Finis vitae

Due commenti sulla legge del “fine vita”

segnalato dalla Redazione

A corollario dell’articolo sul fine vita pubblicato ieri sul sito, proponiamo due commenti, rispettivamente di Michele Serra e di Alfredo Bazoli, comparsi su la Repubblica di ieri.

L’amaca
Intolleranza: basta la parola
di Michele Serra

Il dibattito attorno alla legge sulla “buona morte” della Regione Toscana ripropone pari pari, immutabile e irrisolta, l’annosa questione della tolleranza. La differenza tra un’etica imposta per legge, obbligatoria per tutti, e la libera scelta, diversa per tutti, la può capire anche un bambino. Se credo che la vita umana, dalla nascita alla morte, non sia qualcosa di disponibile ai viventi, perché appartiene a Dio, sono libero di imporre a me stesso il rifiuto dell’eutanasia (e dell’aborto, del divorzio, di quant’altro). Ma solamente a me stesso. Perché se impongo questa mia convinzione agli altri, per legge, sono un intollerante, o per dirla con semplicità, sono un prepotente. Un prevaricatore. Pretendo che gli altri, tutti gli altri, vivano e muoiano come me.

Ho profondo rispetto per chi crede che sopportare il dolore sia una testimonianza di fede. Ma questo rispetto svanisce, tutto intero, se mi accorgo che questa legittima credenza viene imposta per legge: diventando oggettivamente illegittima e intollerante. Rifiutare la buona morte può essere una scelta più che rispettabile.
Ma solo se è una scelta personale, e solo se non si pretende che vi sia costretto anche a chi non crede in Dio, o crede in un Dio non così sadico da esigere che si soffra per lui.

Nel momento in cui il rifiuto dell’eutanasia smette di essere una scelta personale, e viene imposta all’intero corpo sociale, e si perseguita e si incrimina chi invece sceglie di andarsene secondo la sua idea di dignità, e di libertà, il torto è clamoroso. Scandaloso. Così evidente che ci si meraviglia che in così tanti (per esempio: il governo al completo, e il Parlamento in sua grande parte) non si rendano conto dell’intolleranza di cui si macchiano, da anni, rifiutando di varare una legge decente sulla buona morte.

***

L’inerzia sul fine vita
di Alfredo Bazoli vice presidente del gruppo del Pd e primo firmatario del ddl sul Fine vita in discussione al Senato

“Ha ragione Luigi Manconi nel denunciare l’inerzia del parlamento, la sua inadeguatezza perfino culturale ad affrontare temi delicati e difficili come il fine vita. Temi che si pongono alla frontiera della politica, e che per questo motivo interrogano tutti i legislatori dei paesi avanzati. Ma credo che, nel denunciare questa inerzia colpevole, sarebbe doveroso sottolineare che di essa non tutta la politica è responsabile. Nella scorsa legislatura il Partito Democratico, insieme ai suoi alleati che allora erano maggioranza parlamentare, riuscì a portare all’approvazione della Camera un testo di legge che disciplinava il suicidio medicalmente assistito, tentando di colmare il vuoto normativo figlio delle note sentenze della Corte costituzionale che lo hanno già reso lecito nel nostro ordinamento.

Quel testo di legge, del quale io ero relatore, era figlio di una lunghissima istruttoria e del tentativo di trovare i punti di mediazione più avanzati possibili, e non diventò legge solo per la fine anticipata della legislatura.

Il medesimo testo è stato da me riproposto in Senato all’inizio di questa legislatura, e su di esso tutte le opposizioni hanno fatto un investimento politico chiedendo concordemente una corsia preferenziale per il suo esame. Se oggi ancora siamo in una fase di stallo, nonostante il nostro sforzo per sollecitare una discussione aperta e costruttiva, ciò è dovuto all’ostruzionismo di fatto del centrodestra, che forte dei suoi numeri continua a trovare scuse per rinviarne l’approdo in aula. Il nostro impegno dunque continua, e confidiamo nel sostegno di tutti coloro che hanno a cuore soluzioni equilibrate e condivise a un tema che interessa tutti senza distinzioni di bandiere”.

[Entrambi gli articoli da la Repubblica del 13 febbraio 2025, p. 22 del giornale cartaceo]

 

1 Comment

1 Comments

  1. La Redazione segnala un ulteriore commento / articolo di Concita De Gregorio sul fine vita

    16 Febbraio 2025 at 19:23

    Gli ignavi del no al fine vita
    di Concita De Gregorio – Da la Repubblica del 15 febbraio 2025

    La Regione Toscana fa una legge in questa direzione e apriti cielo. Grida, scandalo, ricorsi, centrodestra contrario, cattolici di centrosinistra in crisi di coscienza

