Musica

La musica nelle nostre vite (4). Occidente e Oriente

di Marco Màdana Rufo Mansur

 

Siamo contenti che i nostri interrogativi abbiamo stimolato delle risposte, soprattutto quella del prof. Alfieri (leggi qui) che dall’alto della sua formazione filosofica e conoscenza della musica ci ha fornito preziosi e ulteriori punti di riflessione. Continuano sul tema le conversazioni tra Marco Màdana e Sandrorusso (più che altro nel ruolo di trascrittore e editor) alle radici della musica.

La divisione iniziale nella quale abbiamo suddiviso le funzioni della musica – fisica, emotiva, psicologica, spirituale – è arbitraria come tutte le sistematizzazioni. Infatti le categorie non sono compartimenti stagni ma funzioni interdipendenti che possono coesistere simultaneamente nelle più varie possibilità.

Dunque ogni fenomeno musicale prende vita da diversi impulsi e può adempiere a diverse funzioni, ad esempio per seguire le riflessioni del professor Alfieri, anche una musica molto fisica, ritmica o dissonante può non solo fungere da mezzo di liberazione o sfogo delle tensioni, ma può diventare anche un modo per riallineare le dimensioni più intime e profonde del nostro essere con il macrocosmo che ci circonda e che fa eco nello specchio microcosmico della nostra coscienza.
Tuttavia, provate a immaginare un uomo che arrivato sulla cima di una montagna, circondato dal silenzio e da visioni universali si metta improvvisamente a ballare, a percuotere ritmicamente un sasso o a urlare melodie dissonanti al vento. Certamente sarebbe una visione molto interessante, ma nella maggior parte dei casi questo non avverrà. Nove uomini su dieci in una condizione come quella appena descritta, agiranno in armonia con i suoni equilibrati della natura, riproducendo suoni altrettanto armonici o abbandonandosi a un silenzio così profondamente ‘musicale’. Di questi dieci solo uno sentirà il bisogno di rompere gli schemi equilibrati e armonici e sperimentare nuove soluzioni urlando al vento, scuotendo il corpo freneticamente nello spazio immobile di quel paesaggio di pace.

Quello che è strano in tutto questo è che il comportamento anomalo di questo “uno su dieci” è ormai il comportamento della maggior parte degli esseri umani. Ne consegue che l’uomo moderno tipo, con i suoi particolari bisogni, si comporta in modo anomalo rispetto a quelle leggi naturali che sono l’armonia, la consonanza e il ritmo.

L’anomalia è diventata la regola e in effetti lo stesso modello di vita della masse è da considerarsi di per sé un’anomalia quasi completamente innaturale. Questo non vuol dire che l’uomo moderno non abbia il diritto di curare e riequilibrare la moltitudine di tensioni e criticità che egli contrae vivendo ‘normalmente’ una vita non normale.
È dunque in questa prospettiva “risanatrice”, quasi sempre adottata in modo inconscio, che l’uomo moderno, sommerso dalle dissonanze e dalle frenesie della vita, finisce per desiderare in musica le stesse anomalie che si svolgono al suo interno e nel mondo artificioso nel quale vive. Sappiamo tutti che per curare un veleno a volte se ne usa un altro.

Di qui prendono vita molte delle sperimentazioni della musica contemporanea concepita e realizzata in una condizione critica, direi quasi patologica, in cui l’uomo moderno vive.

Per concludere questa riflessione sulla normalizzazione dell’eccezione, vorrei anche far notare che il punto di vista del professor Alfieri è quello di un uomo colto, abituato a riflettere profondamente sulle tematiche di cui stiamo discutendo; dunque è un punto di vista ulteriormente eccezionale.

La mia esperienza con gruppi grandi di lavoro nei vari laboratori musicali che ho tenuto nel corso di tanti anni, è quella che in un ambiente neutro – come una grande stanza vuota – in un gruppo esteso di persone, solo una piccola parte relazionerà con il resto attraverso la disarmonia, la dissonanza e l’iperattività ritmica, mentre la maggioranza cercherà soluzioni musicali “in armonia” con l’ambiente che lo circonda.

