segnalato da Sandro Russo, un articolo su Vittorio Lingiardi su Repubblica
Ghosting. Il fantasma dell’amore
di Vittorio Lingiardi – Da la Repubblica del 29 dicembre 2024
Sparire all’improvviso senza dare una spiegazione.
Capita spesso e lascia uno smarrimento emotivo
Di che cosa stiamo parlando
Il termine ghosting significa chiudere una relazione con qualcuno, scomparendo all’improvviso e smettendo di rispondere ai suoi messaggi, mail o telefonate e cancellando ogni contatto social. Viene dall’inglese ghost, fantasma
«Come sta?».
«Come una che non ne vale la pena».
Francesca (mi autorizza a parlarne) è stata ghostata. Anziché pensare «che problemi ha ’sto tipo che prima mi corteggia e poi scompare», pensa «cosa non va in me?». Il ghosting, termine coniato una decina di anni fa, è la scomparsa di una persona da ogni tipo di comunicazione, di solito senza spiegazioni o preavvisi. Un’espressione che ha attecchito perché cattura qualcosa dello spirito del tempo: parlare di sé e spiegarsi è troppo impegnativo. Di solito avviene nelle prime fasi di una frequentazione romantica, ma il ghosting può avvenire anche in rapporti di lunga durata, nelle amicizie, nelle relazioni familiari o lavorative.
Svanire come un fantasma dalla vita dell’altro lascia un sapore di confusione nello smarrimento emotivo. Nel caso di Francesca, il ghosting ha preso forma di silenziose spunte blu su WhatsApp. Poi, nemmeno più quelle. «Eppure da una settimana ci sentivamo tutti i giorni, eravamo usciti a cena qualche volta». Del ghosting è psicologicamente destabilizzante l’ambiguità: non sapremo mai cosa è successo. Se hai un’attitudine ossessiva, Francesca ce l’ha, inizi a ruminarci sopra. Se il tuo narcisismo è fragile non ti rassegni, puoi diventare un implorante stalker del tuo ghoster. Se ti capita di essere ghostato più di una volta, inizi a perdere fiducia negli altri, ma soprattutto in te stesso.
Il ghosting ha varie parentele: per esempio, il fading, che è svanire gradualmente con risposte monosillabiche o emoji per troncare i discorsi; l’orbiting, che è scomparire per poi riapparire nelle comunicazioni online con modalità più sottili, leggermente manipolatorie, per esempio un improvviso like dopo che da settimane era calato il silenzio; il caspering (dal simpatico fantasmino animato), che sarebbe un modo più gentile di ghostare: veloce spiegazione e saluto. Tipo: «Grazie per il tempo passato insieme e in bocca al lupo per tutto!». Ma si può fare ritorno all’improvviso, come se niente fosse, anche dopo mesi di silenzio: è lo zombieing. Forme di microabuso emotivo che il mondo digitale serve su un piatto d’argento.
Istintivamente siamo dalla parte di chi subisce, ma è importante farsi domande sulla psicologia del ghoster, anche per tornare a capire quella del ghosted. Il ghoster è eccitato dalla seduzione e dalla gratificazione a basso costo procurata dalla conquista digitale. Poi, quando la relazione prende forma, quando diventa fisica, e dunque presto scomoda, batte in ritirata. In alcuni casi con un certo disagio.
Non tutti i ghoster sono filibustieri, a volte sono solo gravi incompetenti relazionali. I ghoster peggiori sono ovviamente quelli poco empatici e poco mentalizzanti. Non sentono come stai, non pensano a come stai. Scomparire può essere il comportamento che consegue alla fuga nel silenzio per l’imbarazzo di ferire l’altro, la convinzione sbagliata che essere ignorati sia meglio di essere rifiutati.
Lo psicologo pragmatico della comunicazione Paul Watzlawick avrebbe avuto molto da dire, collocando il ghosting nel regno della disconferma, una modalità comunicativa che, con il suo implicito messaggio – «non esisti» –, può mettere in crisi il senso del sé.
