Europa

Divergenze sull’Europa, oltre che sulla Manifestazione del 15 marzo

a cura di Sandro Russo, con i contributi e le segnalazioni del “Gruppo Dialettica”

Proprio nel giorno in cui troviamo in edicola, come titolo grande in prima pagina sul giornale,l a notizia del riarmo dell’Europa, presentiamo questo articolo  frutto di una serie di considerazioni con gli amici del “Gruppo Dialettica” 


La proposta di Michele Serra di una manifestazione di appoggio all’Europa (leggi qui) – “senza bandiere o simboli di partito, solo il blu stellato della bandiera dell’Unione Europea” -, nei giorni successivi si è definita meglio con diverse adesioni di leader politici, raggruppamenti e singole persone e con la definizione di una data – il prossimo 15 marzo a Roma.
Contemporaneamente si sono registrate critiche nei confronti della manifestazione che secondo i detrattori non definisce di quale Europa si sta parlando.
Presento qui un articolo da la Repubblica di ieri, 4 marzo 2025 di Massimo Adinolfi, favorevole all’iniziativa.
A seguire degli scambi di messaggi nell’ambito del Gruppo “Dialettica”, con perplessità e prese di posizione.

Le idee
Il sentimento europeo
di Massimo Adinolfi – Da la Repubblica del 4 marzo 2025

L’Europa è l’unico continente ad avere un contenuto: così diceva Ortega y Gasset, cent’anni fa, e così conviene ancora pensare: l’Europa ha un contenuto — di idee, di principi, di valori, di diritti e di libertà — che va riconosciuto e difeso.
Troppo retorico? Ricomincio.
Nello studio ovale Trump ha detto con chiarezza letterale di porsi tra l’Ucraina e la Russia da «arbitro e mediatore». Non c’è bisogno di alcuna machiavellica arrière-pensée, né di attribuire intenzioni o secondi fini diversi da quelli dichiarati: l’America di Trump — che non è, per fortuna, tutta l’America, proprio come nessuno in Europa, Stato, individuo o istituzione, è tutta l’Europa — non sta con Kiev e dunque, nella misura in cui la sicurezza di Kiev è un affare europeo, non sta neppure con gli europei. Sta a eguale distanza fra gli uni e gli altri, non importa se aggrediti o aggressori, se invasi o invasori. Per stare dove dichiara di stare — in mezzo, a stringer mani e fare affari — vuol dire che non ha una ragione particolare per collocarsi da una parte piuttosto che dall’altra.

Se, e finché, si tratta di fare affari, non c’è per Trump — come lui stesso ha ripetutamente spiegato — un fronte democratico e liberale, il buon vecchio “mondo libero” del quale farsi paladino.
E, chissà, forse non c’è più nemmeno una sfera atlantica o un campo occidentale. La sicurezza europea, ad esempio, è ancora un affare, per gli americani? Forse no, o forse solo a certe, sempre più aspre condizioni, tutte da ridefinire. Ma non c’è più nessuna ragione particolare — nessuna emozione speciale, nessun motivo sentimentale — perché l’America di Trump si senta particolarmente coinvolta in ciò che accade al di là del “grande e bell’oceano” che la separa dal Vecchio continente.
Se noi, viceversa, abbiamo ragioni ed emozioni per sentirci coinvolti nella vicenda ucraina, se sentiamo l’esigenza che si ritrovi un principio d’ordine nel gran disordine del mondo e se vogliamo sperare di concorrere a determinarlo, allora forse è il momento di dirlo.
Lo devono dire i governi, le cancellerie, i parlamenti; lo deve dire Bruxelles? Certamente, ma ecco cos’è l’Europa: quel luogo in cui conta ancora l’opinione pubblica, dove la democrazia ci guadagna dalla partecipazione alla vita politica dei suoi cittadini, dove semplicemente ha ancora senso farsi sentire, andare in piazza.

Ce l’ha, e non bisogna arrendersi al cinismo, contrabbandato per lucido e disincantato realismo. Questa storia del realismo merita poi una messa a punto. In primo luogo, se anche contasse solo la forza, come non vedere che l’opinione ha una sua forza? Certo non la forza dei carri armati o delle bombe, ma quella, più tenue ma tenace, della ragione può ancora averla. Tant’è vero che lo stesso Trump, e persino Putin pretende non solo di far valere le armi, ma pure di avere ragione: proprio perciò bisogna prendersi l’incombenza di dire loro chiaro e tondo che no, hanno torto.
Hanno torto marcio.

