di Brunella Borsari
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Un’altra delle differenze tra il turista e il viaggiatore è che quest’ultimo è di gran lungo più attento alle persone del posto; da esse apprende e attraverso di esse cerca di capire il paese di cui è ospite. È stato (anche) questo il senso di questo viaggio in Marocco; insieme al piacere di scriverne.
S. R.
Storia di Ghizlane
di Brunella Borsari
È freddo la mattina. Un freddo intenso e pungente: gli ambienti non riscaldati del riad sembrano una ghiacciaia. Chi se lo sarebbe aspettato, in Marocco?
Ci accomodiamo in una saletta chiusa, intorno al tavolo al quale abbiamo appena finito di consumare la colazione, seduti tutti vicini nell’illusione di stare più caldi.
Antonella ci presenta Ghizlane.
Antonella abita a Marrachech da anni, in questi pochi giorni ci fa da guida attraverso la realtà di un paese che vorremmo vivere più da viaggiatori che da turisti.
Ha conosciuto Ghizlane l’anno scorso, a un festival femminile che si chiama “Hey sister”: una serie di eventi rivolti alle donne, tutti ispirati alla condivisione e alla conoscenza reciproca. Un empowerment al femminile, una sorellanza declinata al concreto, per fare rete e crescere insieme.
Ha pensato che sarebbe stato interessante per noi conoscerla, e lei ha accettato di incontrarci, di raccontarci la sua storia.
Di Ghizlane mi colpiscono il suo sorriso luminoso e l’improbabile berretto da sci, che terrà addosso per tutto il tempo, tanto da farmi venire il dubbio: lo fa perché ha freddo o perché vuole tenere il capo coperto?
Una cantante sufi, così ci è stata presentata. E si spalanca il mio abisso di ignoranza: non sapevo che i sufi cantassero. O forse sì: il nostro Franco Battiato era molto vicino al sufismo.
Non pensavo che ci fossero sufi donna. O che la spiritualità sufi fosse diffusa al di fuori di Turchia, e zone limitrofe. I dervisci danzanti sono soltanto turchi, però…
Accantono la mia confusione mentale e la ascolto.
Parla un inglese fluente e di facile comprensione. È stata una sorpresa arrivare qui e rendermi conto che quasi nessuno parla più francese: la lingua dei colonizzatori. L’inglese invece è molto diffuso, soprattutto fra i giovani scolarizzati.
Ghizlane ci parla della sua infanzia felice, prima nel suo paese di origine, nell’interno, poi in un’altra città, dove la sua famiglia si era spostata per via del lavoro del padre, militare.
Racconta con orgoglio dei suoi buoni risultati negli studi, che l’hanno portata addirittura a vincere un concorso per andare un anno a studiare all’estero, negli USA.
I suoi genitori non l’hanno mai ostacolata, anzi, l’hanno incoraggiata nei suoi progetti: il suo sogno era diventare medico.
Sorride con dolcezza ma con distacco, mentre parla di quella ragazzina orgogliosa e brava a scuola, piena di entusiasmo e di voglia di fare, come se si trattasse di qualcun’altra, non la se stessa di pochi anni fa.
A diciannove anni, rientrata dagli Stati Uniti e terminato il suo percorso di studi, fino al diploma, rientra in Marocco, e va in visita ai suoi parenti nel suo paese di origine. Proprio in quell’occasione una sua zia si dà da fare per trovarle un fidanzato: c’è un ragazzo che farebbe proprio al caso suo, ha studiato e vive in Canada, l’esperienza di vita all’estero sarebbe già un punto in comune, fra loro. La zia e l’aspirante suocera tessono la loro trama. Ghizlane è una ragazza che aspira all’indipendenza ma non rifiuta la tradizione. E la tradizione non consente amicizie o frequentazioni fra maschi e femmine, ma vuole che le ragazze si sposino, e che siano i familiari a organizzare i matrimoni. Solo la saggezza dei genitori può garantire un matrimonio felice, non certo l’amore, che è ingannevole, non resiste a lungo e dissolvendosi porta soltanto sofferenza e destabilizzazione .
