proposto da Sandro Russo per una suggestione di Vincenzo Padiglione –
per la prima parte, leggi qui
Dal libro, di Autori vari, dedicato a Vincenzo Padiglione e al suo modo di costruire universi espositivi, ho estratto alcuni passi, insieme a tre poesie dedicate a Le Cose che sono il vero centro di questo secondo articolo “per suggestione” di Vincenzo (che è vivo e vegeto, e molto attivo, eh! …Questa non è una questa una dedica postuma ma attuale! – ndr).
S. R.
Il pensiero concreto di Vincenzo Padiglione
di Ivan Bargna
Nel suo lavoro di antropologo Vincenzo Padiglione guarda ai modi in cui le persone stanno insieme, allacciano e sciolgono relazioni attraverso la mediazione esercitata dalle cose. E di come le cose stabiliscono dei rapporti fra loro tramite le persone che ne fanno uso, le raccolgono, le separano, le alterano, le producono e le distruggono. Cose e non oggetti, nel senso che non si tratta mai solo di qualcosa che sta nella nostra piena disponibilità, come docili strumenti che estendono la nostra padronanza confermandoci nella posizione di soggetti, almeno fino a quando si inceppano disabilitandoci. È di questa sporgenza ed eccedenza delle cose, della loro agentività riottosa che Vincenzo si è occupato.
Le cose hanno una loro autonomia, ci resistono e al tempo stesso ci costituiscono contribuendo a fare di noi quello che siamo (Gell 2021; Latour 2005). Talora queste cose prendono la forma di immagini, alcune delle quali acquisiscono lo status speciale di ‘opere d’arte’ o costituiscono degli insiemi particolari e distinti cui diamo il nome di ‘collezioni’.
Da: Un collezionista estremista un artista performer?
di Paolo Cavaglione
La cosa è uno dei termini più abusati nel linguaggio parlato, quello povero che non è capace di individuare la parola giusta per descrivere un oggetto, un’azione, un sentimento, un comportamento, una situazione. Un minus strettamente legato al crescente analfabetismo di ritorno, ma anche all’impossibilità (o incapacità) di individuare nel vocabolario le voci giuste per individuare nuove forme di comunicazione, di offerta non solo culturale, di aggregazione. Pensate solo alla parola ‘evento’ abusata per descrivere qualcosa che nel catalogo non c’è.
Ma dato che il catalogo (anche delle incapacità) è questo ecco che la cosa o l’evento, così nominati, perdono di vista la loro identità, l’essenza stessa di quella cosa o di quell’evento.
L’assenza di precisione nel descrivere (qual)cosa interseca drammaticamente la perdita dell’emozione e della memoria che una parola precisa può generare nell’interlocutore.
“Ecco qui una bella cosa per lei!” – dice il rigattiere al cliente in cerca di un’idea per un regalo. Ma se invece dicesse: “Ecco qui una bella bambola per la sua bambina!” metterebbe in moto un ricordo personale corredato di emozioni positive (o negative) legate a un mondo, reale o immaginato, ma pur sempre un mondo.
Ecco, Vincenzo Padiglione è colui che si è incaricato di resistere alla perdita di memoria delle “cose” dando loro, oltre a un nome, storia e significato. (…)
(…)
Primo. Il lavoro (e il merito) di Padiglione si distingue per la capacità di creare connessioni profonde tra gli oggetti e le culture che li hanno prodotti.
Secondo. Per Padiglione un oggetto non va studiato solo come reperto culturale; va anche interpretato come frammento di storie, emozioni e relazioni umane, per dare a quell’oggetto una nuova vita e senso.
Terzo. Esiste una relazione forte tra la precarietà degli oggetti (in attesa di essere scartati) e la precarietà sociale dei nostri tempi (sempre di più, ad esempio, si parla di persone “scartate” dal mondo del lavoro).
(…)
Dalla valigia guatellesca (1) di Padiglione, come dalle mutandine di Eta Beta, escono oggetti tra i più disparati. Su ognuno di essi il professore potrebbe tenere una lunga e approfondita lezione per il piacere del suo pubblico. E quando gli oggetti sono tanti e hanno un filo rosso che li connette, voilà, il demoetnoantropologo fa nascere un museo o una mostra a significare che la portata culturale di una raccolta di giocattoli di legno non è certo inferiore a una collezione di quadri del novecento. Il valore forse no, ma solo quello economico.
