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Gianni mi ha chiesto in qualità di redattore, se eravamo interessati a pubblicare degli appunti sparsi su Gian Maria Volonté da lezioni tenute nei Corsi degli ultimi anni, sui suoi film. Si è schermito dicendo che l’articolo che abbiamo già pubblicato – ripreso da l’Unità – era bello e completo, mentre il sue note erano disperse e non organizzate.
Noi – con Tano Pirrone, Patrizia Montani e altri – che le sue lezioni le ricordiamo (quasi) tutte, abbiamo riletto quanto ci ha inviato e deciso che era originale e interessante, più che idoneo per essere partecipato ai lettori di Ponzaracconta.
S. R.
Gian Maria Volonté figura complessa, dove le vicende dell’attore e dell’uomo si sono sovrapposte. La sua carriera si sviluppa felicemente dagli esordi dei primi anni sessanta fino alla fine degli anni settanta, quando è protagonista di Cristo si è fermato a Eboli, Francesco Rosi (1979) ed Ogro, Gillo Pontecorvo (1979).
Poi un periodo di blackout, dal quale riemerge con la Palma per il miglior attore, vinta a Cannes con La morte di Mario Ricci di Claude Goretta (1983), film che tuttavia non ha successo al botteghino. Sono gli anni in cui il suo impegno politico, dopo una fugace esperienza come consigliere regionale nelle fila del PCI, assume posizioni più estremistiche, cercando un dialogo anche con frange contigue al terrorismo, come dimostra il sodalizio con Scalzone. Cerca di portare davanti alla macchina da presa o sul palcoscenico storie ispirate alle vicissitudini di alcuni detenuti politici. Vive molto in Francia.
La sua rinascita come attore, si deve paradossalmente a Il caso Moro, di Giuseppe Ferrara (1986), film dove interpreta per seconda volta il presidente della DC, dopo la maschera grottesca adottata in Todo modo, Elio Petri (1976). Il paradosso nasce dal ritratto pieno di umanità (la cifra del film è proprio quella di sottolineare come la linea della fermezza, il non volere trattare con le BR da parte dello Stato avesse fatto perdere di vista il Moro uomo, che invece emerge in tutta la sua dignità e la sua condizione di persona privata della libertà). Quello che colpisce, aldilà dell’interpretazione, sono le parole di Volonté nelle interviste. Parole piene di partecipazione per la vicenda di Moro, di vicinanza, come dimostra la sua partecipazione alla sceneggiatura – firmata, tra gli altri, dalla sua ex compagna Armenia Balducci – avallata anche dalla moglie di Moro, Nora.
Da Il caso Moro la carriera di Volonté spicca nuovamente il volo con due bei film Cronaca di una morte annunciata, Francesco Rosi (1987) e Il ragazzo di Calabria, Luigi Comencini (1987), a cui seguono altre grandi interpretazioni come L’opera al nero di André Delveux (1988), Tre colonne in cronaca di Carlo Vanzina (1990), e, soprattutto, Porte aperte di Gianni Amelio e Una storia semplice di Emidio Greco (1991).
Scene
Una vita in gioco (1965, regia di Mario Landi) – Ultimo episodio della prima serie di Maigret. 1964. Girato completamente in studio, a parte alcune rare eccezioni, vengono usate le prime attrezzature videomagnetiche. Le scene sono riprese con tre videocamere contemporaneamente, dislocate una frontalmente, le altre due lateralmente. Volonté interpreta Radek, ex studente in medicina, spiantato geniale, capace di sfidare Maigret a un vero e proprio duello d’astuzia e intelligenza.
- Il sospettato Radek. Sottile, felpato, intelligente nell’ufficio di Maigret.
- Radek al caffè americano. Gestualità ampia. Sottile ironia. Strafottenza, intelligenza viva e spiccata furbizia. Istrionico nell’uso del tono di voce.
- Radek. Mellifluo, felpato, demoniaco mentre gira intorno alla preda (il giovane da coinvolgere nell’omicidio)
L’armata Brancaleone (1966, diretto da Mario Monicelli) – Il mancato incontro con la commedia. E il cinema d’autore, Antonioni, Fellini, Visconti.
- Leonzio è un nobile bizantino scacciato dalla sua famiglia. Acconciato in maniera bizzarra, come d’altronde Brancaleone, di cui è contraltare. Sin dalla sua entrata in scena è ripreso in piani d’insieme, in cui la sua figura è presa in totale o tagliata all’altezza delle gambe. Parla con inflessione aristocratica e erre arrotata.
Indagine su un cittadino al disopra di ogni sospetto… (Per la regia di Elio Petri, 1970; Premio Oscar al miglior film straniero 1971 – Consacrazione. Raggiungimento di una padronanza totale della tecnica, curata sin nei minimi dettagli.,
- Commissario figura paterna e autoritaria quando esercita il potere. Notiamo la pettinatura perfettamente a posto, scolpita, immutabile (come le parole che pronuncia durante il discorso). Postura eretta, rigida, sguardo tagliente, palpebre socchiuse. Sottolineare l’inflessione che Volonté dà al commissario. Inventa una sorta di “fonetica del potere”.
- Con Augusta (Florinda Bolkan). Debole e goffo con la donna, con la quale sviluppa un rapporto di figlio e non di amante. Man mano che la situazione lo mette alle strette e il commissario perde il controllo della situazione i capelli cominciano a scompigliarsi. Accade anche durante l’interrogatorio di Pace e durante la confessione ai superiori e colleghi. Le reazioni si fanno infantili, il granitico poliziotto diventa fragile e irascibile.
- Sbatti il mostro in prima pagina (1972 diretto da Marco Bellocchio) – Personaggio artefatto, costruito. La maschera è statica e uniforme, mimica e postura estremamente controllate, che danno ai movimenti una lentezza arrogante e autoritaria (sui più deboli. Nella scena della lezione di giornalismo spicca nella parlata la erre moscia ed arrotata, che completa la maschera negativa, senza farla cadere nel grottesco.
- Cristo si è fermato ad Eboli (Francesco Rosi, 1979) – Incipit. Scomponendo il montaggio della prima sequenza, pp di Levi, pp retrostante, raccordo sulla soggettiva in direzione del quadro. Parte il flashback sull’inizio del confino di Levi. La caratteristica principale di questa sequenza è che mostra il protagonista ridotto in mezzi (e spazi) sempre più stretti, più piccolo. Dal treno nazionale, a quello regionale, alla corriera, alla macchina in un processo di allontanamento dalla civiltà e dal progresso. Rosi ricorre in queste due sequenze (e poi in tutto il film) al regime della soggettiva. Possiamo ipotizzare due motivi. Il primo è che il racconto stesso è in soggettiva. Il secondo è che lo sguardo di Rosi s’identifica con quello del protagonista, ossia quello di chi ha scritto il racconto quindi è una doppia sottolineatura della povertà e dell’abbandono del mondo contadino.
- Una storia semplice (di Emidio Greco, 1991) – L’italiano. Dialogo con il magistrato. Il gesto del ‘capriccio’. Da La morte di Mario Ricci (1983, diretto da Claude Goretta), Volonté predilige disegnare ruoli dove dà maggior risalto alla dimensione interiore del personaggio. In Tre colonne in cronaca (1990 diretto da Carlo Vanzina), recupera specifiche figure di recitazione che prevalenti nel suo stile di fasi precedenti.
Immagine in alto. Volonté in Cristo si è fermato a Eboli. Francesco Rosi, 1979
Immagine di copertina: Indagine su un cittadino… Un fotomontaggio di scene del film ritraente Gian Maria Volonté e Florinda Bolkan