inviato da Cristina Vanarelli: messaggio del 26 dicembre 2024
Buongiorno Sandro, ti avrei mandato gli auguri per l’anno nuovo ma proprio oggi il mio amico Nando Tasciotti – ricordi il suo libro su Cassino? – mi ha inviato questo suo articolo che ho pensato potesse interessare i lettori del sito. Quindi te lo inoltro insieme ai miei auguri – a te e alla Redazione di Ponzaracconta – per un anno di Pace! A presto.
Cristina Vanarelli
Montecassino, il libro di Nando Tasciotti
La strage nazista sul Rio Chiaro. Così trovammo gli ultimi resti della piccola Addolorata, aveva appena 30 giorni
di Nando Tasciotti
Il metal detector cominciò a gracchiare. Scavarono sotto le foglie e la ghiaia, e uscirono bossoli di MG 42. Era la mitragliatrice con cui una pattuglia di una ventina di alpini tedeschi, all’alba del 28 dicembre 1943, aveva massacrato 38 anziani, donne e bambini (ben 16, da un mese a tredici anni), che s’erano rifugiati tra le rocce e i faggi coperti di neve, a quasi 1500 metri d’altezza, sul greto del torrente Rio Chiaro, a Collelungo, nella frazione di Cardito del comune di Vallerotonda. Assieme a loro, furono uccisi anche quattro soldati italiani che dopo l’armistizio dell’8 settembre cercavano di tornare al Sud, attraversando il fronte su quelle montagne della catena delle Mainarde, al confine tra Lazio, Abruzzo e Molise, dove si congiungevano le due linee difensive tedesche, la “Reinhard” e la “Gustav”.
“Ma trovammo altro, più importante, poco lontano da quei bossoli arrugginiti…”, racconta ora Mauro Lottici, esperto di foto e film sulla battaglia di Cassino, in occasione dell’81° anniversario di quei 42 “Martiri di Vallerotonda”.
“Quel giorno di primavera inoltrata del 1993 eravamo una decina a scavare lassù, e c’era anche Pierino Di Mascio, uno dei pochi sopravvissuti all’eccidio”.
Aveva, nel ’43, quasi 13 anni. Alcuni dei rifugiati, alla vista dei tedeschi, erano riusciti subito a fuggire; lui, svenuto (ricordava solo che una pallottola gli aveva sfiorato i capelli), era rimasto sepolto – con altre due sorelline anch’esse svenute – sotto i corpi sanguinanti di parenti e amici. I tedeschi avevano poi coperto quel mucchio di grandi e piccoli corpi di intere famiglie con frasche e neve. Non certo per pietà.
Lì il comune di Vallerotonda aveva deciso di realizzare un sacrario, e quel giorno di ricerche sul greto del Rio Chiaro lo ricorda bene anche Francesco Arcese, presidente dell’Associazione “Historia, storia e militaria”: “Uscirono anche cartucce inesplose, la piastrina di un carabiniere, e piccole, povere cose: bottoni, monete, sandali e scarpette piccoline e aperte (lassù, con quel freddo…poveri bambini!), ossa…”. Erano rimaste lì tutto quel tempo, interrate fra le rocce, non trovate quando, nel giugno del ’44, alcuni dei sopravvissuti e dei parenti sfollati erano saliti lassù, a Collelungo, per recuperare quel che di quei poveri corpi, la neve aveva conservato e seppellirli nel cimitero di Cardito.
“Alcune ossa erano piccole, molto sottili – ricorda Lottici – Sembravano di qualche piccolo animale selvatico. Ma Giovanni Rongione, il sindaco medico-chirurgo di Vallerotonda, che coordinava le ricerche, dopo qualche giorno confermò che erano proprio resti umani”. Infatti, in una sua relazione – citata nell’importante libro dello storico Costantino Jadecola “Vallerotonda 1943, una strage dimenticata”, pubblicato nel 2006 – precisò che erano di almeno tre persone: una di 30-40 anni, un ragazzo o ragazza di circa 12 anni, un bambino o bambina di 3-4 anni. “Infine – certificò il dottor Rongione – è stato osservato anche un osso riconoscibile per conformazione quale ulna [osso lungo dell’avambraccio] le cui ridotte dimensioni lasciano pensare che sia appartenuto ad un neonato”.
Infatti, aveva appena 30 giorni Addolorata Di Mascio, forse la più piccola delle vittime delle stragi nazi-fasciste in Italia, quel 28 dicembre 1943. Era nata lassù, e non avevano ancora potuto battezzarla. La madre, Angelina Di Mascio implorava pietà, ma un tedesco la prese a calci prima di spararle, uccidendo anche quel corpicino che aveva in braccio.
