Personaggi ed Eventi

La Galite, incontro con Achille Vitiello (prima parte)

di Martina Carannante

 

Sono passati ormai svariati mesi dal mio incontro a Ponza con Achille Vitiello, uno dei 300 abitanti de La Galite, trasferito in terra francese dopo l’interdizione dell’isola agli italiani e a seguito della presa di possesso da parte della Tunisia.
Purtroppo impegni di vario tipo non mi hanno fatto elaborare in maniera celere tutto quello che ci siamo raccontati, ma mai ho abbandonato l’idea di proporre su queste pagine la sua storia e quella degli abitanti de La Galite. Di cui su questo sito si è parlato a lungo ed in maniera storica ed approfondita, per cui non vorrei “fare brutta figura” – sul sito leggi in due puntate: Ponza e le isole specchio.
Ho deciso perciò di proporre questo scritto come una narrazione di vita vissuta in quel luogo da Achille e da tanti altri ponzesi.

Achille Vitiello l’ho conosciuto grazie a suo cugino, il dott. Biagio Vitiello, e al dott. Isidoro Feola che mi ha incoraggiata ad incontrarlo.
È un omone grosso, ma cordialissimo. Subito mi ha ispirato fiducia e simpatia parlando il ponzese, mischiato all’italiano e, ovviamente, al francese; l’occhio chiaro da conquistatore, gli davo a mala pena una settantina d’anni, ma quando mi ha detto la sua vera età (82 anni) ci sono rimasta di stucco.
Ha lavorato come pescatore fino a 79 anni e la moglie lo aiutava a vendere il pesce. Adesso è in pensione, va a pesca di calamari, ma solo per divertimento ed ha venduto la sua grande barca da pesca per una più piccola.
La prima cosa che mi ha detto, presentandomi suo nipote, è stata: “Ponza è casa mia, ci sono molto legato ed ho portato mio nipote a conoscerla”. Queste parole mi hanno sottolineato come un uomo seppur lontano chilometri da quest’isola e con un vissuto particolarissimo vuole far conoscere e alimentare il legame con la terra d’origine; ciò gli fa veramente onore e dovrebbe essere esempio per tutti.

Essendo molto profana sull’argomento Galité, chiedo per prima cosa ad Achille perché lui la chiama in un altro modo e perché lui ed i suoi sono andati lì, avendo solo reminiscenze della famiglia D’Arco.
Achille gentilmente mi spiega che per noi è La Galite, ma in italiano è La Galita, mentre in arabo Jazirat Jalitah, ovviamente lui pronunciava il nome arabo-francesizzato.
L’isola principale, appunto La Galite è a forma di T e dà il nome a tutto l’arcipelago (5 isole, quindi un po’ come il nostro). Come mi ha spiegato Achille, l’isola era molto simile a Ponza, aveva falesie alte, spiagge ed una ricchissima vegetazione di macchia mediterranea; era ricchissima d’acqua ed era in un punto strategico tra la Sardegna e la Tunisia; i ponzesi hanno “scoperto” questa isola disabitata perché in quelle acque andavano a pesca di aragoste e si fermavano per riparo o per fare provviste di acqua e legna.

L’isola in passato era stata sicuramente occupata dai Fenici, perché sono state trovate testimonianze, ma un terremoto ha distrutto tutto. Già nel 1800 i torresi andavano a pesca lì, così come i siciliani ed i ponzesi, ma non scendevano a terra, rimanevano solo lungo la costa a riparo quando c’era il mare mosso, perché avevano paura visto che ogni volta che si avvicinavano sentivano dei versi strani. Erano “i parlanti” (la berta minore) che di notte emetteva un suono come il pianto di un bambino, ma non lo sapevano.

Achille mi spiega che fu il suo nonno a trasferirsi lì per volere del bisnonno e perché non poteva più vivere a Ponza, si era trasferito lì con la sua famiglia e lui stesso, Achille, era nato a La Galite; la levatrice dell’isola era Zi’ Maria, faceva tutto lei, era meglio di un’ostetrica specializzata ed aveva fatto nascere almeno duecento bambini su tutta l’isola.

