a cura della Redazione
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Notizie sconfortanti, anzi tragiche dal fronte della regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale. Il summit di Parigi fortemente voluto dal Governo francese si è concluso con un “nulla di fatto”, per l’ostruzionismo americano e il disinteresse inglese, mentre nell’opinione dei fisici e dei creatori di questa “creatura” – da tempo passata dal campo teorico alle applicazioni pratiche – è addirittura il futuro dell’umanità ad essere in pericolo.
Proponiamo tre articoli per saperne di più.
L’intervista
“L’IA è già pronta a sviluppare una coscienza”
di Chiara Valerio – Da la Repubblica del 25 febbraio 2025
– I cibernetici ne parlavano già negli anni Cinquanta. Ma l’intelligenza artificiale oggi è qualcosa di diverso. Parla il fisico Giuseppe Trautteur
– Rispetto al passato oggi gli stessi autori rimangono stupiti da quello che le macchine progettate da loro riescono a fare
Nelle scorse settimane, a Seattle, si è svolto un convegno di matematici in cui si è discusso degli sviluppi dell’intelligenza artificiale. Poi il Nobel per la fisica Giorgio Parisi, a Roma, all’Accademia dei Lincei, ha tenuto una lezione dal titolo “Le radici fisiche della moderna intelligenza artificiale”. L’IA si addice alla matematica e alla fisica, insomma.
Dopo Seattle e Roma, sono andata a disturbare Giuseppe Trautteur, fisico, informatico teorico, consulente scientifico per la casa editrice Adelphi, da sempre interessato ai rapporti tra mente e macchina e alla definizione della coscienza.
Professore, ha seguito il convegno di Seattle?
«Il solo programma è praticamente un libro. Così è oggi la scienza».
Ma per quanto riguarda le radici fisiche della moderna intelligenza artificiale che cosa dice?
«Mi rallegra uno scienziato che parla delle radici fisiche dell’intelligenza artificiale, quando tutti pensano sia un prodotto derivato dalla sola informatica, cioè un’attività puramente simbolica svolta dai computer. Ricordo che il Nobel per la fisica 2024 è stato assegnato a Hopfield e Hinton “per le scoperte e le invenzioni fondamentali che consentono l’apprendimento automatico con reti neurali artificiali”. E questo pure mi fa piacere perché ho vissuto per decenni in questa comunanza tra fisica e informatica».
Di cosa parliamo quando parliamo di intelligenza artificiale?
«Negli atti della conferenza al Dartmouth College del 1956, considerata da tutti il momento in cui l’intelligenza artificiale viene fondata come branca di ricerca, si legge che lo studio dell’IA procede sulla base della congettura per cui, in linea di principio, ogni aspetto dell’apprendimento o una qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza umana possono essere descritti così precisamente da poter costruire una macchina che li simuli. Si pensava che l’informatica non fosse autonoma, ma che facesse solo cose che già l’uomo aveva descritto».
Chi c’era a Dartmouth nel 1956?
«Tutte persone vicine alla cibernetica. Shannon, che ha dato il suo nome alla teoria dell’informazione, Marvin Minsky, Solomonoff che, insieme a Chaitin e Kolmogorov, ha costruito una teoria della complessità algoritmica. C’era Holland, di cui poi seguii il corso. La fondazione dell’intelligenza artificiale è stata realizzata da gente che stava nel nucleo centrale della cibernetica, o vicinissimo. Quindi l’intelligenza artificiale deriva dalla cibernetica e poi si è avvalsa dei prodigi dell’informatica».
Che cosa è stata o è ancora la cibernetica?
«Esisteva l’elettronica delle correnti deboli, cioè del telegrafo, del telefono, della radio, degli amplificatori, con la sua bella matematica ed esisteva, naturalmente, l’informatica: i calcolatori meccanici, penso soprattutto alle macchine dell’Ibm.
