segnalato dalla Redazione
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Stefano Massini (Firenze, 1975) è uno scrittore, drammaturgo e personaggio televisivo italiano.
È noto soprattutto per la sua opera teatrale Lehman Trilogy, presentata per la prima volta nel 2009 e vincitrice di cinque Tony Award nel 2022, nonché per il romanzo Qualcosa sui Lehman, pubblicato nel 2016, e le sue collaborazioni con il quotidiano La Repubblica e l’emittente televisiva LA7.
Nella settimana precedente all’insediamento di Trump ha pubblicato a puntate – su la Repubblica, per giorni consecutivi – una biografia del personaggio, dai suoi inizi poco conosciuti, al suo successo negli affari, all’avventura politica.
La storia
Quel gesto che oltraggia gli eroi del cinema (ma non è un film)
di Stefano Massini – Da la Repubblica del 22 gennaio 2025
Charlie Chaplin, ci giuro, è rimasto incredulo. Il Grande Dittatore adesso non è a Berlino ma a Washington.
Centinaia di film, centinaia di libri ci hanno raccontato gli Stati Uniti come fieri nemici democratici di chi marciava col braccio teso, e adesso come la mettiamo? Insomma, nel 1935 Sinclair Lewis se ne uscì con un romanzo in cui gli americani eleggevano un fascista alla Casa Bianca, ma tutti ne risero e lo bollarono come un’ardita distopia… chissà come commenterebbero oggi lo show di Musk con tanto di stemma presidenziale sul podio. Sembrava fantascienza, invece è cronaca politica.
Sarà che fra tutte le categorie di cui difendiamo i diritti non ci sono i defunti, salvo casi estremi di vandalismi cimiteriali, ma io non resisto all’urgenza di farmi portatore del dramma in corso di milioni di salme che dalla serata di lunedì si stanno legittimamente rigirando nei loro eterni loculi. Prendete il celebre “Salvate il soldato Ryan” di Spielberg, dove si iniziava rievocando la mattanza dello Sbarco in Normandia per proseguire con tre ore di lotta del Bene contro il Male, laddove quest’ultimo era incarnato dalle truppe grigio-vestite del cancelliere Adolf, quello che aveva ribattezzato il braccio teso con il tenero nome di Hitlergruß, testualmente “saluto di Hitler”.
Stento a ipotizzare cosa stiano provando, in un affollatissimo Oltretomba, i 290.000 americani come Ryan spediti a morire sul suolo europeo per sconfiggere il morbo del totalitarismo nazista, da loro vissuto con l’odio ben rappresentato da Quentin Tarantino in “Bastardi senza gloria”, dove Brad Pitt incide una svastica sulla fronte del colonnello Landa affinché tutti lo riconoscano a vita come spregevole Standartenführer. Va’ a spiegarglielo, alla gloriosa squadra dei Bastardi, che il suddetto colonnello oggi potrebbe esaltarsi nel vedere un saluto romano identico al suo fra le bandiere a stelle e strisce di Washington.
C’è poi quella memorabile sequenza di “Indiana Jones e l’ultima crociata”, in cui Harrison Ford e Sean Connery si trovano nel bel mezzo di una parata nazista con libri al rogo e immancabile braccio teso, fino a che i due ottengono tragicomicamente un autografo del Führer sui preziosi appunti archeologici sul Santo Graal, scena emblematica per sigillare la superiorità americana sull’idiotafolklore delle camicie brune. Povero professor Jones, quanta fatica ti saresti risparmiato se avessi saputo che un giorno il consigliere del tuo Presidente avrebbe fatto campagna elettorale per l’Afd erede di quegli invasati che riempivano la piazza («solo l’Afd può salvare la Germania»).
Certo, prendiamo atto che magari il saluto a braccio teso voleva essere solo un omaggio alla neo-Roma che si annuncia con Trump oltre l’Atlantico, ma il caso vuole che Hollywood abbia sovrapposto spesso e volentieri l’iconografia dell’Impero con quella dei regimi, assecondandone la passione per aquile, stendardi, gladiatori e pretoriani d’ogni sorta. Uno fra tutti, vi ricordate il Nerone di Peter Ustinov in “Quo vadis?” del 1951? Sembra di assistere a un comizio hitleriano, mancano soltanto le automobili e gli altoparlanti, per il resto l’atmosfera è sovrapponibile in tutto e per tutto, così come nelle adunate dei fortunati “Hunger Games” dove compaiono citazioni di stemmi e simboli della Luftwaffe.
