di Paolo Palazzi (Gruppo “Dialettica”)
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Discussione in seno al gruppo “Dialettica” di cui faccio parte, sui recenti fatti di Capodanno di quest’anno a Milano (vedi in seguito), per la verità non riportati da tutti i media. Le considerazioni che ne sono discese sono però di interesse generale. C’è anche un certo collegamento con le tesi esposte qui sul sito, in diversi articoli:
25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, a cura della Redazione del 24,11,24;
L’insidia delle passioni, di Bixio, del 6.01.25
Sandro Russo
Ritaglio immagine da la Repubblica del 7 genn. 2025 p. 16
“Con i primi vagiti del 2023, dopo il drammatico capodanno in piazza Duomo, a Milano, imparammo cosa fosse la Taharrush gamea, espressione in lingua araba che significa letteralmente «molestia collettiva». Ce ne eravamo scordati. Il racconto fatto da una studentessa belga ad un quotidiano del suo Paese, confermato ieri con aggiunta di altri particolari, ha richiamato alla mente quell’espressione. Perché in piazza Duomo, a Milano, davanti ad uno dei simboli della cristianità, la drammatica «molestia collettiva» si è ripetuta (parliamo del Capodanno 2025 – ndr). E ancora una volta un gruppo di ragazze è stato vittima del branco, dei «molestatori collettivi», immigrati e nordafricani. «Siamo stati circondati da tanti uomini (la giovane era con altre quattro ragazze e due ragazzi, ndr), credo fossero 30 o 40. Tutti siamo stati toccati fuori e sotto i vestiti. Non ci hanno spogliati», spiega la studentessa di Liegi. «Ho deciso di parlare con i media perché sui quotidiani italiani di questi eventi non ci sono informazioni. Questa settimana andiamo alla polizia, qui in Belgio, per far denuncia», sottolinea la giovane, dando la piena disponibilità a venir contattata «dalle autorità italiane». Piazza Duomo, a Milano, un’altra violenza di gruppo, un’altra Taharrush gamea.”
[Estratto da “Libero” del 6 gennaio 2025 a cura della redazione]
Ripropongo un testo, da me pubblicato scritto anni fa sui fatti a Colonia di violenza a sfondo sessuale di gruppi di immigrati del tutto simili a quelli recentissimi a Capodanno a Milano. Mi sembra che sia ancora valido.
Dico la mia sui fatti di Colonia, anche se su un fenomeno grande e importante come l’emigrazione non sono tanto le idee che contano, ma solo il tempo e la storia.
Alcuni fatti:
- per molti uomini la donna (escluse mamme e sorelle) è considerata selvaggina da catturare;
- le donne non “proprietà” di altri maschi sono da preferire;
- le donne libere, nei fatti o negli atteggiamenti, paiono essere anche soggettivamente più disponibili a essere catturate.
Nella cultura occidentale questa situazione è arginata da tre fenomeni:
- da un po’ (non molti) anni le donne hanno con forza rifiutato questo ruolo che passivamente in altri tempi tendevano ad accettare come naturale;
- una certa percentuale non trascurabile di uomini tende a rifiutare o a reprimere questo atteggiamento da cacciatore;
- infine la cultura di massa e le leggi hanno in una buona misura accettato questi grossi cambiamenti, creando un ambiente non favorevole a “territori di caccia selvaggia”.
In molte culture, e pericolosamente potrebbe esserci una regressione anche in quella occidentale, ancora il rapporto uomo-donna è basato su relazioni tribali, che, mentre da una parte relegano le donne in un ruolo di sudditanza, dall’altra limitano fortemente situazioni di pericolosità o minaccia pubblica e la sudditanza viene spesso letta e normata come “rispetto” e “protezione” nei confronti delle donne.
Oggi siamo di fronte al trasferimento di milioni di uomini, quasi tutti soli, che nel loro bagaglio culturale, oltre alla sofferenza, si portano dietro un concezione del rapporto uomo-donna del tipo cacciatore-preda.
Di fronte a un nuovo “territorio di caccia”, in cui tranquillamente si incontrano magnifiche prede libere, provocanti, che paiono “disponibili” (ma con il grave “difetto” che vogliono decidere loro con chi, dove, come e quando esserlo), che cosa può accadere ai tanti uomini giovani, arrapati, senza la minima possibilità di avere rapporti sessuali?
Tra i milioni di emigrati ci sarà sempre una certa percentuale di delinquenti, che cercheranno, con la forza e la violenza di approfittare di una situazione favorevole alla caccia come quella della nuova in cui si trovano. Sarà quindi inevitabile un certo aumento di violenza e molestie sulle donne che si aggiungerà a quelle già in essere, ben lontane dall’essere sparite.
Ma a Colonia è successa una cosa diversa. La caccia è diventata di branco, col contributo del numero e dell’alcool, l’auto-repressione sulla violenza, senz’altro esistente a livello individuale e dovuta a fattori molto diversi, è sparita e loro si sono scatenati in una serie di atti, fortunatamente non estremamente gravi in sé (che siano comuni, le donne che usano i mezzi pubblici possono testimoniarlo), ma preoccupanti e spaventosi come fenomeno.
Si può fare qualcosa? Ben poco nel breve periodo se non il controllo del territorio in negativo, cioè impedire che ci siano situazioni e luoghi nei quali il controllo del territorio sia nelle mani materiali e culturali di questi uomini (a Roma sta accadendo in alcuni posti, ad esempio al Pigneto).
Nel lungo periodo: integrazione? Cultura della tolleranza? Educazione? Boh? Tutte cose belle e giuste che però vogliono dire solo un cosa: ci vuole tempo, tanto tempo e i risultati saranno incerti. Ci dobbiamo rendere conto che questo cambiamento con cui convivere è e continuerà ad essere epocale, sempre che avvenimenti ben più grandi e drammatici non investano il nostro mondo.
Le soluzioni del tipo: cacciamo i cattivi e teniamo i buoni, selezioniamo gli arrivi, blocchiamo tutti, facciamo dei campi di concentramento, ammazziamoli tutti, facciamo (come se non lo stessimo già facendo) la guerra, ecc, le lascio ai politici e ai commentatori degli articoli del Giornale e di Libero.
P.S. – Un’ultima notazione: secondo me l’Isis e il terrorismo con questi fenomeni non c’entrano niente.
Luigi Narducci
Ricordo questo tuo scritto! Per me la soluzione è l’inclusione che vuol dire tante cose: casa, lavoro, scuola, inserimento in un contesto di relazioni. Per fare ciò: redistribuzione della ricchezza, investimenti, educazione che produca disponibilità ad accogliere e ad essere accolti. Un altro modo quindi, ma un altro mondo è possibile?
Sandro Di Macco
Un programma di sinistra in sintesi che assomiglia in Italia all’isola che non c’è nonostante noi