di Silverio Lamonica
Mio padre, Fausto, era il segretario e unico impiegato dell’allora SAEP (Società Anonima Elettrica Ponzese, in seguito SEP) dagli anni ’40 fino agli inizi degli anni ’60, quando andò in pensione. Per cui era in stretto contatto giornaliero col suo datore di lavoro Franco Feola che, tra l’altro, fu il padrino di cresima di mio fratello Giuseppe (poi emigrato in Corsica) per cui lo chiamava “compare”.
Nell’immediato dopoguerra (fine anni ’40) c’erano pochi soldi in circolazione; la difficoltà di pagare le bollette era insormontabile, peggio di adesso. Tanto è vero che fra i debitori cronici della SAEP c’erano: il Comune di Ponza, la Zona Fari e Fanali (allora competente per i fari e pertinenze) e il Genio Civile (illuminazione del molo e banchine).
Un giorno, di buon mattino, Franco Feola si presentò nell’ ufficio della società, che allora si trovava nel Palazzo Irollo (v. foto, arcata centrale primo piano) ed estraendo dalla tasca dei pantaloni un foglio tutto spiegazzato, disse a mio padre: “Compare, devi scrivere a macchina questa lettera e la mandi poi ai tre indirizzi. Ma mi raccomando, la devi scrivere così come sta; senza cambiare né una parola, né una virgola. Mi raccomando!”.
Mio padre lesse la lettera, si rese conto che l’aveva scritta in preda all’esasperazione, per cui trattenne il sorriso. Gli disse che la macchina da scrivere dell’ufficio si era guastata; perciò sarebbe andato da un suo amico per batterla a macchina.
“Compare – gli rispose Franco Feola – ma scrivila sulle palette, così si pungono le mane” (il personaggio in questione prediligeva le finali in “e” nel pronunciare i vari vocaboli).
Logicamente mio papà non si attenne a quest’ultima disposizione e si recò dal suo amico Umberto Fiorentino che assieme alla moglie, Enza Rispoli, gestiva in Corso Pisacane una cartoleria e rivendita di giornali.
Dopo che mio padre gli chiese di fargli scrivere a macchina la lettera, su carta intestata della SAEP, Fiorentino gli rispose: “Caro Fausto, la macchina la uso solo io, dettami la lettera ed io la scrivo”.
“Questa lettera non si può dettare”. Replicò mio padre risoluto. Infatti, lo “stile letterario” di Franco Feola precedeva di alcuni anni quello della celeberrima missiva nel film “Totò, Peppino e la Malafemmina”.
Totò e Peppino nella celebre scena della dettatura della lettera
(da Wikipedia)
Umberto Fiorentino sistemò la minuta spiegazzata accanto alla sua “Olivetti”, infilò nel rullo della macchina da scrivere i quattro fogli di carta intestata, intercalati dalla carta carbone e diede inizio all’opera.
Al Comune di Ponze
Al Genie Civile Latine
Alla Zone Fare Napole
“Fausto, ma debbo proprio scrivere così?” chiese perplesso Fiorentino.
“Umbè, batt’a macchina comme sta scritto lloco. Ha ditto: senza cambià na virgola o parola!”
Ribatté deciso mio padre.
Rassegnato, Umberto continuò a copiare a macchina “l’ingiunzione”, estraendo di tanto in tanto il fazzoletto dalla tasca della giacca, per asciugarsi le lacrime che gli sgorgavano copiose, in preda al riso.
“Sone diverse mese che non mi pacate le bollette della luce elettriche.
Tu Comune, mi pache si o no?
Tu Genie Civile, mi pache si o no?
Tu Zone Fare mi pache si o no?
Insomme lo volete o non lo volete pacare quel fesse di Frank Feole? Che mi mandate da Rote a Pilate e da Pilate a Rote?
E ora vi diche: o pacate o stacche!”
Frank S. Feola
Il diligente segretario della Società Elettrica portò gli elaborati al suo datore di lavoro che li lesse con enorme soddisfazione, siglandoli infine con la sua inimitabile firma: un vero e proprio nodo gordiano.
Alcuni giorni dopo, una domenica mattina, mio padre si recò in piazza per la solita passeggiata e per scambiare quattro chiacchiere col suo amico Umberto Fiorentino, appoggiati al muro del Corso davanti al negozio.
Ad un certo punto passò di là l’allora segretario comunale Francesco Guarino, papà di Luisa (direttora di questo sito). Si fermò e con aria divertita squadrò mio padre dalla testa ai piedi e domandò: “Fausto, ma ti pare logico scrivere quel genere di lettera agli enti pubblici?” Mio padre replicò: “Ma io non ho fatto altro che eseguire alla lettera gli ordini tassativi che ho avuto dal firmatario, che di persona ha minutato la comunicazione. Per fortuna, il mio amico Umberto mi ha aiutato…”
“Allora nunn ‘a vulite furnì, tutt’e duie, eh?” Osservò il segretario comunale andando via, sorridendo sotto i baffi.
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