Racconti

Il Tempo al lavoro: la ‘reggia’ del dottore e il borgo fantasma

di Bixio

 

Da ragazzo, alla ‘Reggia’ di via Cavatella/Fontana, si saliva, si portavano i doni, mai a mani vuote; il dottore era di tutti e per tutto, una visita, una raccomandazione…
A noi ragazzi sembrava inarrivabile, ma pure lo riconoscevamo come un’istituzione di governo dell’isola. C’era la signora Brillantina che faceva gli onori di casa, prima di salire le scale per lo studio/laboratorio. Poi, dopo una (talvolta) lunga attesa, si arrivava alla sua imponente presenza.

Qualche tempo fa mi sono trovato a passarci.
Le porte dell’antica reggia erano spalancate, tutto era in stato di abbandono. Tra gli antichi trofei svolazzavano dei fogli sul pavimento. Che impressione! Ora gli eredi avranno sistemato tutto.
Per noi di Le Forna quel caseggiato era un’istituzione, ma anche in quel caso il tempo aveva svolto il suo lavoro di logoramento.


Tornando verso il porto, è l’occasione per fermarsi e deviare verso l’antica strada sterrata di epoca romana in località Campo degli Inglesi (a.D. 1799).
Dai pressi della stazione dell’aeronautica la stradina si inoltra tra i boschi di macchia mediterranea, verso Nord, Monte Core, circa un chilometro di cammino per arrivare alla Ghost Town.

Mentre pensieroso esploravo quelle rovine, avevo la sensazione di ombre o fantasmi che mi richiamavano al passato… ricordavo Flora la madre di Salvatore e di Silverio disperso in mare e mai più ritrovato. La sagoma di quella donna vestita di nero, seduta vicino all’uscio di casa, risaltava nel cortile imbiancato.
Questo quadro, la figura in nero nel bianco cortile, in tutti i cortili dell’isola, mi ha accompagnato e mi accompagna tuttora lungo la mia esistenza. Il Sud, il sud arcaico è condensato nell’emblema di quella donna sofferente in attesa di un abbraccio affettuoso che venga a confortarla nella sua solitudine.

Ora il vento la fa da padrone tra quei ruderi. Le famiglie di contadini che ci abitavano andarono via una dopo l’altra, dal dopo guerra in poi; unico superstite è Salvatore che lavora un po’ la terra e un po’ nella raccolta rifiuti. Di poche parole ma quelle nell’antico dialetto dei primi coloni che si stabilirono nella zona.

Meglio andare via perché la tristezza morde lo stomaco, il freddo ti invade ma sei cosciente che è giusto vivere queste situazioni perché tu appartieni all’isola, essa ti è madre e matrigna e non puoi farne a meno. Anche quando sei lontano è la lontananza che fa scattare il richiamo e l’affetto verso di essa.

2 Comments

2 Comments

  1. Sandro Russo

    25 Dicembre 2024 at 17:34

    Rileggendo e sistemando le foto del racconto di Bixio ho trovato singolare come abbiamo compiuto un ‘pellegrinaggio’ simile, io attraverso le foto di un ‘prima’ e un ‘dopo’ all’isola de La Galite, mettendo di mezzo il tempo e titolando quasi allo stesso modo (parliamo di più di tredici anni fa):
    https://www.ponzaracconta.it/2011/04/30/nera-schiena-del-tempo/
    [io utilizzando il titolo di un romanzo di Javier Marias (Madrid, 1951 – 2022)]

  2. Bixio

    25 Dicembre 2024 at 22:24

    Siamo vicini a completare un quadro d’insieme con le tante verità nascoste o dimenticate
    È storia, ma anche letterariamente sarebbe una storia originalissima. L’epopea della sconosciuta gente di Ponza, quasi una deportazione… La nostra storia potrebbe cominciare dalla cacciata da La Galite (quando non vennero aiutati dal neonato regno d’Italia perché considerati una frangia di rivoltosi rifugiati su quell’isola sperduta per sfuggire alla giustizia); per continuare con le traversie della Miniera, su cui si innestano i drammi dell’emigrazione.
    Che grande storia cinematografica sarebbe! Unica, originale, magari anche una serie Tv!

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