Per quanto riguarda la vicenda D’Arco, mi spiega che anche quella famiglia era scappata da Ponza e si era rifugiata al la Galite che conoscevano come zona di pesca, ma che era disabitata. Quando Achille mi racconta la storia dei D’Arco mi sottolinea come sia stato sbagliato farli passare per assassini in dipendenza di un fatto di sangue che, sebbene fosse avvenuto, aveva una spiegazione.
Il fatto fu che Antonio D’Arco uccise il fidanzato della sorella. Questa aveva la tubercolosi, non stava bene, ma quando il suo amato l’andava a trovare, per non farsi vedere in quelle pessime condizioni e per paura di essere abbandonata, si sistemava, si truccava e risollevava, per poi star di nuovo male quando andava via. I familiari non riuscivano a capire questa cosa, iniziarono a pensare ad una “fattura”, ad un “sortilegio” fatto dall’uomo alla ragazza e maturarono così l’idea di doversene liberare per salvarla. Antonio nell’intento di salvare sua sorella affrontò il futuro sposo che però cadde giù dalla montagna. Anche la sorella di Antonio D’Arco morì, così come il suo amato, e lui fu costretto a scappare da Ponza a Torre Del Greco e da lì alla “Cala ‘i Francia” in Algeria, il punto più vicino per arrivare a La Galite.

Achille mi racconta, sempre in difesa di Antonio D’Arco, che una volta sull’isola si era costruito una casa nella roccia e l’aveva contornata di palette di fichidindia per nascondersi dai Barbareschi, i pirati che passavano di li per fare rifornimento. Aveva trovato anche un sacchetto con dell’oro, probabilmente lasciato dai pirati. A settembre, alla fine della campagna di pesca nel momento di ritorno a casa, dava qualche pezzo d’oro a qualche ponzese o trapanese i quali, tornando in terraferma potevano reinvestire e portare alla stagione seguente il guadagno.

Achille mi spiega come successivamente il re di Francia, che aveva giurisdizione su quell’isola, sovvenzionava e aiutava chi si trasferiva li per la pesca al corallo e alle aragoste,  e fu così che molti ponzesi, tra cui Nicola Vitiello, Silverio Mazzella, Michele Conte, Giovanni Calise e tanti altri, presero le loro famiglie a Ponza, lasciarono tutto e si trasferirono li.
Una volta a La Galite, le famiglie ponzesi diedero gli stessi nomi ai luoghi così come erano a Ponza; la montagna più alta era il monte Guardia e poi c’era ‘a Ponta d’ ‘a Madonna, ‘a Caletta, ‘u puorte ecc.. Anche qualche torrese e qualche trapanese si era trasferito lì, ma non dove si erano insediati i ponzesi che erano di gran lunga superiori a loro nella pesca.

La vendita delle aragoste era molto redditizia e le acquistava anche Tatonno Primme per portarle sull’isola di Ponza, ma i suoi competitor erano i marsigliesi che le pagavano a prezzo più alto. Un certo Giovanne ‘u ‘Mericane faceva da tramite per la vendita e l’acquisto tra i ponzesi  a La Galite, e Tatonno, il papà di Achille, era il portavoce dei pescatori e ovviamente voleva il miglior prezzo possibile per la sua comunità, ma preferiva vendere a Tatonno Primme più che ai marsigliesi. Allora questo Giovanni che faceva da tramite promise di aiutarli e di regalargli anche un sigaro (a sottolineare come sarebbe stato vantaggioso l’affare), ma il padre di Achille si fece furbo e gli rispose che del sigaro da comprare dopo, poco ci facevano: preferivano i soldi giusti in quel momento dell’acquisto. Tutto ciò fa capire come i ponzesi a La Galite sapevano commerciare e cogliere vantaggio utile per la loro sopravvivenza.

