Racconti

Altri ricordi di Franco Feola (prima parte)

di Silverio Lamonica

L’Ufficio della SAEP e i rapporti con sindacati ed ispettori
Una breve premessa.
Franco Feola, come già si è potuto intuire leggendo il mio precedente articolo (L’atto di ingiunzione al pagamento di Franco Feola), aveva frequentato solo le elementari. Emigrò giovanissimo negli Stati Uniti, dove imparò “sul campo” la lingua inglese e attraverso un duro lavoro e sacrifici vari, “fece fortuna”. Negli anni ’30 tornò a Ponza ed investì i suoi sudati risparmi nel fornire ai suoi compaesani un servizio primario: l’energia elettrica.

Come ho già precisato altrove, l’ufficio della Società era situato nel Palazzo Irollo e si accedeva salendo lungo la rampa dei Gradini della Dragonara. Attraverso un enorme arco si entrava in un atrio comune e a sinistra c’era l’appartamento formato da due stanze intercomunicanti, molto ampie e con volta a cupola. L’ufficio era sistemato nella stanza con affaccio sulla Via Nuova.

Gli arredi erano “spartani”: una scrivania, dove sedeva mio padre coi registri della contabilità e di lato, un tavolinetto con la macchina da scrivere, una Olivetti risalente agli anni ’40, una parete coperta da armadi e scaffali dove si conservavano i documenti e una ingombrante cassaforte in ferro che suscitava la mia curiosità. Solo Frank Feola ne conosceva la combinazione. Quando l’apriva, vi si sedeva davanti, nascondendola con la sua vistosa corporatura. Sicché si potevano sentire solo i ticchettii e i cigolii degli ingranaggi, mentre azionava la combinazione. Infine, si spalancava la massiccia porta, rivelando – con mia sorpresa – degli scomparti semivuoti. Dallo scomparto superiore Frank estraeva un sigaro toscano da uno scatolo che poi rimetteva con cura al suo posto, dallo scomparto inferiore tirava fuori una tavoletta di cioccolato fondente e con fare sornione me ne regalava un pezzetto.

Sicché, mentre dava ampie boccate al suo sigaro ed io gustavo il pezzetto di cioccolato americano, esordiva: “Compare, ho saputo che devono venire qui i sindacane – così definiva CGIL, CISL, UIL – Ma io in Americhe avevo sotto di me cinquanta pellerossa e nessun sindacane. Qui invece, ho quattro gatte e cinquanta sindacane!

Però talvolta arrivavano anche gli ispettori a verificare l’andamento societario e qui seguivano altre istruzioni a mio padre: “Compare, io vade a fare una bella pescate con la lanza – così definiva la sua barchetta – Se vengono qui, gli dice: avete la firme di De Gaspire? No? E allora volate per la finestre!

La barca di Frank Feola e il castello di sabbia di Francesco
Frank Feola era un personaggio piuttosto estemporaneo; possedeva una sua “originalità” che talvolta finiva per urtare la suscettibilità di qualche suo interlocutore.

Noi ragazzini giocavamo, di solito, sulla spiaggia di Sant’Antonio. Un giorno mio fratello Francesco costruì un castello di sabbia con mura merlate, torri e bandierine, proprio simile alle illustrazioni dei sussidiari di quarta elementare (allora i bambini di nove anni studiavano la storia medievale).
Ad un certo punto approdò a riva Frank Feola con la sua barca a remi, dopo la consueta pescata di “perchie” (serrani), “pint’i rre” (donzelle zingarelle) e soprattutto “guarracini” (castagnole). Dopo essere sceso dalla barca, si fece aiutare da noi ragazzini per tirarla in secco e rovesciarla con la chiglia in su, in modo che si potesse asciugare al sole. Finita l’opera, notò il castello di sabbia di Francesco. “Uh! U castiell’ i Bbommese!” e con un calcio ben assestato, lo demolì all’istante. Quindi, col pescato in un cestino, si allontanò per rientrare a casa.

Dopo che sparì dalla vista, Francesco raccolse una grossa pietra appuntita e reggendola con entrambe le mani, inviperito, cominciò ad assestare alla carena impeciata colpi implacabili. Invano cercavo di fermarlo, anzi, la sua rabbia aumentava.

Altri ricordi di Franco Feola (continua)

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