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Personalmente, devo molto alla religione: mi ha insegnato la disubbidienza e il rifiuto dell’autorità arbitraria.
In quinta elementare, la signorina Sinisi, una suora laica, distribuiva sberle da tramortire i cavalli, a chi non le obbedisse: mai ricevuto nulla di simile dai miei genitori, che pure non seguivano il metodo Montessori.
A dodici anni, durante l’ora di religione – che ho regolarmente frequentato per tutte le superiori – ero occupato a chiacchierare con la mia compagna di banco: si avvicinò padre Parisi, gesuita, che con voce suadente mi disse: “Del Gizzo, perché non segui? Forse non ti interessa sapere del viaggio del Santo Padre in India?”.
Rassicurato dal tono, risposi che, effettivamente, ero poco interessato alla faccenda: finii dal direttore.
Solo che, invece di subirne la reprimenda, dichiarai che mi sembrava poco cristiano imbrogliare gli alunni: dodici anni, ma già determinato.
In penultimo anno di liceo, incontrammo don Bruno, un prete operaio che lavorava nei quartieri degli immigrati, in periferia di Bruxelles: uno dei miei veri maestri.
Durante le “discussioni sul senso della vita”, che sostituivano l’insegnamento classico secondo lui, un giorno gli chiesi: “Bruno, ma, con quello che vedi, come fai ad essere credente?”
E lui: “Se ti interessa, la verità è che io credo disperatamente in Dio… ma ciò che conta è che siamo tutti nella stessa palta, e bisogna spalare…”
A cinquant’anni di distanza, è la risposta più convincente che ho ricevuto sulla questione.
“Istituzionalmente” cattolica e presidente, all’epoca – seconda metà degli anni’80 – della Croce Rossa Internazionale, si presenta, nell’azienda dove lavoravo all’epoca, Maria Pia Fanfani, con pelliccia e Rolls Royce d’ordinanza: visibilmente contrariata.
Aveva appena incontrato Hugo Pratt, per chiedergli supporto finanziario e collaborazione per i bisognosi.
Pratt le aveva risposto: “Cara signora, sono completamente disponibile per i bisognosi: dal minuto dopo che lei avrà regalato loro la sua Rolls…”.
Solo uno così, poteva immaginare Corto Maltese…
Per quel che ho capito, nell’ultimo secolo, le tre grandi religioni monoteiste si sono date il cambio nella barbarie: cristiani erano quelli che gestivano Auschwitz e usavano il napalm in Viet-nam, musulmani quelli dell’11 settembre e del 7 ottobre, ebrei quelli che, per il momento, hanno ucciso 44.000 persone a Gaza…
Credo, tuttavia, che dosi “omeopatiche” di spiritualità possano far bene alle nostra vita.
Che ognuno scelga quella che preferisce: io, quando posso, sto col naso per aria, perché penso che da quella parte possano arrivare delle risposte.
Non perché creda che vi abiti una qualche divinità: ma nei miliardi di stelle e pianeti che ci circondano, è probabile che qualcun altro sia stato capace di fare cose meravigliose, come noi sulla terra.
È una delle poche cose sulla quale scommetterei: altrimenti, avrebbe ragione Ellie Arroway, la protagonista di “Contact”, di Zemechis: “Se non ci fosse nessuno, sarebbe un gran spreco di spazio…”
Alla fine, “non lo so”, mi sembra una risposta seria e sufficiente.
L’immagine di copertina (scelta a cura della Redazione) è una scena del film L’ora di religione, del 2002 scritto e diretto da Marco Bellocchio, ed interpretato da Sergio Castellitto.
Sandro Russo
15 Dicembre 2024 at 10:29
Visto che siamo in tema di religione – grazie a Bixio per essere sempre capace di movimentare bei confronti di opinione – partecipo anch’io, da agnostico convinto, con una canzone che fu scelta a suo tempo (quasi due anni fa, febbraio 2023) per il titolo e il video, pieno zeppo di simboli religiosi, ma che a dire di Michael Stipe, leader dei REM, con la religione non c’entrerebbe niente. Infatti, lui afferma, che Losing my religion non tratta della perdita della fede, ma è un modo di dire americano: significa “perdere la ragione” o anche “perdere la pazienza”. Ma a me il dubbio è restato!
Silverio Lamonica
15 Dicembre 2024 at 21:15
Verso la metà degli anni ’70 ero maestro elementare e insegnavo in classe quarta a Scarfì, Le Forna (gli edifici scolastici di Pantano e Cavatella furono costruiti successivamente).
Era il 7 o 8 gennaio, le vacanze natalizie erano appena finite. Giunse in classe don Gennaro, il parroco della frazione, per l’ora di religione. Lo feci accomodare in cattedra e subito diede inizio alla lezione, con il suo consueto tono di voce brusco-paternalistico.
“Bambini, tutti avete un calendario a casa. Avete letto cosa c’è scritto di fianco alla data del primo gennaio?”
I ragazzini spalancarono gli occhi smarriti e attoniti; non sapevano cosa rispondere.
“Ve lo dico io. C’è scritto: Circoncisione di nostro Signore” Subito aggiunse quasi in modo inquisitorio: “Bambini, cos’è la circoncisione?”
Gli scolaretti lo guardavano ancora più increduli e con la bocca spalancata.
Quindi riformulò la domanda con maggiore insistenza: “Cos’è la circoncisione?”
Silenzio assoluto.
Allora, portando l’indice della mano destra sull’omero della spalla sinistra, disse candidamente: “E’ a bbona n’copp u vraccio” (alludendo alla vaccinazione antivaiolosa).
A quel punto uscii immediatamente dall’aula, in preda all’ilarità.
Però, se ci riflettiamo, la circoncisione per gli ebrei dell’antichità non era altro che una vaccinazione ante litteram. Infatti, il taglio del prepuzio serviva a prevenire la fimosi, ossia l’occlusione del meato urinario con la conseguente difficoltà di urinare, più o meno grave, spesso causa di infezioni.
Di certo, meglio di me potrà illustrare l’argomento, il dr Sandro della Redazione.
In fondo, don Gennaro non aveva detto una totale sciocchezza.