Politica estera

Lezioni di Storia e Geografia (2). Da Paolo Rumiz

proposto dalla Redazione

 

 

sullo stesso tema un altro articolo pubblicato nei giorni scorsi:
Le invenzioni della geografia di Trump di Stefano Massini (leggi qui)

Le idee

Il vero potere si nasconde nelle mappe
di Paolo Rumiz – Da la Repubblica del 1° febbraio 2025

– Da quando Trump ha fatto cambiare nome al Golfo del Messico la geografia è tornata centrale nella chiave di       interpretazione del mondo. E dei suoi complicati e fragili equilibri internazionali
– Non era mai accaduto che una rivendicazione di tale supremazia fosse dichiarata in modo così esplicito
– La cartografia è in grado di determinare la realtà o di anticiparne le mutazioni
– Il gioco di pretese nazionali e sfere di influenza non riguarda solo la terraferma ma anche il mare

Occhio alle mappe! Non è solo un avviso ai naviganti e ai giocatori di Risiko, ma ai politici e anche ai governanti che le hanno tolte stoltamente dalle scuole, arrendendosi ai navigatori digitali. Occhio alle mappe, perché la geografia torna sempre, anzi si vendica, come insegna Robert Kaplan, attivo consigliere diplomatico dell’ex presidente George Bush jr. C’è di mezzo la geopolitica, della quale – ha avvertito quel malefico volpone di Henry Kissinger – è meglio occuparsi, prima che sia la geopolitica a occuparsi di te. Perché allora saranno dolori.

Da quando Trump, accolto da ovazioni, ha fatto cambiare il nome del Golfo del Messico in Golfo d’America, la geopolitica mondiale è entrata in fibrillazione. Non era mai accaduto che una simile rivendicazione di supremazia fosse dichiarata in modo così esplicito, quasi sfacciato. Una pretesa che ora si rivela liberatoria per il resto delle potenze, le quali ora potrebbero sentirsi autorizzate a pretendere anche la Luna.

Cosa accadrebbe se, in coerenza con i suoi annunci di annessione, Trump andasse oltre e imponesse ai suoi cartografi (e a Google Maps?) di dare al Canada e alla Groenlandia lo stesso colore degli Usa? Accadrebbe per esempio che Erdogan, che sogna la restaurazione dell’impero ottomano, si senta autorizzato a fare lo stesso con la Siria settentrionale, con l’Azerbaigian, persino con parte della Libia o addirittura con il Turkestan cinese, popolato da genti di lingua ugro-altaica come la Turchia. La striscia di Gaza, poi, sarebbe assorbita cromaticamente da Israele. Una premessa, quasi una garanzia, di aumento del disordine mondiale.

I geografi insegnano che le pretese delle nazioni – e i conflitti tra esse – si manifestano prima sulle mappe che sul terreno. Lo si è visto, con buon anticipo sull’invasione di Putin, con la carte dell’Ucraina, alle quali Mosca ha voluto dare lo stesso colore della Russia, mentre Kiev, messa in allerta, rafforzava la sua tinteggiatura “occidentale”. Durante la guerra il gioco si è fatto più duro, e il Cremlino ha spinto ben oltre il Dnepr la linea divisoria tra i due paesi. Una linea di cui si dovrà in qualche modo tener conto nelle prossime trattative per un cessate il fuoco.

Ragionando su scala minore, è un fatto che, a diciott’anni dalla caduta del confine di Schengen tra l’Italia e la Slovenia, non è stata ancora prodotta una mappa comune delle due Gorizie, col risultato che, specie sul lato italiano, la segnaletica che indica la direzione della Slovenia è tuttora carente e chi viaggia verso l’ex Jugoslavia rischia costantemente di perdersi. Tutto questo per la sorda opposizione dei rispettivi nazionalisti e delle loro reciproche rivendicazioni territoriali. Una situazione a dir poco paradossale alle vigilia del festeggiamento transfrontaliero di Gorizia e di Nova Gorica unite come città europea della cultura.

Le aziende che producono carte geografiche conoscono bene questi giochini. Maurizio Benvenuti, rappresentante di mappe, racconta che alla vigilia delle fiere del settore i cartografi subiscono pressioni inaudite – a livello quasi tragicomico – dai diversi committenti nazionali, pesantemente condizionati dai loro governi. Cose come: o mi colorate le Falkland come l’Argentina, o Buenos Aires disdice l’ordine d’acquisto; cancellate la scritta Kurdistan o la Turchia non vi pagherà la commessa. O ancora: dateci un colore ancora più diverso dalla Turchia, o Atene annulla il contratto.

