Ricorrenze

Il 27 gennaio e il 10 febbraio. Non dimentichiamo nessuna data (1)

a cura della Redazione

27 gennaio, Giorno della Memoria – 10 febbraio Giorno del Ricordo. Non dimentichiamo nessuna data. Negli anni passati abbiamo sempre ricordato queste ricorrenze nei giorni giusti, in articoli dedicati e accurati… Quest’anno solo per motivi intercorrenti abbiamo mancato le celebrazioni, ma ricordiamo  gli scritti precedenti con i relativi titoli  – in schermate dall’indice del sito – e con due articoli più complessivi, rispettivamente di Marco Mondini (oggi) e Massimo Recalcati (domani) ripresi da la Repubblica dei giorni scorsi.

Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale, celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto. È stato così designato dalla risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005 durante la 42ª riunione plenaria.
Si è stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quella data nel 1945 le truppe dell’Armata Rossa, impegnate nell’operazione Vistola-Oder in direzione della Germania, “liberarono” il campo di concentramento di Auschwitz (estr. da Wikipedia).

 

Il Giorno del Ricordo è una commemorazione civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno, che ricorda i massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata. Istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, vuole “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” (estr. da Wikipedia).

La battaglia del calendario
di Marco Mondini – da la Repubblica del 30 gennaio 2025

Dal 27 gennaio al 10 febbraio, dal 25 aprile al 2 giugno il conflitto sul passato è più acceso che mai. E si combatte ancora a suon di memorie alternative. O sfruttate ideologicamente come tali

Un campo di battaglia. Così il filosofo Remo Bodei definiva, più di trent’anni fa, la memoria collettiva. Non aveva torto. Nell’Italia contemporanea il passato è stato sempre un terreno di scontro, e la lotta per appropriarsene è stata spesso senza esclusione di colpi.
Lo Stato unitario era appena nato quando i suoi dirigenti si accorsero che il vero problema era convincere gli italiani di essere italiani. Menti e cuori andavano conquistati, un’identità doveva essere costruita da zero. E per riuscirci erano necessari nuovi miti, e solenni liturgie per celebrarli.

Le grandi feste nazionali, come la festa dello Statuto a giugno o il 20 settembre, fausta ricorrenza della presa di Roma nel 1870, nacquero così. Si ricordavano le tappe del Risorgimento con splendide parate militari, musica e banchetti. Re e governanti mettevano in scena se stessi, e i cittadini avevano l’occasione per riconoscersi come parte di un nuovo tutto chiamato “patria”.
Il fascismo si impadronì di questo passato e lo deformò a suo uso e consumo. Dopo il 1922 le festività avrebbero tramandato una versione alquanto rivista della storia. I crimini degli squadristi vennero trasformati in una generosa crociata patriottica, la genesi della dittatura in un’opera del destino.
Al 4 novembre, anniversario della vittoria nella Grande guerra di cui Mussolini e i suoi si proclamavano unici eredi, si aggiunsero le celebrazioni del 23 marzo, fondazione dei Fasci di combattimento, e del 28 ottobre, giorno della marcia su Roma. Gli edifici si imbandieravano e gli italiani sfilavano in massa in camicia nera, più o meno entusiasticamente, per testimoniare la propria fedeltà al duce e al regime che aveva creato.

Un’immagine cupa che la nuova Italia dopo il 1945 cercò di cancellare, rifondando da capo la propria epica. Bisognava raccontare di una nazione di uomini liberi, che si era riscattata dalla vergogna del fascismo con il sangue di chi aveva preso le armi dopo il caos dell’8 settembre. E bisognava ricordare che la Repubblica esisteva grazie alla volontà di altri milioni di liberi elettori.
Così i pilastri della memoria della nuova democrazia divennero il 2 giugno e il 25 aprile. Non tutto era pacifico (l’Anniversario della Liberazione avrebbe continuato a suscitare polemiche tra i nostalgici dell’orbace e i vecchi anticomunisti) ma per qualche decennio sembrò che le contese sul calendario civile si fossero attenuate.
Un’illusione. A ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, il conflitto sul passato è più acceso che mai e si combatte ancora a suon di memorie alternative. O sfruttate ideologicamente come tali.

Nel 2000 la decisione del Parlamento di istituire la Giornata della Memoria ha rappresentato una preziosa occasione. Per tentare di rendere indelebile la conoscenza della Shoah, certo. Ma anche per affrontare pubblicamente il ruolo che l’Italia fascista ha giocato nella storia del totalitarismo e nelle politiche di sterminio in Europa.
Nel 2004 la Giornata del Ricordo, dedicata ai cinquemila (forse di più) italiani uccisi tra Istria e Dalmazia tra 1943 e 1945, ha riportato al centro del dibattito la tragedia della vecchia frontiera orientale e l’esodo traumatico di 250 mila giuliani e dalmati.

Nessuno dovrebbe vedere una contrapposizione tra le due date. Eppure è esattamente quello a cui si rischia di assistere ogni anno, quando tra il 27 gennaio e il 10 febbraio si crea un ingorgo delle memorie. Con i morti delle foibe ridotti a essere testimoni di parte, chiamati in causa per dimostrare che no, gli italiani non possono essere carnefici, ma solo vittime immuni da colpe (lo ha suggerito un film come Rosso Istria nel 2018).
Non che questa ricorrente tentazione di auto-assolversi debba sorprendere. In fin dei conti, con l’immagine del fascismo non tanto cattivo, e dell’italiano brava gente, in questo Paese ci si è baloccati per più di mezzo secolo.

[Di Marco Mondini – da la Repubblica del 30 gennaio 2025]

[Il 27 gennaio e il 10 febbraio. Non dimentichiamo nessuna data (1) – Continua]

 

 

 

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top