Un oggetto, insomma come una finestra su un mondo. Una bambola di pezza può raccontare l’infanzia di una persona, il contesto socio-economico in cui è vissuta, le idee di affetto e cura, e persino i valori estetici di un’epoca. Un vecchio mappamondo riflette la percezione della Terra di un tempo: i confini tracciati, i nomi dei paesi e le loro trasformazioni nel tempo raccontano una storia politica, geografica e culturale. Un piccolo cavallo di legno porta con sé le tracce della manualità artigianale, delle aspettative educative sui bambini e della relazione con la natura in epoche diverse.
Ogni oggetto usato, quindi, porta segni di una relazione umana: graffi, riparazioni, usura. Questi dettagli per Padiglione non sono meri difetti, ma veri e propri linguaggi che raccontano la vita dell’oggetto e delle persone che lo hanno vissuto. Una bambola rattoppata, ad esempio, diventa simbolo dell’importanza che aveva per il bambino o della scarsità di risorse che spingeva a riparare piuttosto che a sostituire.
In questo bel libro che raccoglie sul capo tribù le testimonianze affettuose e partecipate dei suoi colleghi, amici e seguaci emerge anche – almeno così io l’ho percepita – la forte relazione tra Scarto e Memoria.
Gli oggetti scartati non smettono di parlare. Diventano parte del nostro paesaggio materiale e spesso, con un cambio di prospettiva, riacquistano valore. Nella società postmoderna, caratterizzata da un surplus di beni, il gesto di riscoprire un oggetto dimenticato e attribuirgli una nuova vita è un atto di resistenza al consumo superficiale e alla perdita di memoria.
Imperterrito puer, Maestro di meraviglie
di Silvia Mascheroni
Ho pensato di formulare una dedica per Vincenzo: frammenti poetici, appunti e riflessioni dedicati agli oggetti che abitano il suo mondo e alla relazione con loro.
In incipit, due poesie.
Agli oggetti non importa nulla della nostra vita
ma a noi interessa molto la storia di questi esseri feroci
che invadono il nostro mattino.
Questi esseri che si svegliano con noi all’alba
e che continuano a ripetere crudeli: Sei ancora qui con noi, ancora una volta viva.
[Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa, Milano, Rizzoli 2007.
Le cose
Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e gli scacchi,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento di una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno più in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati.
[Jorge Luis Borges, in: Elogio dell’ombra, Torino, Einaudi 1971]
Come scrive Jorge Luis Borges, le cose “Dureranno più in là del nostro oblio: non sapran mai che ce ne siamo andati”: silenziose guide, sentinelle amiche per l’altrove del dopo vita nei riti più antichi, custodi della solitudine. Sanno rievocare un tempo collettivo, un sentire preciso.
E quegli oggetti, anche non posseduti, ci appartengono, perché sono nella memoria di tutti.
Un’ultima dedica poetica.
Ode alle cose
Oh fiume irrevocabile delle cose,
non si dirà
che solo ho amato ciò che salta, s’arrampica, sospira.
Non è vero
molte cose
mi hanno detto tutto.
Non solo m’hanno toccato
o le ha toccate la mia mano,
ma hanno accompagnato in modo tale la mia esistenza
che con me sono esistite
e sono state per me tanto esistenti
che hanno vissuto con me mezza vita
e moriranno con me mezza morte.
[Pablo Neruda, 1954]
Nota
(1) – Tra gli addetti ai lavori è famoso il Museo Ettore Guatelli a Ozzano Taro Collecchio, in provincia di Parma che racconta la vita contadina pre-industriale attraverso oggetti d’uso comune e testimonianze orali. In particolare vi è un’intera sezione dedicata alle valigie.
Vi si può accedere (virtualmente) attrraverso il link: https://www.museoguatelli.it/museo-del-quotidiano/
Un oggetto esposto nel museo Guatelli