Ghizlane però non vuole rinunciare ad andare all’Università ed a perseguire il suo sogno di diventare medico, come sarebbe sicuramente costretta a fare sposandosi .
Invece, sorpresa: il ragazzo, interpellato sul punto, dal lontano Canada fa sapere che per lui non ci sarebbero problemi, se la sua eventuale moglie continuasse a studiare. Allora, Ghizlane accetta di parlare con lui. Il suo fidanzamento si svolge su Skype, a distanza intercontinentale. Si sposa dopo poco senza quasi conoscere suo marito e si trasferisce da lui, in Canada.
Siamo tutti attentissimi, pendiamo dalle sue labbra.
Lei continua a raccontare, la nostra curiosità la diverte. Ha un’aria da folletto felice, col suo sorriso, i capelli lunghi che le escono dal berretto di lana, la felpa pesante e i jeans di velluto: sembra appena uscita da un bosco alpino, invece nonostante il freddo qui siamo in Africa, cielo azzurro e palme, anche se alle spalle di Marrachech si vede, netto, il profilo delle montagne dell’Atlante con le cime innevate.
Anche se mantiene il sorriso il suo racconto si tinge di sofferenza. I pochi anni di matrimonio devono essere stati infelici, se tutto finisce in un divorzio. La sua più grande ansia è di doverlo dire ai suoi genitori, che contrariamente a tutti i suoi timori non fanno tragedie, e le dicono – “Vogliamo soltanto che tu sia felice! ”.
Ghizlane non è felice.
Le chiediamo del marito, di come ha reagito alla sua decisione di rompere il matrimonio. Ma è una domanda indiscreta, e lei si sottrae con grazia: non vuole parlare di lui, che non è presente, per non mancargli di rispetto.
Continua a raccontare di sé. Dopo il divorzio, lascia il piccolo centro in cui viveva col marito e si stabilisce a Montreal, ma è in crisi anche con gli studi: ha capito di non essere tagliata per fare il medico.
Dice: – Avevo chiaro che cosa non volevo: essere moglie, fare medicina. Ma non sapevo che cosa volevo!
Ora, a distanza di tempo, si può permettere di essere ironica, ma si percepisce bene che quello è stato un periodo difficile: era sola, confusa, lontana dalla sua famiglia.
In quel momento di caos la necessità di mantenersi la porta a trovare lavoro in un caffè, una sorta di centro culturale sufi. E’ un ambiente particolare, in cui lei si sente subito a suo agio. Le persone sono accoglienti, nessuno le chiede nulla, e lei si trova a seguire le attività del centro, a riconoscersi e ritrovare se stessa in quella spiritualità, all’interno della sua religione di appartenenza.
Capita che a Montreal si svolga un Festival musicale, a cui partecipano anche alcuni musicisti sufi che gravitano nel caffè dove lei lavora.
Capita che le propongano di cantare insieme a loro. Lei accetta, le piace cantare, e nel canto ritrova un’espressione di libertà, una dimensione felice. Un tempo, quando era bambina, cantava a scuola: le dicevano che era brava, che aveva una bella voce.
Ma subito viene assalita dai dubbi. Ricorda bene quando, in passato, una sua insegnante le aveva chiesto di cantare durante una recita scolastica. Lei ne era stata felice, era corsa a casa tutta orgogliosa per dirlo alla sua mamma, che però aveva reagito male: cantare in pubblico non è permesso a una donna, secondo i precetti religiosi islamici. Addirittura le si era raccomandata: – “Che tuo padre non lo venga mai a sapere!”.
Da brava figlia, non aveva messo in discussione né l’autorità di sua madre, né le regole religiose, e il canto, che tanto l’avrebbe resa felice, era stato abbandonato, senza ripensamenti.
Ma non se la sente di rinunciare anche ora, che la musica l’ha toccata nel profondo, facendola sentire di nuovo felice. Ne parla con i religiosi sufi, che la rassicurano: quella proibizione era soltanto una interpretazione molto restrittiva del Corano, non c’è nulla di male in una donna che canta, non avrebbe certamente offeso Dio.
