Mitologia

Il Labirinto

di Giuseppe Mazzella

 

Il nostro tempo sembra aver perduto, come si diceva una volta, “la via di casa”.
Viviamo come sospesi, spesso increduli e sfiduciati, alla perenne ricerca del significato della nostra esistenza. Sembra quasi di esserci rinchiusi in un vicolo cieco dal quale non riusciamo ad uscire. Ad aggravare la situazione si è aggiunto adesso anche l’intelligenza artificiale, il cui uso improprio sta ulteriormente complicandoci la vita: ormai fatichiamo sempre più a discernere il vero dal falso. Un labirinto in cui, non so se volontariamente, teniamo chiuse le paure delle quali ci vergogniamo, le speranze deluse, la nostra umana insufficienza. Quel che è certo è che il labirinto resta nella civiltà occidentale uno dei simboli inesauribili del nostro umano errare.

Nella sfolgorante ricchezza dei miti delle antiche civiltà del Mediterraneo ve n’è uno che più di ogni altro ha segnato la nostra cultura: il labirinto dell’isola di Creta. Quattro millenni dopo la sua costruzione continuiamo a interrogarci inorriditi e perplessi su un mistero che il tempo non solo non ha contribuito a svelare, ma ha arricchito di significati ancora più inquietanti.


Palazzo di Cnosso – isola di Creta

Tutti conoscono la storia di Minosse, re di Creta, la cui moglie Pasifae si invaghì dello splendido toro bianco, che Poseidone aveva fatto emergere misteriosamente dal fondo del mare. Il frutto dell’insana passione fu un essere ibrido dal corpo di bambino e dalla testa di toro: il Minotauro. Minosse, per tener celata la mostruosa creatura, incaricò Dedalo, il più grande scienziato dell’epoca, di edificare una prigione oggi conosciuta come labirinto. Ogni anno alla creatura deforme venivano sacrificati sette giovanetti e altrettante fanciulle che erano reclutati tra i prigionieri di guerra.
Quando il sanguinoso tributo spettò agli Ateniesi, Teseo si offrì di liberare la città da quella orribile schiavitù e vi riuscì grazie ad Arianna e al suo provvidenziale gomitolo di lana con il quale l’eroe riuscì facilmente a guadagnare l’uscita, dopo aver ucciso il Minotauro.


Teseo contro il Minotauro (arte greca – età classica, secolo VI/V a.C)

Da quel lontano passato il mito del labirinto da Creta si diffuse in tutto il Mediterraneo. L’impatto culturale fu grandissimo e non vi è civiltà che non abbia subito il fascino di quelle misteriose spirali che volgono a sinistra, nonostante il mistero che continua a circondare l’edificio cretese. Persino sul nome permane incertezza. Non tutti convengono che il termine labirinto derivi dal greco labrys, l’ascia bipenne dei riti sacrificali, trovata in numerosi esemplari durante gli scavi di Cnosso. Molti concordano invece sulla funzione rituale del toro nell’atto di divorare le vittime, identificandolo con la divinità infernale. Un’interpretazione confermata anche dal riaffiorare in epoche successive della figura di Minosse come giudice delle anime.
Per Kàrol Kerényi, uno dei massimi studiosi dei miti antichi, l’origine del labirinto va invece ricercata in una danza rituale, detta ”delle gru”, che simboleggiava un viaggio iniziatico agli inferi, nel cui “buio mistero è necessario affondare per poi apprendere la via del ritorno e la riemersione alla luce”.

Mircea Eliade, il grande storico rumeno delle religioni, ritiene che il labirinto possa aver rappresentato le viscere della madre in molti riti di iniziazione del Mediterraneo, e afferma: “il morto – solo se è iniziato – è in grado di ritrovare il piano del labirinto nella sua memoria”.

Mircea Eliade (1907-1986)

Anche per Kerényi quelle evoluzioni a spirali, non sono solo la grossolana rappresentazione del grembo materno, ma indicano “la direzione di un cammino che porta alla morte, ma alla stesso tempo fuori della morte”, punto d’intersezione fra la Terra e gli Inferi. Lo stesso concetto è stato poi ripreso molte volte dalla poesia classica. Basti pensare all’episodio virgiliano di Enea e della maga di Cuma, la cui oscura dimora è l’esatta riproduzione del labirinto cretese.

Il disegno del labirinto del palazzo di Cnosso appare riprodotto in quasi tutte le monete di Creta prima di diffondersi in tutto il Mediterraneo e raggiungere località lontanissime come la Norvegia e la Scandinavia meridionale.

Tra i labirinti più antichi vi è quello di Hawara in Egitto, nei pressi dell’attuale Medinet el Fayum. Ce ne parla ampiamente Erodoto che lo visitò alla fine del V secolo avanti Cristo. Fatto costruire dal faraone Amennhotep III (circa 1050 a.C.), era formato da dodici cortili contigui coperti, circondati da un muro; dentro vi era una “doppia serie di sale, le une sotterranee, le altre sopra il suolo, 1500 in ciascun ordine”. Allo storico greco fu concesso di visitare però solo la parte superiore, perché quella sotterranea – scrive – “era riservata alle tombe dei re e dei coccodrilli”. “Un’opera non inferiore alle Piramidi”, la definì quattro secoli dopo il geografo Strabone.

