di Giuseppe Mazzella
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Ponza nel corso degli anni ha maturato la sua professionalità nell’accoglienza. Scopertasi isola turistica a metà degli anni cinquanta, inizialmente ha un po’ improvvisato, come del resto è accaduto a tante altre località d’Italia. Poi, pian piano, ha saputo costruire un’immagine accattivante, fatta non solo di mare e bellezze naturali, ma di storia, tradizioni, cucina, sport. Quello che ci auguriamo è che, pur aggiornando come è naturale gli standard, sappia conservare la sua identità. Alcune notizie e curiosità su come erano un tempo questi luoghi di accoglienza potrebbero favorire una utile riflessione.
Alessandro Dumas racconta che nel suo primo viaggio in Svizzera, appena arrivato in albergo, alla richiesta di poter fare un bagno, gli venne risposto: “Non c’e acqua, ma se volete del latte, ve ne riempiremo una vasca!”. Il curioso episodio riportato dal grande scrittore francese è uno dei tanti che nel corso dei secoli hanno arricchito la storia degli alberghi e l’arte dell’ospitalità. Dalle cauponae, le locande dell’antica Roma alle malsane stanze del Medioevo, dalle spoglie celle monacali ai più moderni e sofisticati hotel, questi edifici hanno sempre rappresentato luoghi ideali dove l’inquieto nomadismo dell’uomo sembra trovare un naturale compimento.
Queste strutture create per il riposo e l’accoglienza sono state anche muti testimoni di amori o di salutari riposi di teste coronate, di grandi artisti, di viaggiatori e di studiosi che hanno saputo recuperare in una piccola stanza, spesso spoglia e anonima, il guizzo dell’appassita creatività, come se quelle pareti imbevute di storia potessero trasmettere il ricordo delle passate esperienze. E non solo. Negli ultimi tempi i grandi centri alberghieri sono prescelti per Simposi internazionali tra Capi di Stato, convention tanto imponenti da richiamare centinaia di osservatori.
Grand Hotel Porta Rossa
(antico prestigioso hotel di Firenze)
La storia affascinante nasce in Grecia, né poteva essere diversamente, dove i primi alberghi secondo la concezione moderna furono edificati nei pressi dei templi ed avevano il compito di accogliere i pellegrini. Una bella insegna rappresentante un Sileno con la coppa in mano in atto di brindare ai passanti, era, per esempio, posta sull’ingresso di una taverna poco distante da Atene dove Socrate non disdegnava di andare a bere assieme ai facchini del Pireo.
A metà del quarto secolo a.C., Olimpia ebbe ii primo albergo-villaggio sportivo della storia, le cui stanze si aprivano su di un ampio cortile interno.
Furono però i Romani a lanciare in grande stile il servizio dell’ospitalità, costruendo numerose cauponae, lungo tutte le strade consolari. Sulla Via Appia, nei pressi dell’Attuale Cisterna di Latina, sorgeva la famosa Tres Tabernae, i cui proprietari proponevano svariati giochi per allietare la permanenza degli ospiti, non esclusi quelli… dell’amore. Alla Cauponula, che era sulla Via Flaminia, alloggiò per qualche tempo Antonio di ritorno da Narbona. Nessuna di queste locande era però molto pulita e confortevole, anche se era decisamente economica: per un sesterzio, poco piu di venticinque euro di oggi, si aveva diritto a vitto e alloggio.
Con la caduta di Roma il mestiere di albergatore divenne sempre più degradante, fino ad essere considerato simile a quello di ‘uomo di malaffare’.
Apollinare, vissuto nel VI secolo, descrive così l’orrida atmosfera: “Questi luoghi frequentati da bevitori, in cui bisogna turarsi ii naso per evitare il fumo delle cucine; in cui vedi i rossi salsicciotti agganciati e sospesi in due file che esalano uno sgradevole odore; in cui la grassa nube delle caldaie si innalza in mezzo al frastuono dei piatti”.
Nel Medioevo furono i monaci d’Oriente e d’Occidente a continuare l’antica arte dell’ospitalità, nella quale comparivano tuttavia le prime differenze di servizio e di costo: se per un cavaliere si doveva pagare 12 lire al giorno, ad un pedone bastavano 5. In Francia il tariffario era differenziato seguendo altre tipologie: 3 franchi e 30 per un agricoltore prigioniero di guerra (siamo intorno al 1425); 5 franchi e 20 per un menestrello, più o meno negli stessi anni; 7 o 8 franchi il costo previsto per messaggeri e valletti di principi e 17 franchi per un magistrato accompagnato dal suo scrivano. La tariffa comprendeva pranzo, alloggio, un pezzo di pane con qualcosa da bere il mattino e due fasci di legna per riscaldarsi. Condizioni difficili dove la pulizia era assai carente, specie per i bisogni corporali per i quali si utilizzava uno stanzino che dava direttamente sul deposito di indecenze.
tipica locanda di Pompei
Tra le tante varietà di alberghi tra i più originali vi è il caravanserraglio, che sorgeva vicino alla città iraniana di Ribat-i-Sharaf. Costruito nel XII secolo, accoglieva mercanti e pellegrini che utilizzavano la strada Reale che da nord portava in Iran. All’interno del vasto cortile trovavano posto ben quattrocento cammelli. Questo singolare “Hotel del deserto” oltre ad una raffinata cucina… “internazionale”, disponeva di una moschea, di una sala riunione, di un’infermeria e persino di un … cimitero monumentale, dove gli avventori sfortunati trovavano sepoltura in tombe che potevano essere visitate dai familiari di passaggio.