Una scena atroce di un eccidio che ha ancora tanti misteri, militari e politici.
Anzitutto, sui motivi di quella pattuglia della Gebirsgjäger Division, “Cacciatori di montagna”, con la stella alpina sulla divisa, che era in ritirata sotto i colpi – in quel settore – dei nordafricani del Corpo di spedizione francese. Forse per le informazioni che qualcuno aveva fatto pervenire agli Alleati sulle postazioni dei tedeschi, colpite con grande precisione dall’artiglieria? Per l’aiuto umanitario dato ai soldati (compreso un capitano inglese, A. M. Burnford) che quasi ogni giorno tentavano di attraversare le linee tedesche, diretti a Sud? Per non aver ubbidito all’ordine di sfollare da quei ripari fortunosi tra rocce e grotte? Eppure, anche la sera prima, alcuni soldati tedeschi avevano mangiato un pasto caldo assieme a quella povera gente.
“E a duecento metri poco più su, sempre sul greto del Rio Chiaro, altre famiglie non furono toccate”, dice il maggiore Giancarlo Di Mascio, citando i racconti di suo padre che, da poco lontano, quel giorno aveva sentito i colpi di mitragliatrice.
E poi: perché al comune di Vallerotonda è stata concessa (il 21 dicembre 1999) solo la Medaglia d’argento al merito civile, e non quella d’oro, come per altre stragi analoghe dei nazi-fascisti? La prima relativa proposta di legge (allora, per l’oro “al valor militare”) fu presentata il 18 novembre 1967 dai deputati comunisti Pietrobono e Fasoli, e ripetuta nella legislatura successiva, il 12 luglio 1968, con le firme anche degli onorevoli Assante e D’Alessio.
E da oltre 50 anni (v. Nando Tasciotti, “42 martiri dimenticati”, in “Paese Sera”, 26 luglio 1974) non c’è stato sindaco di quel piccolo comune, tutti democristiani o “civici”, che non l’abbia richiesta, ottenendo il retorico “vivo interessamento” di parlamentari, ministri, presidenti del Consiglio e presidenti della Repubblica. Tutto inutile, e finora senza convincenti motivazioni.
Quell’eccidio di Collelungo figura anche nell’“Atlante delle stragi nazifasciste in Italia”, realizzato da una commissione storica congiunta italo-tedesca, che ha descritto 5.607 episodi plurimi o singoli di violenza, con 23.669 morti, 1.521 dei quali avevano meno di 16 anni [v. Corriere della Sera, “Dataroom Milena Gabanelli”, 12 giugno 2024].
Ma nella motivazione ufficiale di quella Medaglia d’argento non c’è menzione esplicita di quella strage. C’è scritto, infatti, sibillinamente: “Comune situato in posizione strategica per l’esercito tedesco impegnato a bloccare l’avanzata alleata, fu teatro di varie operazioni belliche che causarono la morte di numerosissimi civili e la distruzione della quasi totalità delle abitazioni. I sopravvissuti, costretti a rifugiarsi sulle montagne, resistettero impavidi agli orrori e ai disastri della guerra, offrendo un’ammirevole prova d’elevate virtù e di generoso spirito di solidarietà. Vallerotonda (FR), 1943-1944”.
Le scuse ufficiali della Germania sono arrivate ad agosto 2019, quando il consigliere d’ambasciata Alexander Schmitt partecipò ad una cerimonia sul Rio Chiaro. La revisione di quella “restrittiva” decisione ministeriale – da parte di vari governi italiani, di vario colore – non ancora.
Ma quel sacrario sulle sponde del Rio Chiaro (con la scultura-monumento di Umberto Mastroianni, una croce di ferro tra i faggi e le targhette di metallo con i nomi delle vittime attaccate sulle rocce), le cerimonie che vi si svolgono ad ogni anniversario (anche quest’anno, lassù a Collelungo e con un convegno a Vallerotonda), “e presto – annuncia Nino Rossi, presidente dell’Associazione “Cassino città per la Pace” – anche un Museo-Memoriale-Centro studi che l’amministrazione comunale sta cominciando a realizzare nell’ambito di un progetto che coinvolgerà anche il governo tedesco”, manterranno comunque vive la pietà per quei poveretti, la rabbia per i loro assassini mai perseguiti con decisione, l’indignazione (e la vergogna) per certa burocrazia italiana.