di Francesco De Luca
Nella primavera del 1985 Silverio Corvisieri mi chiese di presentare a Ponza il frutto di un lungo lavoro di ricerca: il libro All’isola di Ponza. Lo trovai illuminante. Finalmente un libro che faceva il punto sulla storia moderna dei Ponzesi, quella che va dalla colonizzazione del 1793 ai giorni nostri.
Non ebbi esitazioni. Con i libri di Tricoli e di Apollony Ghetti il testo di Corvisieri si affermava essenziale per conoscere la vicenda cui i Ponzesi hanno dato vita trapiantandosi sull’isola e facendo di essa il luogo ove costruire una identità socio-culturale.
Nelle pagine di quel libro mi impattai per la prima volta con la realtà di La Galite.
In quello stesso anno ciò che Corvisieri aveva descritto trovò immagini nella Mostra ‘La Galite dei ponzesi’, cui fa cenno Franco Ferraiuolo (leggi qui).
Le pagine del libro di Corvisieri sono lì a testimoniare un episodio della storia dei ponzesi abbastanza intrigato (gli attriti fra il Regno d’Italia, la Francia e la Tunisia), in un periodo storico che comprende la prima e la seconda guerra mondiale e, insieme, gli anni intercorsi fra loro.
In più, l’episodio è inframmezzato da vicende ardite, da personaggi strampalati, vicissitudini poggiate su sudori e fatiche, avventure e minacce.
Oggi i francesi-galitesi-ponzesi di Lavandou e Sanary sono ancora lì a testimoniare, con brandelli di dialetto e con accenni di devozione religiosa, una discendenza che non vogliono disconoscere.
Dico questo perché a me appare evidente che il capitolo La Galite andrebbe ancora studiato, valorizzato e raccontato.
Non per vantare meriti, che non ci sono, ma per arricchire il patrimonio culturale di un pugno di pezzenti, testardi e faticatori, i ponzesi.