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‘La stanza accanto’ di Almodòvar. Un’altra recensione

di Gianni Sarro

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“Melius abundare quam deficere”. Accogliamo con piacere in redazione e pubblichiamo un’altra recensione del più recente film di Almodòvar, vincitore quest’anno del Leone d’oro a Venezia dopo le interviste al regista (leggi qui) e a Tilda Swinton (leggi qui) da Venezia, di Lorenza Del Tosto e in aggiunta alle mie impressioni in diretta, all’uscita dal film (leggi qui).
S. R.

La sequenza d’apertura del nuovo, riuscito, film di Almodovar, il primo in lingua inglese, ci porta dentro una libreria, dove Ingrid (Julianne Moore), una delle protagoniste, sta firmando le copie del suo ultimo romanzo; sequenza importante perché determina l’innesco dell’intera vicenda: Ingrid scopre parlando con una conoscente che Martha (Tilda Swinton), sua amica di antica data con la quale però non si sente da tempo, è affetta da un tumore.

Almodovar lancia a noi spettatori un segnale chiaro nella seconda sequenza: siamo nella stanza di un ospedale oncologico di Manhattan, ci accoglie una stanza elegante, con una magnifica vista su Central Park; Ingrid è andata a trovare Martha, che Almodovar ci mostra incorniciata dalla spalliera del letto e da alcune foglie dai colori pallidi, sembrano foglie autunnali destinate a cadere da lì poco, un segno esplicito sull’epilogo della vicenda, basta saperlo cogliere, oltretutto importante anche perché indica quello che poi sarà il tono dell’intera pellicola, esplicita eppure non morbosa.

Tutta la prima parte della vicenda si snoda in una New York tardo autunnale, le cure sperimentali a cui si sottopone Martha non danno l’esito sperato. La donna decide di scegliere lei il momento di morire, con dignità, senza aspettare che la malattia oltraggi il suo corpo e la sua mente; tuttavia è costretta a procurarsi una pillola nel dark web, poiché nello stato di New York la legge vieta l’eutanasia. Martha chiede così a Ingrid di accompagnarla nel suo ultimo atto, questa dopo qualche esitazione (rifiuta l’idea della morte, forse l’unico, vero errore del Padretermo, come disse una volta Vittorio Gassman) accetta e le due amiche partono per un paese nelle vicinanze di Woodstock, nello stato di New York dove la storia avrà il suo epilogo.

La stanza accanto è un film convincente, Almodovar racconta un tema delicato e difficile come quello di affrontare l’eutanasia in uno Stato che ne neghi l’attuazione, con delicatezza, mettendo fuori campo scene di sofferenza estrema, che avrebbero il solo risultato di distogliere lo spettatore dalla domanda centrale: perché una donna o un uomo non possono decidere liberamente del proprio destino? Da non trascurare anche il sottotesto sociale, che ci narra come Martha sia una donna benestante, che può scegliere e affrontare i costi della sua scelta, ma chi non ha i mezzi è destinato a subire inerme l’aggressione e la degenerazione della malattia

Nella messa in scena del film da segnalare alcune scelte di Almodovar. La prima è quella dei colori, chiara la citazione di Hopper, come il pittore anche il regista spagnolo opta per rosso, giallo o arancione per attirare l’attenzione su un dettaglio o rompere la monotonia, creando contrasti visivi ed emotivi: la scena in dissolvenza dove Martha ci saluta ne è un esempio vivido. A fare da controcampo a questo colori accesi, tipici del cinema almodovariano, basti pensare a Volver, la cupezza, a tratti aspra, del bosco che circonda la casa dove si svolge la seconda parte del film.

La stanza accanto è un film della maturità almodovariana, maturità che non va confusa con imborghesimento, dove la leggerezza del tratto e il pudore del tono lasciano intatto la capacità di Almodovar di raccontare storie scomode ed emozionanti.

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