Possiamo concludere quindi che l’uomo contemporaneo, con le sue tensioni e ambizioni rappresenti di fatto una anomalia, un elemento disarmonico nella struttura ordinata del cosmo. I suoni che emette sono dissonanti perché infinite voci lo attraversano sovrapponendosi l’una all’altra, creando cacofonia e rumore. I movimenti frenetici, quasi scomposti che egli compie su ritmiche ossessive sono la danza disarticolata di un burattino senza fili.

Ringraziando Alfieri per il terzo punto di riflessione che ci ha offerto – é nato prima l’uovo o la gallina (ndr) -, possiamo affermare che dal punto di vista delle tradizioni sacre, l’essere umano è dotato di una natura duplice, una mutevole e in divenire, e un’altra constante e immutabile. Per mezzo della prima egli è da considerarsi l’effetto  di tutto quello che ha vissuto,  visto e ascoltato nella sua vita; tramite la seconda invece, egli aspira a riconoscere i principi archetipi della musica nella struttura complessa di un ordine cosmico ben definito, con il quale ogni essere umano è organizzato, dalla nascita alla morte, senza che nulla cambi dentro di sé.

Resta da stabilire se la Musica nasca dalla dimensione fisica o dalle altre funzioni che abbiamo citato.
Dire che tutto riconducibile al fisico è come accettare la teoria che la materia sia il nucleo fondamentale dell’essere umano e che le sue altre  dimensioni  – emotiva, psicologica, spirituale – ne siano una conseguenza che nasce a finisce insieme al corpo. Questo rappresenta a grandi linee il pensiero razionale e positivo. Tuttavia le tradizioni sacre alle quali stiamo ora facendo riferimento, sostengono esattamente il contrario. Se il pensiero naturalista si fonda sul concetto che l’uomo sia un corpo che possiede emozioni, pensieri e aspirazioni spirituali, il punto di vista spirituale sostiene che l’essere umano sia anima che per vivere l’esperienza della materia assume un corpo fisico. Sono due punti di vista completamente opposti; direi inconciliabili; quindi entrambi legittimi, a seconda del proprio credo. Se è vero che vi sono alcuni repertori musicali che nascono da impulsi ritmici ed hanno come finalità  lo stimolo di una reazione fisica come ad esempio la danza, è anche vero che alcuni repertori musicali nascono dalla melodia e prescindono totalmente dalla ritmica. Per portare solo alcuni esempi, basti pensare a tutta la musica medio-orientale o orientale, che nonostante sia spesso ritmata, molte altre volte è priva del battito ciclico che chiamiamo ‘ritmo’. Diverso se per ritmo intendiamo la scansione, di cui ogni componimento musicale è dotato. Dunque alle teorie degli antropologi che vedono all’origine della musica la riproposizione del ritmo cardiaco ascoltato nel grembo materno, le tradizioni spirituali indiane riconducono il primo impulso musicale  alla nota rappresentata dalla sillaba om che sta all’inizio della creazione di ogni cosa, antecedente a ogni stimolo ritmico. Abbiamo quindi uno sorta di quadro finale: la vibrazione musicale rappresentata dall’OM, illumina la materia portandola in esistenza, e il ritmo la mette in movimento.

Possiamo dire in conclusione – ma l’argomento è suscettibile di infiniti ampliamenti – che tutte le strutture ordinate e naturali della musica possono venir meno o essere addirittura ribaltate, da situazioni eccezionali in cui serve una terapia d’urto, un riallineamento delle energie messe in disordine dalle dissonanze e aritmie che lo stile di vita moderno genera nell’uomo: a mali estremi, estremi rimedi.

Gli articoli precedenti sul tema si possono leggere qui:

https://www.ponzaracconta.it/2024/11/15/la-musica-nelle-nostre-vite-1/

 

https://www.ponzaracconta.it/2024/11/16/la-musica-nelle-nostre-vite-2/

 

https://www.ponzaracconta.it/2024/12/10/musica-3/

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