Dall’ alto Medioevo l’ospitalità, prima prerogativa dei diversi ordini di monaci, tornò per gran parte ad essere gestita dai privati. Sorsero piccole locande lungo le strade più importanti, formate da poche stanze, dove erano sistemate lunghe file di giacigli che accoglievano indifferentemente uomini e donne, e in taluni casi anche più persone in uno stesso letto. Una promiscuità e una carenza igienica che diedero a queste luoghi di ristoro la fama di luoghi poco raccomandabili.
Ma non sempre è così. Roma, Bologna, Milano e Venezia gareggiavano per l’alto livello di ospitalità e di pulizia dei loro alberghi, dove la professione di albergatore tornava a diventare un’attività onorabile e stimata.
Tra i nomi più noti del Cinquecento a Roma troviamo Vannozza Catanei, madre di Lucrezia e Cesare Borgia, che fu la celebre ostessa di Tor di Nona e di Campo dei Fiori, famosa non solo per la parentela con il Papa, ma per le raffinatezze che offriva ai clienti, un’accoglienza tanto fine da comprendere la “disponibilità” delle più belle donne della città.
A Padova l’ Albergo del Bò era certamente quello più famoso; a Venezia il primato spettava al Leon Bianc, mentre alcuni alberghi di Bologna erano molto apprezzati per le stanze sempre ornate con fiori freschi.
Più o meno nello stesso periodo a Roma l’Albergo dell’Orso era considerato uno dei più raffinati d’Europa. Tra quelle antiche mura hanno soggiornato numerose personalità, tra le quali Dante, Rabelais, Montaigne, San Francesco di Sales e Goethe.
Sotto Luigi XIV si vide esplodere in Francia la moda degli alberghi “del sole”, come Le Grand Soleil, Le Soleil d’Or, Le Soleil Levant.
Antico Albergo dell’Orso a Roma
In Oriente vigeva l’abitudine di dare alle stanze d’albergo non un numero come in Europa, ma un nome, scelto per lo più dal vasto campionario del Vecchio Testamento. Matilde Serao, la prolifica scrittrice e giornalista napoletana del primo Novecento, racconta nel “Paese di Gesù” di aver dormito in un albergo di Giaffa in una stanza intitolata a Giosuè, il patriarca che aveva fermato il sole, preferendola ad un’altra dedicata ad Assalonne, alla quale era stata precedentemente assegnata.
In Francia al tempo del Cardinale Richelieu le locande risultavano molto accoglienti, e un ignoto viaggiatore ci ha lasciato questa interessante testimonianza: “Con quale gioia la sera alla fine della tappa, un uomo spossato e bagnato, benché straniero e sconosciuto, è trattato come fosse a casa sua!”.
Ma vi erano anche alberghi che lasciavano a desiderare come il Saint Julien a Nantes, del quale ci resta una singolare nota di uno sfortunato avventore che così ricorda: “I letti formicolavano di cimici, la cameriera ed io ne uccidemmo sessantaquattro!”.
Fino alla prima meta del XIX secolo gli alberghi continuano ad offrire in gran parte stanze per usi promiscui dove il letto è un mucchio di paglia fresca, dove ci si corica vestiti e dormire nello stesso giaciglio è un fatto comune e a volte spaventosamente esilarante, come nel caso raccontato da Herman Melville in Moby Dick, quando al giovane Ishmael toccò di dividere il giaciglio la notte prima dell’imbarco sulla baleniera “Pequod” con un… cannibale (un ramponiere polinesiano ricoperto di tatuaggi chiamato Queequeg, di cui poi Ishmael diventerà grande amico – ndr)
Anche il filosofo Locke ha lasciato una descrizione poco accattivante di alcuni alberghi di Boulogne e Abbeville che, scrive, “non basterebbero a garantire un pastore di Scozia contro i colpi d’aria, anche se continuano a garantire comunque un insieme di odori nauseabondi”.
Un albergo con comfort all’avanguardia è invece celebrato dal poeta polacco Anatol Stern nel suo “Viaggio sentimentale”. Il celebre luogo è a Calais e dispone di “domestiche che portano il capo coperto da una cuffia e vestono all’ultima moda”.
Ma siamo ormai a metà del nostro secolo e l’arte dell’ospitalità si è ormai trasformata da attività artigianale in industria. I viaggi culturali, l’incremento mondiale dei traffici e la nascita del turismo hanno dato alla diffusione degli alberghi uno sviluppo che l’umanità non ha mai conosciuto. Alberghi dotati di optional al limite della fantascienza sono oggi ricavati in dimore principesche, sulle cime di monti altissimi o in pieno deserto, costruiti nel ghiaccio o scavati nella roccia, per la meraviglia di un’umanità che cerca sempre nuove sensazioni alla sua eterna insofferenza.
Lo stesso cinema, l’arte del nostro tempo, si è impadronito delle stanze d’albergo per fame il set di centinaia di pellicole.
E’come se l’uomo dopo la cacciata dall’Eden avesse tentato di ricostruire negli alberghi sempre più funzionali e ‘fuori dal mondo’ l’antico paradiso perduto.
Forse anche per questo moltissimi artisti nel corso dei secoli, e in numero ancora maggiore negli ultimi decenni, hanno deciso di vivere e lavorare in una stanza d’albergo.
Come monaci del Tremila, stanchi di viaggiare, preferiscono aspettare qui l’arrivo dei moderni pellegrini che ieri come oggi continuano ad essere considerati “inviati degli dei”.