di Luigi Maria Dies
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Non che mi importi che si formulino teorie ed ipotesi. Mi piace meno che si faccia vangelo di teorie create ‘a posteriori’ quando chi parla o scrive a Ponza cento anni fa non c’era.
Franco è troppo un amico, soprattutto diciamo contemporaneo ai tempi descritti. Le sue riflessioni sono tutte pensate e soppesate. Niente dice per sminuire la figura di Monsignore. Sono altri quelli che blaterano nel nulla.
L. M. D.
I condottieri
di Luigi Maria Dies
Le guerre sono per tutti i popoli delle cicatrici che mai completamente guariscono e sulle quali, periodicamente, compare la fistola purulenta che di colposi vuota del pus accumulato, nelle situazioni più disparate. L’uomo la cerca e la aborrisce come nefasta ma, quasi sempre, alla fine, l’ha invocata come soluzione salvifica in mille situazioni. Quando si sono esperite tutte le modalità diplomatiche, ma anche fintamente diplomatiche, diplomazia fatta così, giusto per pulirsi la coscienza, poi si va per le spicciole, pensando di risolvere tutto passando alle vie di fatto.
Da Serse a Ciro, da Leonida ad Annibale, da Scipione a Carlo Magno a Napoleone, ma anche a Gengis Khan, non esiste nella storia dei cosiddetti ‘Grandi’, ma anche piccoli condottieri, qualcuno che non sia stato, in qualche modo, tramandato sui testi canonici scolastici, come il Messia atteso da sempre per il riscatto del suo popolo.
Poi c’è da capire cosa veniva inculcato al popolo perché tutti o quasi si prostrassero ai piedi di questo vate. E chi non lo faceva era solo perché il vate da incensare fanaticamente era un altro. Oggi, con gli addetti ai lavori che scavano nelle pieghe più minute di qualsiasi documento che emerge dal buio di tanto oblio di secoli – bravo Barbero! Da seguire – finalmente abbiamo capito che tipo di uomo fosse il grande Garibaldi. Ma ormai la leggenda dell’eroe dei due mondi non verrà mai più scalfita. Qualcuno, quando l’informazione non viaggiava velocemente sulle reti, si è saputo bene vendere le gesta fintamente leggendarie del grande condottiero.
Le propagande di qualsiasi regime, hanno plasmato, appiattendole, le coscienze dei “sudditi fedeli” mentre quelli “infedeli” si appiattivano nella fede per una dottrina opposta ed ugualmente letale. Poi c’è la religione che predica di salvare sia questo che quello ma che, così facendo, alla luce dei fatti, oggi è palese che non riesce a salvare più neanche se stessa.
La libertà che crediamo di avere oggi conquistato, ci fa sentire tutti censori, padroni parziali di un sapere che ci siamo cucito addosso su misura, tramite ciò che siamo andati a scegliere di sapere. E così viviamo attualmente in un regime cosiddetto “democratico” che vede allungarsi tutti i giorni l’elenco delle sue vittime, al punto che si vive ognuno seguendo la sua filosofia e il suo d”IO”, indifferenti a chi, vicino a noi, muore tutti i giorni.
Non serve che io rilegga mille volte qualsiasi cosa scritta da qualsivoglia parroco per capire quello che un Parroco (la maiuscola è voluta) che sia tale, può scrivere sulla possibilità che nell’animo di ogni uomo possa farsi strada, ad un certo punto della sua vita, se non il desiderio ma almeno uno spiraglio di speranza di sanare, o almeno dissimulare con idee balsamiche, il cumulo più o meno grande di scorie accumulate nell’arco della sua vita (di merda). Piccoli o grandi uomini che siano. Anche quelli furono perdonati.
Ma dei piccoli non gliene frega niente a nessuno. Qualsiasi Parroco, che sia tale, si deve, per missione, sentire in dovere di raccogliere ed assecondare, stimolandolo se possibile, questo desiderio.
Cento anni fa, a Ponza, una guerra lontana faceva sentire la sua stretta, soltanto misurata con il numero di vittime finali a cui dedicare una targa, o per i morsi taglienti della fame patita, dove nessuno malediceva il “duce” (con la “d”), ma si demonizzavano soltanto i nemici (chiaramente ognuno i propri) che non si facevano ammazzare abbastanza in fretta. Nell’impotenza di poter modificare il corso degli eventi, “qualcuno” si dedicò, con l’anima e con il corpo, ad alleviare il malessere fisico della popolazione, forse molto più che quello dell’anima.