Il fascino di quel simbolo sedurrà anche i Romani. Varrone ci ricorda che Porsenna, il re etrusco, vissuto nel VI secolo avanti Cristo, si era fatto costruire una tomba nei pressi dell’attuale Chiusi “sotto le cui fondamenta vi era un labirinto inestricabile dal quale, chi entrava senza un gomitolo, non riusciva a trovare l’uscita”.
Qualche secolo dopo gli imperatori romani usavano far riprodurre il simbolo del labirinto sulle loro vesti cerimoniali.
Anche i Cristiani ricorsero alla simbologia del labirinto al cui centro ponevano il Minotauro a rappresentare l’inferno e il demonio, mentre le spirali raffiguravano il cammino dell’eroe che inevitabilmente va verso la rovina, se non interviene il Teseo-Cristo. Le stesse catacombe possono considerarsi dei complicati labirinti, nelle quali l’antica spirale finì presto per simboleggiare l’eternità.

Di labirinti di ogni tipo sono ricche le chiese a partire dal XII° secolo, nelle quali svolgevano la funzione di rappresentare gli intrighi e gli inganni con i quali è disseminato il cammino dell’uomo. Nei pavimenti delle cattedrali venivano utilizzati anche come percorsi simbolici da quei fedeli che non erano in grado di affrontare pellegrinaggi in terre lontane. Tra i più famosi vi sono quello di St. Reparatus, ad Orléansville in Algeria, e quello circolare della cattedrale di Chartres. Altri, molto elaborati, sono quelli della cattedrale di Reims, dell’abbazia di Saint Bertin a Saint Omer e della cattedrale di Poitier.


Labirinto circolare della cattedrale di Chartres

Il labirinto si è ormai trasformato in una scrittura segreta, cifra cabalistica che segna il percorso verso la Luce e la Salvezza…
In pieno Rinascimento anche Leonardo da Vinci fu stregato dal misterioso intrigo delle spirali che gli apparvero sempre come un oggetto di attrazione e repulsione.

La moda dei labirinti si diffuse nel ’600 e nel ’700, culminando nella ossessiva riproposizione del Barocco. Essi servirono da modello per gli ornati calligrafici, per emblemi e stemmi, ma soprattutto ebbero una grandissima diffusione nei giardini.
Carlo V di Francia si fece costruire una Maison de Dédale nei giardini di Saint-Paul a Parigi.
Di un Dedalus si ha notizia nel 1513 nel Parco Luisa di Savoia.
In Italia furono costruiti molti giardini labirintici, il più antico dei quali è quello di Villa d’Este a Tivoli; altri e di grande bellezza sono il Parco dei Mostri di Bomarzo nell’alto Lazio e quello di Villa Pisani a Stra, nei pressi di Venezia.


Parco dei Mostri di Bomarzo

Le misteriose volute affascinarono anche molti pittori tra i quali Giambattista Piranesi, che nelle “Prigioni di varia invenzione” rivela la mentalità labirintica di molti artisti del suo tempo alle prese con raffigurazioni di caverne, strettoie, strumenti di tortura e paesaggi infernali.

Mentre nell’Ottocento vi fu un momentaneo appannamento, nel Novecento e ai giorni d’oggi assistiamo alla rinascita di un mito che sembra aver trovato finalmente il suo compimento. Nessuna civiltà, infatti, appare così labirintica come la nostra. E carattere tentacolare delle nuove città e del loro traffico, il dedalo delle strade che si moltiplicano con imprevedibili snodi e diramazioni, grattacieli babilonici che perforano i cieli, bunker antiatomici vasti come regioni, dove Tesei irrequieti continuano ad aggirarsi senza sosta: tutto porta il segno della mitica prigione cretese. E tutto concorre a confermare il sospetto, come ha affermato lo scrittore Walter Bejamin che “la passione segreta del nostro tempo sia quella di perdersi nella città”.
Pablo Picasso, il più famoso pittore del Novecento, ha dedicato al labirinto e al suo infelice prigioniero ben 150 opere: il Minotauro picassiano personifica non solo le potenze oscure, le ragioni della bestialità, gli istinti ciechi, ma anche un essere bramoso di luce, sintesi quanto mai attuale non solo del mito cretese, ma della storia stessa dell’uomo. In questo modo ci appare più chiara anche la consuetudine di sistemare al centro dei labirinti uno specchio. L’artifizio permetteva così di scoprire che l’oggetto di tutte le nostre ricerche non è altro che il misterioso, affascinante e forse inconoscibile noi stesso.


Dipinto di Pablo Picasso della serie del Minotauro

Anche il mondo dei giochi sembra ammaliato da questo simbolo. Basti pensare all’impressionante moltiplicazione dei flippers e delle slot-machines, organizzati sul principio di una pallina che, attraverso un percorso complesso, deve raggiungere una meta prefissata.
Dove ha raggiunto però il massimo sviluppo è nella matematica moderna che ha sviluppato una sezione labirintologica, dalla quale è nato lo stupefacente sviluppo dei computer e da ultimo l’intelligenza artificiale. In questo settore i moderni Dedali hanno saputo realizzare i più grandi complessi di tutti i tempi, dove la forza originaria del mitico labirinto rinasce e si rigenera nelle strutture di microchip e delle schede magnetiche e si ripropone come la evoluta meditazione dell’uomo sul proprio destino.
Giustamente ha scritto Joseph Campbell, il grande studioso di miti: “Ciò di cui trattano i miti, sono poteri della psiche dentro di noi”.

Un Teseo dei nostri giorni per uscire dal labirinto utilizzerebbe un personal computer, anche se riteniamo con scarso successo. Una delle caratteristiche del labirinto, infatti, è quella, una volta entrati, di non poter valutare quanto sia vicino il centro o lontano l’ingresso. Nonostante il più sofisticato dei computer, anche il nostro tempo continua a negarci certezze e l’uomo moderno seguita ad aggirarsi nella ricerca, a volte ossessiva, di una via d’uscita.

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