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Il freddo, nei tempi passati (ma non troppo) si combatteva anche ingerendo sostanze alcoliche. Specie ad effetto immediato, come il vino. Bevendo si aiutava il corpo a vincere il freddo.
Le taverne, le cantine, erano botteghe ove si vendeva il vino, e dove lo si poteva consumare, magari in compagnia, giocando a carte. Alcuni giochi miravano soltanto a vincere la partita, ma ce n’era uno che puntava decisamente a bere o a far bere. ’U tuocco (1), chiamato pure a padrone e sotto, era un modo per intrattenersi con gli amici a bere, quanto più possibile. A danno dei perdenti, che assistevano, rimanendo a secco.
Il gioco era semplice nella finalità ma contorto nell’esecuzione. Perché prevedeva improvvisazioni: recite di poesie, canti, creazioni di rime, citazioni storiche. E, talvolta ripicche tali da impedire ad un giocatore di assaggiarlo quel liquido euforico o, al contrario, di obbligarlo a berne tanto da togliergli i lumi.Il tutto per rendere la bevuta più eccitante, ricordevole finanche.
Non insisto a far immaginare quegli omoni che per un bicchiere di vino si cimentavano nel ricordo della vispa Teresa o modulare con voce alterata la canzone stella d’argento. E al solista si univa il coro e, nel rapimento di quanti ricordi… fai vivere tu… gli occhi brillavano di pianto.
Quando si combinava il quartetto formato da damigiana, ’a bufera, ’u mago e scarpe strette allora la bevuta diventava impegnativa. Il padrone era generoso col compagno, il sotto era magnanimo con l’amico… insomma si portava a secco un barile di vino. Ben 50 litri.
Nell’ambiente, al quartetto, affibbiarono il nome di ’i quatte a varrile , ossia quelli che si scolano un barile in quattro. Cu bbona salute… aggiungo io.
Lo dico a Mimma che mi ha dato l’aggancio al ricordo e a Giovanni che lo ha affinato.
Nota
(1) – Mena’ ’u tuocco nel dialetto napoletano ha il significato di “tirare a sorte”