In quei giorni nessuno si pose la domanda su come Mussolini era considerato da Monsignor Dies. Né tantomeno se tanta carità non nascondesse “trame” più sottili. Se sei un colonizzatore i tuoi bei gesti, platealmente generosi, sono mirati al risultato neanche troppo celato di espoliazione.
Se la tua vita è la scelta di simbiosi con il tuo popolo, è sicuro che per quel popolo ti puoi anche spogliare di ogni tuo avere. Carità cristiana un corno! Quanti cristiani e quanta carità cristiana a loro associata si vede in giro? Qui si tratta di indole, di umanità, di natura umana formata dalla nascita alla condivisione della miseria umana, ma non per piangerla, commiserarla, e cercare l’applauso o la commiserazione anche per sé. La vera “Caritas” è altro.
Lo stile di Don Luigi era un altro. Condividere ciò che si ha fino ad arrivare a vivere anche in povertà. Non indugiare ad immedesimarsi nel reietto ma sollevarlo dalla sua condizione. È stata ferma e costante la volontà di vivere pensando solo al prossimo, di cui almeno rendere più sopportabile, non potendola debellare, la derelitta sorte. Poter alleviare le sofferenze nell’impossibilità di annullarle. Questo era lo stimolo e il filo conduttore che lo infiammava dentro.
La volontà era incrollabile perché sostenuta dalla fede. Questa gli dava tanta forza e fiducia in quel Dio che lo spingeva ad agire, tanto da rivolgersi in modi anche perentori a qualsiasi interlocutore valido, allorquando furono esaurite le proprie irrilevanti risorse, pur di raggranellare sempre e comunque ulteriori contributi di sostentamento.
Nel fiore degli anni, sopportò ogni affronto facendo leva sulla incrollabile volontà di sostenere materialmente chiunque gli chiedesse un aiuto, facendosi a propria volta povero, ma nel modo francescano, di lode alla povertà.
Non gli sarebbe dispiaciuto avere validi aiuti, che tra i ragazzi dell’isola non mancavano e furono da lui precocemente intercettati nelle loro promettenti capacità. Ne aveva stimolati di veramente validi. Lo racconta Silverio Lamonica. E tra tanti, a Ponza l’indimenticato don Gennarino Avellino si dimostrò suo degno erede.
Si può giudicare una vita intera da pochi episodi inquadrati ed illustrati malamente? Non saranno certo questi giudizi a fare danno.
Monsignore aveva ben assimilato il precetto che insegna l’obbedienza alla Curia e all’autorità costituita. Il Vangelo è obbedienza e poi ti perdona anche.
Probabilmente tutti i criminali nazisti nel momento dell’esecuzione della propria condanna a morte hanno avuto vicino un sacerdote che li ha confessati, assolti e benedetti. E non doveva valere per Mussolini lo stesso metro? Erano certamente note a tutti le brutalità degli ultimi repubblichini. Ma come etichettiamo tutti i benpensanti oppositori del regime dell’ultima ora? Quei benefattori che aiutavano, con la borsa nera, a strozzo, i propri concittadini che erano ridotti alla fame? I loro nomi ben conosciuti e tramandati, forse neanche sono stati maledetti, in quanto più di qualcuno, anche attraverso queste azioni, ha potuto sfamarsi. Ma i loro nomi li abbiamo sentiti ripetere per decenni dai nostri anziani in ogni angolo dell’isola, vilipesi e vituperati.
Certamente è un paradosso che se un sacerdote cerca di capire da un condannato, tra le righe di un suo scritto, se in quel “mostro” esiste ed ancora resiste o meno un’anima, va di conseguenza congetturato che ci sia, tra i due, e empatia, e dipendenza, e condivisione.
Va bene anche buttare tutto nel pentolone della repubblica di Salò che finì con l’emulare gli scempi nazisti. È giusto fare riferimento al colpo di coda velenoso che avrebbe dovuto essere monito di dissuasione alla stesura de libro sulla “redenzione”. Eppure, paradossalmente Mussolini non è artefice principe della “rifondazione”, tranne che per assurgere ancora a simbolo di chi faceva fatica a rinunciare alle sbronze del potere, (erano sicuramente in tanti), reduci da campagne di vendemmie lazzaronesche. Questi loschi personaggi rischiavano di perdere tutto ciò che avevano malamente rapinato.
