“Roma o Morte”, racconto storico
di Fabio Lambertucci
Ecco il quarto racconto storico della serie sugli Artisti romani, laziali e toscani che parteciparono attivamente al Risorgimento, alla Grande Guerra e alla Resistenza. È la volta dei pittori risorgimentali Eugenio Agneni (1816-1879), Carlo Ademollo (1824-1911) e Giovanni Costa detto Nino (1826-1903) e degli scultori Achille Della Bitta (1832-?) e Ercole Rosa (1846-1893). Coniugarono con generosità la loro Arte con l’Amor patrio per l’Italia unita. Ho voluto ricordarli così.
F. L.
Carlo Ademollo, Eccidio del lanificio Aiani (1880), Museo del Risorgimento di Milano
Roma o Morte
di Fabio Lambertucci
A mio zio Agostino
Frascati (Roma), 21 aprile 1879. Casa del celebre pittore, decoratore e patriota Eugenio Agneni (1).
Ieri mi è stata recapitata una lettera da Firenze del caro collega Carlo Ademollo che conobbi durante la Campagna del ’59 e rincontrai alla sfortunata Battaglia di Mentana nel 1867, già eccelso autore di quadri che descrivono episodi del nostro glorioso Risorgimento.
Anch’io, mazziniano e garibaldino, vi ho modestamente partecipato: nel 1848 nella Prima Guerra d’Indipendenza e nel 1849 sono stato maggiore dell’esercito della Repubblica Romana e ho combattuto, lodato dal generale Giuseppe Garibaldi, nella vittoriosa battaglia di Velletri contro i borbonici, dove conobbi il poeta genovese Goffredo Mameli, poi nella Seconda Guerra d’Indipendenza del 1859 e nella garibaldina Campagna del Tirolo del 1866. Infine nel 1867 sono stato tra i promotori della Campagna dell’Agro Romano per la liberazione di Roma che si concluse purtroppo con una sconfitta.
Proprio di una nota e sanguinosa vicenda di questa Campagna il fiorentino Ademollo, che ha combattuto da volontario nel ’59 e nel ’66 è stato nominato dal re d’Italia Vittorio Emanuele II “Pittore dell’Armata italiana”, mi richiede i particolari per un dipinto: l’eccidio del lanificio Ajani in via della Lungaretta a Trastevere dove il 25 ottobre 1867 furono trucidati dagli zuavi e dai gendarmi pontifici nove patrioti tra i quali la famosa trasteverina Giuditta Tavani Arquati di 37 anni, madre di quattro figli e incinta del quinto, della quale lo scultore romano e garibaldino Achille Della Bitta sta scolpendo il busto in marmo per il monumento. Uccisa assieme al marito Francesco e al figlio dodicenne Antonio. Io partecipai a quei fatti d’arme e per mia fortuna fui tra coloro che riuscirono a fuggire per tetti e vicoli.
Pensare che per la mia bravura di pittore proprio il Papa Re Pio IX, morto rinchiuso in Vaticano l’anno scorso, mi aveva fatto affrescare nel 1847 la Sala del Trono al Quirinale e per premio mi aveva promosso capitano della “Prima Legione civica romana” e andai così nel 1848 a combattere la Prima Guerra d’Indipendenza per lo Stato Pontificio nella sanguinosissima e persa Battaglia di Vicenza contro gli austriaci di Radetzky. Lì venni anche ferito. Dopo anni di esilio a Parigi, dove nel 1857 al Salon esposi con successo il mio dipinto “Spiriti dei Grandi fiorentini protestano contro il dominio straniero”, e poi cacciato nel ’58 per il mio legame con il romagnolo Felice Orsini, attentatore di Napoleone III, rifugiato a Londra, sono ritornato nel 1871 nella mia diletta Roma, finalmente capitale del Regno d’Italia unita.
Il Comune mi ha quindi incaricato dell’accettazione e collaudo dei busti marmorei degli Eroi del Risorgimento alla Passeggiata del Gianicolo e di quelli degli Italiani illustri al Pincio. Purtroppo da quando mi sono ammalato mi sono dovuto ritirare qui a Frascati sui salubri Colli Albani.
Giuditta e Francesco, commerciante di lana di Filettino, li avevo conosciuti molto bene nel 1849 quando assieme partecipammo all’eroica difesa di Roma attaccata dai francesi del presidente Bonaparte e poi con Garibaldi verso Venezia per difendere la Repubblica di San Marco. I due erano poi rientrati clandestinamente a Roma nel 1865. Così quando Garibaldi nel ’67 incaricò in segreto il maggiore bergamasco Francesco Cucchi, che nel 1860 fu dei Mille, di organizzare la sollevazione di Roma questi si rivolse a me e al mio collega romano Giovanni Costa detto Nino – io invece sono originario di Sutri nella Tuscia e con lui fui a Roma ottimo allievo del famoso e compianto maestro Francesco Coghetti – già mazziniano, combattente alla difesa di Roma nel ’49 e volontario nell’esercito sardo nel ’59, per aiutarlo a contattare i cospiratori romani.
Fu per me una vera gioia rincontrarli!