Incuriosita di questo modo di vivere e di fare, interrogo Achille che mi spiega come i ponzesi alla Galite vivevano di pesca e di agricoltura; l’isola a parte l’acqua sorgiva ed il mare pescoso, non aveva niente, non c’erano negozi quindi tutto doveva essere prodotto e lavorato lì. La terra doveva essere sempre sistemata e coltivata per poter mangiare legumi e ortaggi e per produrre il grano utile per il pane e la pasta. A fine settembre (quindi quando il tempo era ancora buono) le donne andavano a Bizerte, in Tunisia, ad acquistare animali, olio e petrolio che potevano servire per la sopravvivenza di tutto l’inverno. Ogni famiglia aveva almeno una capra e qualche gallina; dal mese di settembre fino ad aprile non si vedeva più anima viva in quel luogo.
A La Galite non c’erano malattie, Achille mi sottolinea questa frase più volte, si stava bene e si viveva bene; capitava che le donne tornavano da Bizerte dopo aver fatto compere e portavano sull’isola galli e galline; questi erano apparentemente sani, però facevano morire quelli buoni dell’isola. Quindi sicuramente avevano anticorpi differenti legati ai luoghi. Sull’isola, l’acqua era tutta pulita e di sorgente, quindi si beveva; c’era un microclima particolare. I ponzesi si erano portati anche le viti che aveva preso bene sull’isola, c’era la biancolella, l’uva pane e l’uva rossa; Achille se l’è portata anche in Francia durante il trasferimento e adesso fa una buona vendemmia: ha davvero un vitigno eroico!

Ogni tanto passava la nave della Marina Nazionale con la quale comunicavano via radio; se c’era un malato veniva comunicato e così arrivava l’idrovolante o il rimorchiatore (a seconda del tempo) per portare il malato in ospedale: una volta guarito, dall’ospedale la Marina Francese lo prelevava e riportava a La Galite. C’era quindi una forte protezione da parte della Marina Francese, seppur gli abitanti de La Galite non erano francesi, ma occupavano un territorio francese.
Fino al 1950, in realtà, non c’era nessuna carta che definiva il territorio e i possedimenti di una e di un’altra famiglia man mano che arrivavano nuove famiglie si insediavano dove trovavano posto e iniziavano a disboscare e coltivare. C’era una perfetta democrazia e convivialità tra tutti gli abitanti della Galite.
Le feste comandate a La Galite erano: Natale, San Silverio, la Madonna del Carmine e la Madonna Assunta il 15 agosto. Non erano ricchi, ma facevano delle grandi feste; Achille sottolinea come festeggiassero più la Madonna del Carmine, che il giorno successivo (14 luglio) che era la liberazione francese. La Madonna del Carmine era una ricorrenza molto importante per i marinai, tanto che “’a Cala ‘i Francia” l’unica chiesa cattolica era proprio quella dedicata alla Madonna del Carmine, voluta dai torresi, dai siciliani e dai naviganti che lì facevano scalo.
Sebbene la sopravvivenza sull’isola fosse difficile, alla mia domanda: – Perché non lasciavate tutto ed andavate via? – la risposta – 15 agosto – è stata: – Pecché ‘a cap semp’ là ce purtava!” Chell era ‘a casa!
E capisco di aver fatto una domanda stupida, perché alla fine pure io me n’ero andata da questo scoglio, eppure sono ritornata. Quando le tue radici ti chiamano non ci sta proprio niente da fare.

Achille continua a descrivere la Galite e mi dice che era ricca di granito rosa e lo avevano “scoperto” i ponzesi; quando la Francia conquistò la Tunisia, con il granito rosa scavato da La Galite hanno costruito monumenti e nuovi ornamenti per la città di Bizerte che diventò un porto importantissimo.


La Galite, immagine attuale

[La Galite, incontro con Achille Vitiello (1) – Continua]

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