È quello che succede a Joel in Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry, quando, dopo una furiosa litigata, la sua amata e sofferente Clementine decide di cancellarlo, letteralmente, dalla memoria, facendo richiesta alla clinica Lacuna del Dottor Mierzwiak, specializzato in ablazioni mnestiche. Quando Joel la cerca nella libreria dove lavora, Clementine non ricorda assolutamente chi lui sia, e lo tratta come un cliente qualunque. Dunque chi è a scomparire?
Un mio studente mi racconta che essere ghoster può significare anche diventare fantasmi di sé stessi. Il mutismo digitale diventa una gabbia invisibile che protegge dalla messa a nudo del sé fragile quando una relazione inizia a diventare vera. Il ghoster intelligente lo sa, e spesso se ne vergogna. A volte vorrebbe apparire con una spiegazione, ma la giostra dell’imbarazzo ha già iniziato a girare velocemente: non si può più scendere.
In un’epoca di corpi virtuali e nuove etichette relazionali, come le nebulose situationships (relazioni sentimentali senza impegno né definizione) è più facile e veloce fare affidamento al ghosting e alle sue costellazioni. Forse per eludere il peso del rifiuto (dato o ricevuto), la paura di dipendere o concedersi, il contatto con sentimenti difficili da trasformare in parole.
Il ghosting apre la porta a riflessioni sull’evitamento dei conflitti, sugli stili di attaccamento, sul modo in cui la tecnologia finisce per costruire, a nostra insaputa, la forma delle relazioni personali. Il ghoster si gode la libertà di non conoscere croci e delizie della continuità. È un fantasma che fluttua nel proprio mondo: a volte lo sa, teme l’inconsistenza e sarebbe felice, se potesse, rifarsi corpo, umano. Sta a vedere che tra i due è quello che sta peggio.
Nota di redazione
A parte l’immagine di copertina, che illustra l’articolo su la Repubblica on-line, le altre foto sono da scene di un film molto amato, e qui esplicitamente citato: Eternal sunshine of a spotless mind – in italiano (infelicemente): “Se mi lasci ti cancello” (2004) – soggetto e sceneggiatura Charlie Kaufman, regia di Michael Gondry. Citato più volte sul sito; ne abbiamo fatto “una canzone per la domenica”, ma abbiamo scritto diffusamente del film.
Una canzone per la domenica (4). Da un film ‘incancellabile’
Sandro Russo
5 Gennaio 2025 at 13:21
Noi che sul sito parliamo tanto di memoria e di ricordi, dovremmo avere chiara la differenza. Sono andato a rileggermi tutto le critiche che erano girate ai tempi di quel famoso film, “Eternal sunshine…” appunto (nel giro l’avevamo visto proprio tutti).
La differenza più precisa la fa Bergson (Parigi, 1859 – 1941) dimenticato filosofo dei tempi del liceo.
“Bergson distingue la memoria dal ricordo. La memoria è la coscienza che custodisce tutto ciò che accade, è sostanzialmente il passato che ci segue in ogni momento del nostro agire. La memoria è strettamente legata al concetto di durata, perché abbraccia qualcosa di più ampio, ovvero la nostra intera esperienza personale non riducibile a un singolo istante. Il ricordo, d’altro canto, è la materializzazione di un’immagine fissa nella nostra memoria, è, in altre parole, un momento di quella durata (ovvero della memoria)”.
Detto più semplicemente, la memoria è il grande mare del nostro vissuto da cui di volta in volta “peschiamo” un corallo, una stella marina, un groviglio di alghe… il ricordo appunto, spesso con una forte connotazione emotiva, bella o brutta che sia.
Sandro Russo
6 Gennaio 2025 at 06:52
Un’amica (necessariamente anonima) cui ho chiesto se era più spesso una ghoster o una ghosted (in romanesco: accanna’), mi ha risposto:
“Se mi lasci ti cancello”, brutta traduzione per un film capolavoro in tutto…
Io? Ghoster, tutta la vita! In mille modi. Sì, stronzetta saró, ma ‘sti social pure asfissiano…