In secondo luogo, quelli che apprezzano la rude schiettezza con cui Trump ha mostrato al mondo cosa significhi avere le carte, per aggiungere subito dopo che non solo il povero Zelensky, ma pure l’Europa non le ha, per cui i vari Starmer, Merz, Macron proveranno a mettere qualche pezza ma prima o poi dovranno allinearsi a Washington, sono gli stessi che all’inizio della guerra chiedevano a gran voce una forte iniziativa europea, e certo una mediazione europea, e finanche un rinnovato protagonismo europeo. Ma bisogna fare pace con il cervello: se era possibile prima fare sentire la voce dell’Europa è possibile anche adesso, e se non è possibile adesso, non lo era neppure prima. Oppure essere realisti significa solo sposare il fatto compiuto con il senno di poi, per darsi ragione da soli dicendo: ecco io l’avevo detto? Lo spazio per agire invece c’è e, come diceva quel tale, c’è per ognuno secondo le proprie possibilità. Per coloro che vogliono dire che si sentono europei c’è la possibilità di farlo, il 15 marzo.
È vero, quando si dice “eccomi, ci sono!” non si è ancora detto nulla, ma non è vero che non serva a nulla, anzi: nei momenti di crisi, nelle angustie e in ogni situazione critica dichiarare di esserci è la prima cosa che serve.

Sopra ho messo da parte la retorica; ora la riprendo, per concludere. Se in mezzo al mare di bandiere blu per l’Europa, senza distinzioni di partiti o di movimenti, senza destra né sinistra, ce ne fosse una, una soltanto — una bandiera, una coccarda, un piccolo cappottino liso indosso a una bambina — che unisse al blu il colore giallo intenso della bandiera ucraina non credo sarebbe sbagliato. E, forse, aiuterebbe la nostra tragica memoria di europei.

[Di Massimo Adinolfi, da la Repubblica del 4 marzo 2025]

Manifestazione per lEuropa. GettyImages

Scrive Sandro ai corrispondenti del gruppo Dialettica
Scusate, rappresento un gruppo di persone semplici che vorrebbero capirci qualcosa. Cerco di riassumere le diverse posizioni, per presentarle ai miei lettori.
Ho letto due documenti diversi:
– quello della Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace che richiama i valori fondativi dell’Europa nel nome di David Sassoli [segnalato da Maria Fausta Adriani, in file .pdf a fondo pagina], e
– quello della LegaCoop [segnalato da Dora Iacobelli, in file .pdf a fondo pagina]
Lodevoli e condivisibili entrambi nelle dichiarazioni di principio, ma di fatto opposti negli effetti pratici che ne derivano.
Se capisco bene, i sottoscrittori del primo documento non ci saranno, nella piazza del 15 marzo; quelli che si riconoscono nel secondo documento ci saranno.

Quello che divide sono i punti su cui si fondava l’Europa dei padri fondatori, disattesi dall’attuazione pratica successiva. Soprattutto il sostegno all’Ucraina contro la Russia e la scelta del riarmo.
Tutti siamo contrari al riarmo, lo stesso Serra tutto è meno che un guerrafondaio, ma di fronte alla situazione che si è creata che alternative ci sono?
La proposta originaria di Michele Serra, nella sua formulazione originaria – leggi qui – è a monte di tutto questo. Chiede di sostenere l’idea di Europa a prescindere dalle diverse posizioni che si possono avere sulle decisioni pratiche su queste o altri problematiche. Con tutto il rispetto, mi chiedo quale rilevanza potrà avere il Movimento per la Cultura della Pace se non partecipa. Non è simile alla posizione degli astensionisti alle elezioni? Altissime motivazioni ideali, ma zero risultati pratici.
Forse è mancata la proposta successiva? Di specificare per quale Europa si vuole testimoniare? Lo si potrà fare dopo essersi ritrovati tutti insieme? È questo che si dovrebbe chiedere a Serra e ai promotori della Manifestazione.
Luigi Narducci rileva questa contraddizione…  comprende le ragioni di entrambe le posizioni, ma ci sarà o non ci sarà a testimoniare per l’Europa?

Luigi Narducci 
Caro Sandro,
la situazione è estremamente complessa e non si tratta certo di una questione di ingenuità. L’intervento di Trump, per quanto caratterizzato dalla sua consueta rudezza e violenta visione di classe, ha reso chiaro un nodo fondamentale: l’avanzata russa in Ucraina impone una scelta netta: o si rinuncia al sostegno a Kiev, oppure si accetta il rischio di un coinvolgimento diretto della NATO, con conseguenze potenzialmente catastrofiche. Trump ha scelto di abbandonare, lasciando l’Europa in una posizione di incertezza: il sostegno all’Ucraina resta un obiettivo dichiarato, ma senza gli Stati Uniti risulta difficile da sostenere.
In questo contesto, Ursula von der Leyen propone un aumento delle spese militari e perfino l’ipotesi di un “nucleare comunitario”, ma la costruzione di un’autonomia militare europea richiederà molti anni. Nel frattempo, l’esito del conflitto in Ucraina sembra sempre più segnato: senza un intervento diretto occidentale e la discesa in campo dell’Europa, con uomini e mezzi, la via della trattativa è inevitabile anche per evitare che Putin stravinca.