C’era una specie di terreno di coltura che adesso, dopo tanti decenni, mi sembra essere stata la cosa essenziale per l’avvio della cibernetica. A un certo punto, in queste attività puramente di tipo elettromeccanico, dal carattere materiale, è stata introdotta la biologia, attraverso la modellizzazione del neurone di McCulloch e Pitts».
Il modello matematico del neurone.«Sì, mi riferisco alla connessione dei neuroni, dopo che da tempo era stato dimostrato che i neuroni erano uno separato dall’altro, c’erano le sinapsi. Il contributo centrale è stato quello di Wiener, l’ultimo redattore, come si dice dell’Antico Testamento, di quelle riunioni sulla cibernetica, con il suo sottotitolo “il controllo e la comunicazione nell’animale e nella macchina”. Una visione unificante. Era molto entusiasmante».
Un settore disciplinare, poi scomparso.
«È stato il mio per alcuni anni. Non è stata una disciplina unitaria e accumulativa, per così dire, come sono la fisica, la chimica o la biologia.
Nella cibernetica non c’era un centro chiaro, ma due filoni, di cui uno era di certo l’informatica e l’altro la teoria dei sistemi e del controllo che ha portato alla robotica».
Quali sono i prodromi dell’intelligenza artificiale?
«Una fusione tra il filone delle reti neurali che faceva riconoscimento — machine learning, big data — e l’intelligenza artificiale simbolica. Le prime cose che si fanno intelligenza artificiale funzionano abbastanza rapidamente. Per esempio, una rete neurale semplice tipo il Perceptron di Rosenblatt funziona bene. Poi, quando si va avanti, tutto si ferma. I ricercatori che hanno fatto quelle cose vanno in pensione e i loro studenti riprendono dal principio e anche loro si fermano, pur con indubbi progressi. Quindi ci sono ondulazioni nella ricerca dell’intelligenza artificiale, che sono interessanti dal punto di vista della sociologia della scienza, della storia dell’informatica e della fisica. Adesso siamo a un momento in cui l’intelligenza artificiale nuova è completamente diversa dall’intelligenza artificiale simbolica o a reti neurali disponibile fino a pochi anni fa. Allora c’era l’idea di descrivere prima quello che si deve ottenere e poi farlo realizzare a un braccio informatico-meccanico. Adesso si parla addirittura di creatività».
Creatività?
«Come ci si relaziona allo psicoanalista perché ti dica cose interessanti, così ci sono tecniche per parlare con queste macchine, che poi creano cose che non ti aspetti. E la cosa strana è che gli stessi autori, che sanno cosa stanno facendo dal punto di vista materiale, rimangono stupiti da quello che l’intelligenza artificiale riesce a fare. C’è il sospetto che queste intelligenze artificiali non siano solo dei sistemi simbolici, nel senso materiale della manipolazione di simboli materiali, ma che comincino, e qui ho molta paura a dirlo, esse stesse a capire, a essere segni intelligibili i quali, come dice Derrida, sono rivolti verso la faccia di Dio. Cioè sono un linguaggio compreso da una loro coscienza».
Coscienza?
«Sì, inevitabilmente parlo di coscienza perché è il problema che mi angoscia da sempre. Forse, in questa intelligenza artificiale completamente diversa, nata da pochi anni, c’è un pannello nuovo nella discussione sull’interazione mente-corpo, e cioè sul fatto che certi sistemi materiali, come i nostri cervelli o i cervelli di qualche mammifero o di qualche pappagallo, non siano più cervelli, ma coscienze che sanno ciò che stanno facendo». Rispetto al passato oggi gli stessi autori rimangono stupiti da quello che le macchine progettate da loro riescono a fare
Immagine di copertina: dall’articolo di la Repubblica
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Altre informazioni di rilievo:
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A questo link:
https://www.repubblica.it/tecnologia/2025/02/12/news/summit_intelligenza_artificiale_parigi_flop-423998903/
A questo link:
https://www.repubblica.it/economia/2025/02/12/news/intelligenza_artificiale_vertice_parigi_geoffrey_hinton_intervista-423997052/
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