Giuditta, figlia di un prode repubblicano, era veramente una grande donna animata dal sacro fuoco dell’amor di patria! Mentre il Generale radunava volontari per riconquistare Roma, noi all’interno avremmo creato focolari di rivolta che avrebbero condotto alla sollevazione tutta la Città Eterna. Dovevamo occupare il Campidoglio, Castel Sant’Angelo, la caserma di Piazza Colonna, suonare le campane di varie chiese per adunare il popolo e liberare dal carcere del San Michele a Porta Portese i detenuti politici. Per questo Cucchi fece introdurre in città seicento fucili e bombe a mano che vennero nascosti a Villa Mattei sul Celio. L’arrivo di Garibaldi era previsto per la notte del 27 ottobre a ponte Nomentano. Noi iniziammo le danze il 22 con il botto della caserma degli zuavi a Borgo Santo Spirito! I muratori Monti e Tognetti che l’avevano minata con due barili di polvere da sparo uccisero venticinque soldati e purtroppo due civili.
La reazione dei pontifici fu furiosa e fu scoperto il nostro deposito di armi al Celio. Così i fratelli Enrico e Giovanni Cairoli con una settantina di volontari il 23 non trovarono nessuno ad accoglierli a Villa Glori e vennero sopraffatti dai pontifici.
Dei patrioti trasteverini si salvarono il calzolaio Pietro Luzzi e Giulio Ajani, padrone del lanificio di Trastevere che divenne la nostra base. Lì in circa quaranta fabbricammo le bombe e le cartucce per i fucili e le pistole.
Qualcuno però ci aveva tradito!
All’ora di pranzo a un tratto sentimmo esplodere in strada una bomba e sparammo contro gli zuavi e i gendarmi pontifici dalle finestre per tre ore. I nemici infine sfondarono la porta a cannonate. Vidi la povera Giuditta essere ferita più volte. Salimmo quindi al piano superiore per fuggire per tetti. Giuditta, il marito Francesco e il piccolo Antonio, che aveva fatto la sentinella sull’altana e aveva tirato la prima bomba, e altri nove compagni rimasti indietro furono colpiti a morte.
Sentii Giuditta gridare ai soldati: “Vili! Non vi temo!” e i tre Tavani Arquati morirono vicini trafitti dalle baionette! Cucchi, Costa e io riuscimmo a scamparla, non così una ventina di compagni che furono catturati, e a raggiungere il Generale a Monterotondo.
Partecipammo poi il 3 novembre alla Battaglia di Mentana contro i pontifici e i francesi di Napoleone III armati di moderni fucili a retrocarica. Nino Costa anche quella volta si distinse per entusiasmo e coraggio in battaglia e vidi la famosa medium russa Madame Helena Blavatsky, venuta a conoscere il Generale, grande appassionato di Spiritismo, che colpita due volte al torace, creduta morta, fu gettata in un fosso ma che poi incredibilmente si salvò! Alla battaglia partecipò anche il ventiduenne scultore romano Ercole Rosa che quattro anni fa è stato visitato nel suo studio dal generale Garibaldi e gli ha scolpito un bel mezzobusto e ora sta realizzando in bronzo il monumento ai fratelli Cairoli che sarà collocato al Pincio.
Così ho raccontato tutto questo all’Ademollo, come hanno già fatto Cucchi, ora deputato del Regno d’Italia per la Sinistra, e Costa, fino a due anni fa consigliere comunale di Roma. Ho inoltre preparato degli abbozzi della tragica scena del lanificio che spero possano essergli molto utili…
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Galleria
Onorato Carlandi. Il ritorno da Mentana (1870), Galleria comunale d’arte moderna di Roma (part.)
Onorato Carlandi. La barca dei fratelli Cairoli, Collezione privata
Carlo Ademollo, La breccia di Porta Pia, Museo del Risorgimento di Milano (part.)
Ritratto del generale Garibaldi con dedica autografa a Nino Costa
Carlo Ademollo, La presa di Porta Pia, Museo del Risorgimento di Milano (part.)
Giovanni Costa detto Nino con gli abiti indossati alla Battaglia di Mentana
Gerolamo Induno, Morte di Enrico Cairoli, Museo Civico di Pavia (part.)
Il pittore Eugenio Agneni, nato a Sutri (VT) nel 1816, morì a Frascati (Roma) il 25 maggio 1879 e non vide compiuto il grande e bel dipinto ad olio su tela “L’eccidio della famiglia Tavani Arquati” (1880) di Carlo Ademollo (Firenze 1824-1911), oggi conservato al Museo del Risorgimento di Milano. Dal 1923 al Gianicolo è esposto il suo busto, opera dello scultore Giovanni Prini (Genova, 1877- Roma, 1958), e a Sutri gli è intitolata una strada nel centro storico. Al Gianicolo sono esposti i busti di Giovanni Costa e Francesco Cucchi. A Roma ad Achille Bitta (assieme al padre scultore Antonio) sono intitolati una via e un largo a Casetta Mattei e a Ercole Rosa una via del rione San Saba.
Fabio Lambertucci ® (Santa Marinella, RM; 2025).
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Gianni Sarro
19 Febbraio 2025 at 09:27
Molto interessante questo racconto di Fabio ambientato nella Roma pontificio. L’episodio di Giuditta e l’esplosione della caserma degli Zuavi sono l’abbrivio di In nome del Papa Re (1977), uno dei capolavori di Luigi Magni – gli altri della trilogia sono Nell’anno del Signore, del 1969, ambientato nel 1825 e nel quale è citata anche la battaglia di Mentana e In nome del popolo sovrano (1990). Nell’avvincente racconto Fabio cita il carcere di San Michele a Portaportese; se la memoria non m’inganna la struttura è stata usata anche come set.
Buona Storia e cinema a tutti.