarie.
Per fortuna non ci sono solo le isole greche a spingere tutto ciò: l’Unione Europea da anni porta avanti e finanzia progetti dedicati allo sviluppo insulare, senza dimenticare tutti i programmi legati ai fondi europei, diretti o indiretti, al quale le isole possono – quasi sempre – fare domanda: a condizione che si assuma l’obiettivo di mettere in atto politiche e progetti che limitino gli impatti legati alle attività umane e allo sviluppo, promuovendo al contempo innovazioni a beneficio della popolazione locale e del loro ambiente.
Da ISLENET, primo network di isole che operava sotto l’ombrello della CPMR, a NESOI (New Energy Solutions Optimized for Islands), ISOS (Isole Sostenibili), fino a Clean Energy for EU Island, tantissime sono state le azioni volte a creare nuove e rotte fra le isole mediterranee, incrociando le differenti tematiche e portando a soluzioni che tengono conto della totalità, non limitandosi più solo ad un aspetto piuttosto che all’altro.
Alcune di queste rotte mediterranee sono sbarcate anche sulle nostre isole.
Sebbene queste ultime scontino da sempre un certo ritardo nella ricezione delle strategie europee e nazionali, la necessità di tutelare patrimoni unici, soggetti ad una forte frequentazione turistica, ha prodotto alcuni risultati, come nel caso dell’isola di Capraia, che pur tutelando le sue acque e i suoi terreni non è caduta nella trappola dell’immobilismo dei vincoli.
Ma la vera sfida non sta tanto nell’elogiare l’una o l’altra isola, quanto nella capacità di saper riapplicare quanto imparato da esse, sui territori che ancora non si sono fatti avanti, come ad esempio l’isola di Ponza, che oggi alimenta la sua energia esattamente come negli anni ’40, e che ha lasciato soccombere il suo paesaggio agrario, a favore di più facili attività stagionali.
In realtà questa condizione di arretratezza rappresenta un’incredibile opportunità: su quest’isola si potrebbero fare bene, e possibilmente anche meglio, tutti quei cambiamenti che sulle altre isole sono già in corso, copiando, modificando e inventando nuove pratiche e diventando così un laboratorio di innovazione a cielo aperto che sappia dialogare con la complessità e proporre soluzioni qualitativamente rilevanti.
Purtroppo, non accadrà nulla di tutto questo, almeno per ora.
Il percorso iniziato tre anni fa, con l’iniziativa di organizzare un Laboratorio di Innovazione aderente al sistema europeo ENOLL ( European Network of Living Labs) è stato interrotto dalla giunta attuale, che protegge l’unico modello produttivo dell’isola: energia da gasolio, consumi elettrici obbligati per tutti e contributi pubblici all’unico produttore.
Il trionfo del parassitismo e del “chiagnifottismo”meridionale, oltre che il tradimento di una tradizione locale di ben altro spessore.
Fino a quando potrà durare?