Alla luce di questo scenario, la convocazione della manifestazione del 15 marzo appare poco chiara. Qual è il suo obiettivo? Sostenere una politica di riarmo per rendere l’UE indipendente militarmente nel lungo periodo? Oppure opporsi a questa corsa agli armamenti, promossa anche dagli apparati militari e industriali e spingere per il disarmo, per la messa al bando delle armi e per la creazione di istituzioni capaci di garantire la pace e i diritti?
Proprio questa ambiguità ha reso possibile un’ampia partecipazione da parte di realtà con visioni diverse, alcune delle quali certamente condivisibili. Tuttavia, col passare dei giorni, la manifestazione sembra assumere sempre più i contorni di un’iniziativa orientata al rafforzamento militare dell’UE. Dire oggi “più Europa” significa, nei fatti, sostenere la proposta della von der Leyen, l’unica concretamente sul tavolo. Per questo, mi sembra difficile pensare che sia possibile partecipare riuscendo a caratterizzare la mobilitazione in senso opposto.

Personalmente, non prenderò parte all’iniziativa, perché mi riconosco nelle posizioni delle associazioni che da anni promuovono una cultura della pace. Credo che la priorità dovrebbe essere investire in sanità, istruzione e politiche sociali, anziché destinare 800 miliardi a nuove spese militari.
Allo stesso tempo, trovo importante che il dibattito resti aperto e rispettoso. Chi sceglie di non partecipare non lo fa per sottrarsi al confronto, perchè non vuole mettersi in gioco o perché è gratificato dall’essere sempre contro e mai per, ma perché ritiene che esistano strade diverse e più certe per costruire un futuro di pace e di sicurezza e da sempre è impegnato e si è mobilitato in tal senso.

Per questo, eviterei di ridurre la discussione a una contrapposizione tra chi è “contro” e chi è “per”. Chi, come me, ha sempre cercato di sostenere le ragioni della pace e dei diritti, lo ha fatto con la volontà di trovare soluzioni alternative ai conflitti e, come dice Costituente Terra, per imporre una Costituzione della Terra che per prima cosa metta al bando la guerra.
Ritengo che il confronto su questi temi sia fondamentale. Per questo, sarebbe utile approfondire insieme quali prospettive si aprano oggi per l’Europa e per il mondo, cercando di costruire un dialogo che vada oltre la semplice contrapposizione tra posizioni diverse.

Per essere più concreto credo che l’Europa dovrebbe oggi modificare il proprio atteggiamento e verificare intorno ad un tavolo quali siano le reali richieste di ognuno per cercare di arrivare alla migliore mediazione possibile al fine di evitare un conflitto europeo. Dopodiché l’UE dovrebbe avviare una riflessione seria e costruire un percorso che completi quanto è stato fatto al termine della seconda guerra mondiale con la promulgazione delle dichiarazioni dei diritti e delle costituzioni creando istituti di garanzia della pace e dei diritti. È l’unico modo per arrestare la deriva attuale verso i tecno-fascismi, le plutocrazie e la guerra. Se non procederemo in questo modo e investiremo in armi tagliando le spese sociali saremo condannati ad avere la guerra e l’affermazione ovunque di destre violente e radicali.

Manifestazione per la Pace. Da www.il fatto quotidiano.it

Infine Paolo Palazzi
Mi dispiace Luigi ma non sono d’accordo con te. Il tuo “volemose bene”, ognuno ha la sua Europa dei sogni, non dividiamoci fra pro e contro, in un momento in cui è in discussione la vita stessa di milioni di persone dell’Europa geografica, non mi convince.
Mai come in questo momento bisogna schierarsi: o si vuole combattere o si cerca la pace. Guerra o compromesso, non ci sono alternative. Al massimo si può discutere quale compromesso, ma questo lo possono decidere i rapporti di forza, partendo dalla realtà, tra coloro che lo cercano e lo vogliono.
Il giudizio sulla guerra in Ucraina può essere e rimarrà diverso. Io ad esempio credo che sia stato un grave errore di valutazione della Russia che l’ha portata a entrare direttamente nel conflitto (che già era in corso da anni) e un drammatico errore dell’Occidente di bollare con il dualismo “cioè un aggredito e un aggressore” una situazione complessa su cui si è fiondata con reali obiettivi che credo abietti. Ma non è questo in questione, la guerra c’è e si sa come può finire, cosa preferiamo: un allargamento o un compromesso, il grigio non esiste!

Manifestazione per l’Europa. Da: www.tempi.it

Non basta dire Europa. Fondazione Cultura della Pace.pdf

Una piazza per l’Europa. Legacoop Comunicato Stampa.pdf

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