E allora lei decide di continuare a cantare.
Nel corso del Festival era stata folgorata dalla eccezionale bravura di un musicista siriano, uno dei massimi studiosi e interpreti di musica tradizionale araba e canti sufi. Lui era fuggito dal suo paese a causa della guerra, si era stabilito in Europa. Ghizlane gli aveva chiesto di insegnarle la sua musica, di prenderla come allieva, ma lui aveva rifiutato: fare lezioni on line non era nelle sue corde.
Lei aveva incassato il rifiuto.
Ma subito dopo, la svolta: arrivato il Covid, il musicista che aveva sempre rifiutato di fare lezioni on line si deve arrendere a quella inevitabile modalità: Ghizlane diventa così sua allieva, e presto sua assistente e interprete, affiancandolo nell’attività di insegnamento a distanza. E comincia a esibirsi in pubblico, a Montreal, in Canada, anche all’estero, perfino in Perù.
Non ci racconta perché abbia deciso di rientrare a Marrachech, dove adesso vive e lavora ; non ci dice altro del suo percorso spirituale, che le ha fatto accantonare gli studi, di cui era così orgogliosa, e l’ha guidata fino al canto, e ad una nuova vita.
Non ci dice neppure se è fidanzata, o se pensa di sposarsi di nuovo: forse la sua scelta spirituale lo esclude? Ha solo trentadue anni, e sembra anche più giovane!
Ma c’è un limite a tutto, anche alla generosità nel raccontarsi.
Sempre illuminata dal suo sorriso dolce, con grazia, conclude il suo racconto con una canzone tradizionale, in cui modula la voce con maestria, accompagnandosi con uno strumento che ricorda un nostro tamburello.
Sono colpita dalla sua personalità, dalla sua perfetta coerenza con l’oggi (studi all’estero, inglese perfetto, apertura verso noi stranieri) e dalla sua aderenza alla tradizione culturale, musicale, religiosa del proprio paese.
Un paese che, in questo breve soggiorno, scoprirò sorprendentemente ricco di stimoli , aperto al nuovo e in corsa, verso un futuro migliore. Con un’energia ed una forza che noi, nella nostra vecchia Europa, abbiamo ormai esaurito.
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Note (a cura della Redazione)
Il sufismo o taṣawwuf è la dimensione mistica dell’Islam; sono detti sufi quanti praticano tale forma di esperienza.
(…) Su quali siano le origini del sufismo, la questione è controversa: per alcuni studiosi si tratterebbe della continuazione di una preesistente e perenne filosofia esistenzialista preislamica, la cui espressione confluisce nell’Islam; altri, invece, sostengono la natura prettamente islamica del sufismo.
(…) Si deve attribuire l’invenzione del termine sufismo, come il suo attuale impiego nel mondo occidentale, non tanto ai testi islamici o ai sufi, quanto agli orientalisti britannici; questi vollero creare una divisione tra ciò che reputavano interessante della civiltà islamica (la sua spiritualità) e gli stereotipi negativi sull’Islam (presenti in Gran Bretagna).
I sufi tradizionali – tra i quali Bayazid Bistami, Rumi, Haji Bektash Veli, Junayd di Baghdad e Al-Ghazali – considerano il sufismo puramente basato sui precetti dell’Islam e sugli insegnamenti di Maometto (da Wikipedia, ibidem)
Una più ampia trattazione del “sufismo” è presente in: https://it.wikipedia.org/wiki/Sufismo
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Nota del 16 febbr. 2025 (cfr. commento dal Gruppo whatsapp ‘Marrakesh’)
Da Brunella
Da Antonella:
![](https://www.ponzaracconta.it/wp-content/uploads/2024/11/home_ponzaracconta.jpg)
Ricevuto in Redazione dal Gruppo Whatsapp 'Marrakesh'
16 Febbraio 2025 at 10:01
Perché certi viaggi non finiscono quando si ritorna…
Brunella
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Aggiungo anche…
Antonella
Immagini di copertine di libri visualizzabili in appendice all’articolo di base (a cura della Redazione)