    Nel dubbio, restare immobili. Mai si dovesse scontentare qualcuno. Evitare le rogne come la peste, appunto: son cose brutte. Se qualcuno fa un gesto contromano, se muove le acque ferme: zittirlo, eliminarlo dal campo visivo. Fare un po’ di retorica, questo sempre. Per esempio le malattie gravissime, invalidanti e potenzialmente mortali, che si fa? L’elogio del guerriero, naturalmente. L’applauso convinto a chi invece di stare a letto con le flebo a lamentarsi del dolore lo sconfigge, il dolore, si alza in piedi, fa un bel sorriso, esce. Bravissima, bravissimo. Perché lo sanno tutti, no?, che quella contro la malattia è una battaglia e se non guarisci è perché non hai combattuto abbastanza, non sei stato coraggioso, ti sei arreso. Lo sanno tutti che quelli valorosi guariscono, quelli scarsi muoiono. Non è forse così? Diserti il campo di battaglia, colpevole di codardia, allora è ovvio che muori. Oppure polemica, se non retorica si può sempre fare polemica: contro quello che romanticizza il dolore, contro quello che lo strumentalizza per essere compatito e tornare in auge. Il Papa, le cui raccomandazioni giungono regolari via tv accolte dal pubblico dei fedeli con gratitudine, deve essere dunque in armi, in questi giorni di ricovero ospedaliero: lì a combattere, asciutto e non romantico, come si deve.
    Pazienza se fosse solo la patria canora, questo scenario. Invece no, è la patria tutta. È tutta l’Italia, tutta l’Italia, come nel jingle. Prendete il Parlamento, prendete le Regioni, la Corte Costituzionale, l’opinione pubblica, prendete la legge sul fine vita. È successo, in questi giorni in cui eravamo distratti fino all’una di notte a sentire canzoni (e a parlare di Alzheimer, di depressione di cancro come se fossero testi di canzoni) che la Regione Toscana abbia approvato una legge sul fine vita. Cioè una legge sulla libertà di decidere del proprio corpo e del proprio destino, una legge sul libero arbitrio. In parole semplici: se hai una malattia gravissima, dolorosa e irreversibile, se non c’è nessuna speranza che tu possa guarire allora hai il diritto di scegliere. Se continuare a vivere in quelle condizioni, o se no. Scegliere significa che ciascuno decide, non che tutti devono. Chi è contrario non lo farà. Chi invece vuole può farlo. Poi: la vita si incarica di disordinare i programmi, come sempre. Mi raccontava Lisetta Carmi che suo fratello Eugenio, il grande pittore, aveva deciso di andare in Svizzera “a prendere il veleno”, diceva Lisetta, perché non voleva più vivere. “Ma è morto il giorno prima, pensa: non ha dovuto farlo”. La vita va dove vuole e la morte arriva quando vuole, sorrideva, non possiamo determinare il destino ma sempre, sempre, dovremmo essere noi a decidere come affrontarlo.
    La Regione Toscana, dunque, fa una legge in questa direzione e apriti cielo. Grida, scandalo, ricorsi, centrodestra contrario, cattolici di centrosinistra in crisi di coscienza: tutti pronti ad impedire ad altri di fare ciò che loro non farebbero senza che nessuno obblighi loro a fare ciò che non desiderano. Pronti a dettare la loro legge senza dettarla davvero, però. Perché c’è un problema. Una sentenza della Corte Costituzionale di sei anni fa, è del 2019, dice che “in assenza di intervento del Parlamento” è possibile accedere alla procedura di fine vita se esistono i requisiti di irreversibilità, autodeterminazione e dipendenza da trattamenti di sostegno vitale: dice che deve essere il Servizio sanitario nazionale a verificarli. Invita infine il Parlamento a colmare quel vuoto: fare una legge. Sei anni, governi e maggioranze diverse, ma la legge non c’è. In caso di dubbio, appunto: restare immobili. Succede allora che siccome la competenza in materia sanitaria è delle Regioni sono le Regioni, alcune, a muoversi. Lo ha fatto per prima la Toscana, sono in marcia il Veneto, la Puglia e alcune altre. Ma no, non va bene nemmeno questo. Ricorso, presto. Che paradosso, commenta Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni, che un governo che “si batte per una maggiore autonomia regionale ora si batta contro quella che esiste”. Ma va così, perché la Chiesa, appunto. Perché il Papa, perché il Vaticano – che nel corpo del Paese sta in un luogo fra la milza e il fegato – non sono dell’avviso. Non vorranno mica, le Regioni, decidere su una materia così importante. Che si credono.
    Allora discutetela però, discutiamola questa legge che non c’è. Perché tutti, a destra a sinistra al centro, tutti gli antichi democristiani e i loro più giovani eredi ancora saldamente al potere, in politica e in tv, tutti i protagonisti della grande festa canora nazionale e quelli che l’hanno vista da casa – tutta l’Italia, insomma – se cerca dentro casa sua sa di cosa stiamo parlando. Fuori dalla retorica, fuori dalla polemica: la malattia e la morte ci riguardano, non solo nelle canzoni, e come affrontarle è libera decisione di ciascuno. Sono passati sedici anni dalle guardie e i sigilli all’ospedale che ospitava Eluana Englaro. Sedici anni. Anche ad essere fatalisti, lenti, concilianti, pazienti. Anche ad essere democristiani, sono tanti. Sono davvero troppi.

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