Sì, la svolta filo-totalitaria di chi i totalitarismi li sconfisse ci appare veramente come un paradosso surreale, un po’ come se i Templari si mostrassero con la scimitarra dei saraceni, facendo saltare tutti gli schemi con cui siamo abituati a rapportarci alla Storia. Era il 1962 quando un maestro della fantascienza come Philip K.Dick diede alle stampe “The Man in the High Castle”, romanzo in cui egli immaginava un mondo in pugno dei nazisti, trionfanti anziché sconfitti nell’ultima guerra. In quelle pagine non c’è Hitler, morto di una malattia venerea, ma i suoi psicopatici successori si lanciano in sfide apocalittiche come rimuovere le acque dal Mar Mediterraneo oppure – pensate che assurdità… – colonizzare il pianeta Marte. Ovviamente nessuno nel 1962 poteva mai credere che le visioni di Dick prendessero in minima parte una forma reale, cosicché il successo del libro fu consacrato proprio dal suo essere interamente avulso da ogni possibilità e potenzialità, un po’ come certi scritti di Vonnegut. D’altra parte era ancora vivo il ricordo di quelle Olimpiadi hitleriane del ’36 che gli atleti americani stavano per boicottare proprio per condannare la propaganda berlinese con il braccio teso, e se vi presero parte fu solo perché Avery Brundage, presidente del Comitato Olimpico, garantì a Roosevelt che i Giochi avrebbero avuto luogo nel pieno rispetto di ogni diritto e senza ipoteche politiche. A dire il vero, andrebbe aggiunto che negli anni a venire Brundage si rivelò come il più indefesso sostenitore americano del Terzo Reich e fu perfino rimosso da talune cariche per le sue posizioni a favore dell’Asse, salvo poi esservi comunque reintegrato nel dopoguerra senza eccessive proteste e senza la minima richiesta di abiura. Come a dire che forse, a ben guardare, ci siamo accorti un po’ tardi che una matrice filofascista c’è sempre stata all’ombra dello zio Sam, e solo adesso è esplosa clamorosamente con un braccio teso alla cerimonia di insediamento del successore di Abramo Lincoln.
Sì, forse sbagliamo noi a sorprenderci. E Charlie Chaplin se ne faccia una ragione.
[Di Stefano Massini – Da la Repubblica del 22 gennaio 2025]
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Nota e foto inviata in Redazione alle ore 12,41 di oggi 25.01.2025 da Sandro Di Macco (cfr. Commento/inoltro)
Foto in prima pagina de la Repubblica, edizione odierna:
Screenshot 2025-01-25. Da la Repubblica (cliccare per ingrandire)
Sandro Di Macco ('Gruppo Dialettica')
25 Gennaio 2025 at 16:26
“La foto più disgustosa dell’esordio di Trump alla Presidenza Americana è quella dove si ritraggono dieci persone in catene che si avviano in un cargo, cioè un aereo che trasporta cose. La destinazione è ignota e dopo tutto neppure importante, quello che conta invece è ostentare la deportazione come soluzione. Quella “sporca decina” è una foto che ci ritroveremo nei libri di storia dopo la fine dell’era Trump per chiederci come è stato possibile che una nazione così avanzata sia caduta in un abbrutimento così profondo.
Povertà educativa, frustrazione, intolleranza e violenza si espandono sempre”.
Massimo Marnetto (inoltro)
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Maria Fausta Adriani
Terribile…
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Sandro Russo
La foto è giustamente sulla prima pagina de la Repubblica di oggi (riportata nell’articolo di base a cura della Redazione)
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Luigi Narducci
La differenza tra questo modo ignobile di trattare degli esseri umani ed il loro impiego lavorativo retribuito con 1 o 3 euro l’ora consiste nel fatto che nel primo caso il trattamento viene rivendicato come legittimo da un presidente, nel secondo viene tollerato. La differenza non è di poco conto e rappresenta un’accelerazione nell’attacco alla dignità delle persone. Il capitale vuole vincere, stravincere e mostrare i trofei. Queste foto convinceranno gli irregolari di tutto il mondo ad accettare trattamenti ancora più degradanti per timore della deportazione.