di Francesco De Luca
Il concetto con i suoi addentellati è già stato affrontato sul Sito. Ritorno a parlarne perché sarà il punto nodale di altri interventi. Nella stessa direzione, con lo stesso spirito.
Al centro non c’è la solitudine bensì l’isola, è lei che muove i sentimenti, li forgia sul suo corpo, li modella con le sue atmosfere e crea uno stato d’animo, che è di languore e di pienezza.
L’isolaitudine: può iniziare a prendere forma insieme ad uno insolito, subdolo movimento d’ aria. Lo stato di fittizia staticità viene franto sommessamente da improvvisi refoli, poi il vento rassoda la direzione e con essa la forza, e prende voce. Cupa dapprima, sorda, poi robusta: acuta negli spigoli dei vicoli, stridula nell’urto delle antenne, strascinata nel morso a rami e alberi.
L’ animo, che prima oziava sdraiato sulla distesa azzurra del mare, si sveglia ai rumori ( la porta stride, la finestra tonfa ) e poi si incupisce. Il rombo del vento divenuto profondo lo colpisce. Insieme allo scossone che ormai imperversa su tutta l’isola (fuori al cortile, sull’acqua agitata ai piedi della Ravia, intorno alla scogliera del porto, nelle banchine).
Tocca il fondo della fragilità delle forze umane, l’animo, e reagisce. D’istinto. Si affratella, si associa, cerca mediazioni: con le cose intorno (la porta dello sgabuzzino viene serrata, il bidone dell’immondizia nel cortile viene fermato, lo stendino ingabbiato). Ad ogni cosa viene trovato il modo di intrappolarla e strapparla al bruto capriccio del vento.
Così l’animo cerca appigli contro l’instabilità. Gli occhi si placano nei noti paesaggi, e i sussulti del profondo si distendono, riprendono il possesso della quiete. L’isolaitudine si insedia e riprende il dominio dell’animo.
Ndr: la foto di copertina è di Rossano Di Loreto