Medicina

Sempre più donne chirurgo

segnalato da Sandro Russo

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Da medico (ora in pensione) e zio di una giovane chirurga, ho trovato interessante, da partecipare ai lettori di Ponzaracconta, questo articolo, comparso in Cronaca di Repubblica di ieri 9 gennaio.
È noto che la percentuale di medici  in Italia, considerando i laureati più giovani, comincia ad mostrare una preponderanza delle donne rispetto agli uomini.


A quella cerimonia di Specializzazione in Chirurgia generale (leggi qui) – cinque anni di Corso, dopo la Laurea in Medicina di sei anni – ho partecipato in qualità di parente (zio di Giulia, appunto, figlia di mio fratello) e con molto piacere ho incontrato Maurizio Iodice e la moglie Annamaria Iacono con la loro figlia, Alessandra che anche lei si specializzava in chirurgia generale (leggi qui), compagna di Corso e anche amica di Giulia. In quella seduta in particolare, il presidente della Commissione notava che la percentuale degli specializzati era nettamente a favore delle donne.
Quest’articolo fa entrare in quel mondo

 

“Sacrifici per diventare la primaria più giovane. La scelta di fare figli penalizza la carriera”
di Michele Bocci – Da la Repubblica del 9 gennaio 2024

L’intervista alla chirurga Gaya Spolverato: “Nel mio lavoro puoi davvero cambiare il destino dei pazienti. E’ un campo storicamente maschile ma cresce il numero delle specializzande” 

 

Roma — È donna, quarantenne, primaria. La più giovane di un reparto di Chirurgia in Italia. Basterebbero queste caratteristiche a distogliere l’attenzione dalla cosa che per Gaya Spolverato è più importante: la cura del cancro. Lei la pratica ogni giorno, operando tumori gastrointestinali, anche rari, all’ospedale di Padova, dove è anche professoressa.

Perché nelle specialità chirurgiche i medici uomini sono ancora più numerosi?
“Storicamente sono sempre state discipline maschili. Il punto è che mancano figure di riferimento femminili, che spingano le donne ad investire in una carriera nella Chirurgia. Il numero delle specializzande però sta crescendo. Nel mio reparto c’è solo un collega maschio che fa la formazione post laurea. Tutte le altre sono donne”.

C’è anche un problema di carichi di lavoro?
“Sì, ma questo non ha a che fare con il sesso di chi esercita il nostro mestiere. Da noi è più difficile organizzarsi come invece capita ad altri colleghi che fanno i turni, anche al pronto soccorso. Ci sono grandi incertezze sui tempi, può succedere che i pazienti si complichino. Oggi pomeriggio (ieri, ndr), ad esempio, sono rientrata in sala perché un collega che stava operando mi ha chiesto una mano. Insomma, siamo sempre qua. Se poi oltre a fare gli interventi si desidera continuare a studiare, fare ricerca, sperimentare nuove tecnologie, bisogna utilizzare il resto del tempo, quello fuori dalla sala. I momenti liberi restano pochi”.

Lei fa rinunce?
“Sì, costantemente. Il reparto funziona perché ho una organizzazione maniacale del lavoro. Poi c’è la famiglia, due figli e un marito che per fortuna fa un altro lavoro, l’architetto. Però è una vita di sacrificio. Arrivano continuamente telefonate, spesso vado all’estero, poi ci sono le consulenze”.

E per le donne è più difficile diventare chirurghe? “No. È difficile, piuttosto, rimanere chirurghe. Finché fai la scuola di specialità sei come gli altri. All’ingresso nel mondo del lavoro c’è una spaccatura. A un certo punto, tra i 30 e i 40 anni, desideri mettere su famiglia. Devi stare fuori almeno un anno, perché in sala operatoria incinta non puoi andare, per il primo figlio. Poi magari ne fai un altro. Dopo non vuoi lavorare lontano da casa perché hai i bambini. Finisce che investi meno nella carriera”.

Dice che nella Chirurgia mancano figure femminili di riferimento. Spieghi a chi studia Medicina perché è bello fare il suo lavoro.
“Perché puoi veramente cambiare la vita di una persona. L’intervento chirurgico è un momento della cura del paziente che può determinarne le sorti. Si può dire che la Chirurgia arriva laddove la terapia non riesce ad andare avanti, dove la medicina si ferma. Attenzione, questo non significa che noi medici non dobbiamo collaborare, anzi: è fondamentale agire insieme, unire le competenze di specialisti diversi che si occupano del cancro”.

Ha già raggiunto molto nel suo campo. A cosa aspira?
“Mi piacerebbe creare un gruppo di persone forte, che sia competitivo a livello internazionale. Un obiettivo da raggiungere seguendo la logica del merito. E bisogna cogliere i nuovi sviluppi tecnologici, come quelli offerti dall’Intelligenza artificiale. Permette, ad esempio, di fare una navigazione intraoperatoria in 3D. Quando usiamo il robot chirurgico, l’Ia è in grado di mettere in evidenza, e quindi di farci riconoscere, le strutture da mantenere e il cancro, che invece deve essere rimosso”.

Immagine di copertina. Gaya Spolverato. Ritaglio immagine dall’articolo di Repubblica.

 

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