Vedi la storia del tesoro di Dongo che però avvelenò anche le ideologie della “purezza” partigiana
Così come serpenti che quando si sentono potenti, stritolano poco a poco, quando si vedono perduti, mordono con tutto il loro veleno. Io ripeto che questa è la storia dell’umanità.
Scrivere la storia può essere bello perché l’uomo consapevole cerca di sapere. Ma che sia la verità. La visione cristiana su Mussolini per Dies sacerdote è stata quella descritta nel libretto. Neppure venti pagine. Se Monsignore avesse voluto fare un’apologia avrebbe saputo scrivere pagine da completare più volumi.
Ma c’è altro che non si vuole vedere. E lo aggiungo io.
La “voglia” – neanche semplice ‘voglia’ ma desiderio costante, fin dai primi anni di ministero sull’isola – di fare sì che Ponza fosse “illustrata” fuori dai suoi confini. C’era inoltre un documento da non permettere che andasse perduto, e che anche da questo all’isola e per riflesso ai ponzesi ne potesse tornare un riscontro di visibilità documentata.
Sono dati di fatto non contestabili. Si può verificare quanto Monsignore abbia sempre puntato alla promozione di Ponza.
Ora, in modo semplicistico si tirano somme arbitrarie. Da arrampicate farraginose si deduce che Monsignore è un fascista, che ha equivocato piccandosi nel voler redimere o meglio vedere uno sprazzo di redenzione non in un Uomo ma nel “capo” (c) di cui era suddito fedele.
Per fortuna che Franco dà, di fascista, la giusta definizione. Eravamo tutti fascisti, in un angolo perduto della testa che non doveva interferire con la quotidianità ponzese oltremodo faticosa già prima dell’avvento del regime.
Ora per un attimo lasciamo da parte la religione. Forse un tempo era fondamentale farsi calare addosso una qualche filosofia e tutte che ci portavano a Dio.
Ci poteva anche stare quando c’è di base la fondamentale condizione che ciò che dice un sacerdote con la sua autorità viene accettato. In effetti così è stato per secoli.
Poi, dopo secoli che le religioni – che, a leggerle con le intenzioni di chi le ha formulate, fondamentalmente dicono le stesse cose -, si sono scannate tra di loro nel nome di Dio, che è sempre lo stesso, si è arrivati ad oggi che ognuno di noi si è costruito il suo d”IO”. Va benissimo. Sarà questo un passaggio fondamentale per l’uomo. Arrivare all’IO passando per un Dio giusto. Se tu ti elevi, la tua crescita, anche per la religione è un passo avanti. Capirai sicuramente quali stimoli da essa hai ricevuto. Se invece stai nel letame, quella religione, tanto vituperata e rifiutata, ha ancora tutti i suoi motivi di esistere in quanto saranno sempre tanti quelli che il passo verso l’alto non riescono a farlo. Questi vanno almeno tenuti a galla. Almeno tentare.
Cosa scelgo io? Ho fatto una qualche scelta?
No! Forse! Ma, avendo capito il percorso, nulla mi impedisce di muovermi a mio piacere tra le due coscienze attive senza, per forza di cose, dover rinunciare a una delle due all’interno delle quali non si finisce mai di imparare. Continuare a salire senza perdere di vista il trampolino da cui mi sono staccato. E concludo.
Caro il mio IO, vai con Dio.
Mi fermo qui perché io non ce l’ho con nessuno. Pur nella mia ignoranza mi rendo conto che non posso confutare tesi altisonanti precostituite, con il mio poco sapere.
Ma come dicevo prima, dei ‘piccoli’ – e quindi di me -, non importa niente a nessuno. Lascio, e senza nessuna acredine, che si continui a parlare ed a cercare la verità su Monsignore. Per lui come per tutti si farà la conta dei “prostrati osannanti” ormai da un secolo alla sua figura in alternativa ad altri proni (“imparzialmente?”) e riverenti alle disquisizioni di chi elucubra e sentenzia col piglio del post-veggente.