Sono convinto che la rappresentazione cartografica sia in grado di determinare la realtà, o quanto meno registrarne in anticipo le mutazioni.
Oggi le mappe del Touring sono decisamente meno ricche di dettagli rispetto agli anni Sessanta. In silenzio, frazioni e interi paesi sono scomparse dalle carte prima ancora che nella realtà, quasi inghiottite dal nulla, annunciando la progressiva desertificazione dell’Italia minore, l’Italia profonda dei borghi, sempre più dimenticata dalla politica dei talk show.

Mai come oggi che siamo immersi nel bla bla, ci troviamo esposti all’imbroglio di chi sfrutta anche grossolanamente il potere taumaturgico della parola, specie se certificata ufficialmente su una mappa. Nel quadro del nuovo analfabetismo, oggi più che mai ciò che è enunciato diventa quasi istantaneamente reale nella mente di un pubblico credulone, capace di bersi anche la promessa di un’età dell’oro e sempre meno pronto a distinguere il virtuale dal reale, quindi il terreno concreto dalla sua raffigurazione su Google Maps.

Secondo Jianwei Xun, un grande analista di Hong Kong, lo “speech” di insediamento di Trump inaugura formalmente «un nuovo regime di coscienza, che è nello stesso tempo restaurazione… del common sense», perfetto per «la stupida predatorietà dell’Homo Sapiens». Esso è «pura economia libidinale applicata alla geografia» e inaugurazione di «un nuovo regno percettivo», attraverso l’ipnosi di massa. A un mondo che non conosce più la fiaba, il nuovo presidente restituisce a modo suo l’utopia e il mito perduti.

Il gioco delle pretese nazionali e delle sfere di influenza non riguarda solo la terraferma. È in mare, dove non esistono confini fisici, che gli interessi entrano ancor più in collisione. La mappa del Mar Cinese Meridionale mostra chiaramente la pretesa egemonica di Pechino fin sotto le coste del Borneo, delle Filippine, eccetera, fino al Brunei. E c’è il Polo Sud, tagliato a spicchi come il vertice di un’arancia tra America, Australia, Nuova Zelanda, Norvegia, Cile, Argentina, Inghilterra e persino Francia. Dietro, affascinanti storie di balenieri, esploratori artici, e la perdita dei Tedeschi di quella che era stata wagnerianamente chiamata “la Nuova Svevia”.

Non parliamo dell’Artico, dove “grazie” al disgelo si stanno rendendo accessibili copiose risorse energetiche, e attorno al quale si gioca uno scontro di interessi tale da relegare la guerra in Ucraina e a Gaza, con relativa ecatombe di creature umane, decisamente in secondo piano. È una guerra, per ora, senza cannoni, ma forse ancora più feroce. Avere la Groenlandia, oggi legata alla Danimarca, è centrale, ed è per questo che Washington ne annuncia unilateralmente una possibile annessione. Le Isole Svalbard, incorporate alla Norvegia, sono egualmente centrali e sono viste dalla Casa Bianca come il trampolino ideale per contrastare l’egemonia artica di Putin, che su terraferma governa la maggioranza dei fusi orari del Grande Nord.

A questo punto siamo autorizzati a immaginare quello che vogliamo. Che un nuovo governo di Berlino con la presenza della destra nostalgica ormai nell’anticamera del potere, voglia colorare “alla tedesca” la Polonia occidentale e le montagne dei Sudeti a suo tempo invase da Hitler. Che la Francia, con la Le Pen al potere, manifesti “nostalgie”, inizialmente solo cartografiche, per l’impero perduto. Che la Danimarca annetta la Groenlandia e (cosa già avvenuta) aumenti le spese militari sentendosi minacciata dal Golia d’oltre Atlantico.
Al solito, ognuno per conto suo. E il sogno che l’Europa Unita voglia darsi su mappa un unico colore, dando un segnale forte di esistenza in vita, resterà – temo – a lungo nel cassetto.

 

 

La carta geografica (nell’immagine di copertina)

I profili dell’imperatore di Prussia e di Otto Von Bismark al posto della mappa della Prussia (1869) in una versione satirica delle divisioni geopolitiche europee del XIX secolo Illustrazione di Lilian London Lancaster

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